Ubuntu su Windows, ma anche no

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È di questi giorni la notizia secondo cui sarebbe possibile far girare “Ubuntu su Windows”. Microsoft avrebbe quindi implementato la possibilità di far girare Ubuntu, il sistema operativo libero basato su Linux più famoso al mondo, dentro Windows, il sistema operativo proprietario più famoso al mondo. Data in questi termini, per la verità assai grossolani, con tanto di logo, la notizia ha destato un misto di scalpore, sorpresa e inquietudine nelle varie community di software libero. I più già vagheggiavano di avviare Ubuntu come fosse un eseguibile e ritrovarsi la ben nota e familiare scrivania con i pulsanti laterali dentro una finestra di Windows.

E invece no.

Però questa possibilità più o meno remota di contaminazione sembrerebbe un lodevole tentativo di casa Redmond di avvicinarsi, riconoscendone di fatto le buone qualità, al mondo del pinguino nella sua incarnazione targata Canonical.

E invece no.

Primo: non si tratta affatto di Ubuntu che gira dentro Windows. Si tratta invece di un componente di Windows, chiamato Windows Subsystem for Linux, che si pone come strato intermedio tra il sistema operativo – Windows, appunto – e i programmi – alcuni, almeno – contenuti dentro l’immagine ISO di Ubuntu, che permette a questi di poter girare dentro una console di Windows. Un utente Windows potrà quindi far girare bash, awk, sed, grep, vi, ma anche apt, con cui potrà scaricare, installare ed eseguire altri programmi ancora: ssh, rsync, emacs, gcc… Quindi, almeno per il momento, calmatevi: niente mouse, niente unity, niente desktop, niente.

Secondo: non mi risulta che Microsoft abbia (ancora, nel 2016) inserito nei suoi sistemi operativi la possibilità di accedere a file system diversi dai suoi proprietari (ntfs, fat32 e precedenti). Questo è assai grave e limitante, per almeno due ragioni:

  1. Windows Subsystem for Linux interessa prima di tutto utenti Windows che usano anche Linux – o viceversa – magari su uno stesso computer (ebbene sì: è possibile, da sempre, far coesistere un’installazione di Linux con altri sistemi operativi, Windows compreso, e scegliere all’accensione quale avviare. Analizzare gli effetti di un’installazione di Windows successiva a un’installazione di Linux, invece, è lasciato al lettore per esercizio. Per dire delle attenzioni che a Redmond riservano agli utenti Linux). Posso anche voler avviare bash da Windows per eseguire uno script che avevo nella mia partizione Linux. Ma siccome Linux formatta il suo spazio su disco utilizzando un file system (tipicamente ext4) che Windows da sempre si rifiuta di supportare, non esiste strumento di Windows che permetta di aprire dischi o chiavette o altri supporti formattati in quel modo, i quali quindi risulteranno a Windows semplicemente invisibili, e quindi inaccessibili;

  2. È ormai noto che i file system preferiti dalle installazioni di sistemi Linux (che in realtà permette la libertà di utilizzo di una gran varietà di formati, compresi quelli proprietari) siano assai robusti e performanti. Precludere ad un utente Windows la possibilità di utilizzarli su dischi interni, esterni e chiavette usb è una limitazione comprensibile solo a chi ne ignora l’esistenza.

Risulta difficile, quindi, considerare la possibilità di eseguire programmi Linux da Windows come un’apertura al mondo del software libero o come un riconoscimento di valore. È più facile considerarla una normale operazione commerciale, confezionata abilmente dentro la formula “Ubuntu on Windows”.

Terzo: nonostante gli slogan, gli articolil di blog e i keynote alle convention, il modo migliore di eseguire programmi Linux è ancora quello di utilizzare Linux. Il vero problema di molti utenti Windows è che non hanno mai visto altro:

  • non hanno mai visto utenti Linux prendere un CD, un DVD o una chiavetta usb ed avviare da lì il loro sistema operativo preferito, magari da un computer preso in prestito da un amico, senza toccare il suo disco, senza fare danni, anzi magari proprio per ripararli;

  • non hanno mai visto un sistema operativo utilizzato normalmente senza nessun antivirus, semplicemente perché i virus compatibili con Linux sono rari come il vaiolo, e generalmente potenti come un raffreddore;

  • non hanno mai visto installare Ubuntu, che da solo si accorge della presenza di Windows o altre installazioni di Linux e automaticamente (o manualmente, se preferite) si fa spazio sul disco e si mette accanto agli altri installando il suo gestore di avvio vi chiede quale dei sistemi presenti volete avviare;

  • non hanno mai visto usare Ubuntu, o Mint, o Debian, o Fedora, o openSUSE o una qualsiasi delle migliaia di “varietà” di sistemi Linux esistenti, ma magari conoscono molte leggende metropolitane che parlano di quanto sia difficile e complicato e di utenti brufolosi che passano le loro giornate a scrivere sequenze incomprensibili di comandi sulla loro console nera;

  • non hanno mai visto la vastità di applicazioni presenti sugli “store”, nati ben prima di quelli oggi più noti (apt è del 1993, Apple Store del 2001, Windows Store del 2012, per dire), negozi di applicazioni che spesso non vendono niente, perché generalmente i programmi con licenza libera sono scaricabili gratuitamente con un click (ma molte distribuzioni danno la libertà di poter scaricare ed installare anche software proprietario, generalmente a pagamento);

  • non si sono mai sentiti parte di una comunità, che è il motore di ogni progetto di software libero degno di questo nome, e quindi desiderosi di dare il proprio contributo per “restituire” in qualsiasi forma quello che si è preso scaricando ed utilizzando un programma.

Quindi, cari utenti Windows, se proprio vi interessa Ubuntu…provate Ubuntu.

(foto Andrew Mason Flickr, CC-BY 2.0)

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1 COMMENT

  1. Non capisco le motivazioni dell’autore per dire “invece no”. La quasi totalità del software Ubuntu da riga di comando gira su windows: non è abbastanza per chiamarlo Ubuntu on Windows?

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