Cosa stiamo festeggiando?

Nel 1954, un professore del Politecnico di Milano portò dagli USA il primo calcolatore digitale che sbarcava in Italia (e in Europa!). Il calcolatore era il CRC 102A, del costo allora stratosferico di $120.000. Al suo arrivo in Italia (e, ripeto, primo in Europa!), dovette essere riclassificato perché non c’era nessuna categoria doganale secondo la quale potesse essere identificato.

Il professore era Luigi Dadda, ricercatore che ha dato importanti contributi scientifici e ha fondato la scuola di informatica al Politecnico. Divenne Rettore e io ebbi la fortuna di conoscerlo, prima come studente e poi come collega di dipartimento.

Il professor Dadda ha segnato la storia dell’informatica in Europa, ma di lui non si celebrano le gesta, nè lo si ricorda se non tra gli addetti ai lavori e colleghi.

Nessuno ricorda quel 1954 che fu un anno storico per l’Europa, non solo per l’Italia.

Oggi invece festeggiamo i trent’anni di Internet in Italia. Certamente un fatto importante. Ma cosa festeggiamo? Coloro che la attivarono in Italia? Certamente fa piacere che ci si ricordi di loro e non li si dimentichi come è stato fatto per persone come Luigi Dadda.

Ma per il resto, cosa abbiamo da festeggiare, noi, in Italia?

Abbiamo una situazione infrastrutturale che ci penalizza rispetto agli altri paesi avanzati. Nel loro complesso, le nostre imprese non sono certo leader nell’utilizzo delle tecnologie digitali e di Internet. Abbiamo politici che considerano Internet se va bene un lusso e spesso solo un problema. Per di più la conoscono male, non la capiscono e quando legiferano su tematiche ad essa correlate spesso complicano le cose invece di semplificarle. In generale, Internet è troppo spesso vissuta in modo superficiale o negativo o puramente consumistico e non certo come elemento strutturale di sviluppo di una società moderna. Se posso permettermi il raffronto, quanto viviamo oggi mi ricorda molto «l’era della terza pagina», evocata da Hermann Hesse ne «Il giuoco delle perle di vetro» per descrivere un periodo di decadenza, immagine e superficialità.

Cosa abbiamo quindi da festeggiare? Francamente non lo so.

Certamente, si potrebbe dire che festeggiare i 30 anni di Internet può essere un modo per indirizzare proprio questi problemi, sollecitando l’opinione pubblica, le imprese, i decisori politici a riflettere e meditare sull’importanza di questa realtà tecnologica, sociale ed economica. Ma come sottolineavano altri commentatori come Stefano Epifani e Gianni Boccia Altieri, questo non rappresenta altro che un fallimento della nostra società, il segno che «siamo indietro» e che quanto si è fatto (o non si è fatto!) ci ha portato ad una situazione di ritardo culturale prima ancora che tecnologico o infrastrutturale.

Dobbiamo ricorrere ad una celebrazione per ovviare ai ritardi e alle carenze della nostra società.

Per questo dobbiamo chiederci cosa festeggiamo oggi. Per evitare le illusioni e la retorica che ancora una volta ci stanno sommergendo, e per ricordare invece gli errori fatti e la tanta strada che abbiamo ancora di fronte a noi.

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