#IoE e aziende connesse: intervista a Fabrizio Scovenna su Industry 4.0

Fabrizio Scovenna,
Fabrizio Scovenna, Country Director di Rockwell Automation

“Parola d’ordine per le imprese: essere “connesse” al fine di restare competitive in uno scenario economico globale modificato dalla Industry 4.0“. Questo è quello che afferma Fabrizio Scovegna, Country Director di Rockwell Automation, parlando di conseguenze della digital transformation sul settore industriale. Il concetto di Connected Enterprise per Rockwell Automation è quello che coglie al meglio le opportunità generate dalle informazioni che, attraverso Internet e strumenti di mobilità sempre più diffusi ed  in uno scenario sempre più globale e “mobile”,  le “cose” possono mettere a disposizione delle aziende per meglio rispondere alle esigenze dei propri clienti.

Anche una ricerca Deloitte, infatti, elenca tra le cinque principali conseguenze della cosiddetta quarta rivoluzione industriale l’aumento di competitività, la nascita di nuove opportunità, lo sviluppo del potenziale per singole aree di business, la sperimentazione di nuove tecnologie e il miglioramento di risorse e competenze. Conseguenze possibili soltanto se le  imprese saranno in grado di restare, appunto, “connesse”.

Cosa comporta creare una “azienda connessa”? Quali i principali benefici? 

La nostra proposta Connected Enterprise permette di rispondere in modo rapido e flessibile ad ogni situazione di mercato mutevole e di poter adattare il proprio modello operativo e gestionale a tutte quelle variabili che possono richiederne un cambiamento. La possibilità di poter collegare le informazioni che arrivano dai dati transazionali (es. ordini, commesse, dati POS, supply chain, ecc.), quindi dell’ Information Technology (IT), ai dati real-time che provengono dal campo (dalle macchine e dalle linee produttive) quindi i contributi dell’Operation Technology (OT), permettono di ridurre ogni tipo rischio e cogliere opportunità, ad esempio riprogrammando la produzione, riconfigurando le macchine o le linee stesse. I benefici, quindi, possono essere: avere processi più efficienti ed intelligenti, una gestione delle risorse più sostenibile, un “output” di produzione più personalizzato, la cosiddetta “mass customization”, delle produzioni più locali, delle filiere con un’integrazione meno verticale ma con una catena del valore più frammentata (“connessione” vs locazione geografica). Praticamente un “networked manufacturing”, che potrebbe rivelarsi un’interessante opportunità per le PMI italiane. Si potrà anche individuare del nuovo valore aggiunto sia nei prodotti che nei processi, aumentare i servizi offerti, avere un’affidabilità ed un migliore uso dei propri asset aziendali. Tutto ciò diventa possibile se si implementa un concetto di Connected Enterprise. Le aziende più agili oggi sono in grado di ottenere vantaggi competitivi sui concorrenti sfruttando le strategie messe a disposizione dall’IoT, per mezzo delle quali possono individuare nuove opportunità di vendita, prodotti o soluzioni innovative, migliore produttività ed uso dei propri asset che permettono di ottenere ROI più alti e in tempi brevi. Le aziende sono alla ricerca di informazioni “contestualizzate” che permettano loro di prendere decisioni in tempi sempre più rapidi, minimizzando i rischi di insuccesso.

Quali i settori in cui a suo avviso sarebbe utile avere aziende connesse? E quali le problematiche di sicurezza connesse alla Connected Enterprise?

Oggi un prodotto contiene informazioni e direi che andrebbe considerato un “unicum” tra prodotto e servizio, quindi ogni azienda che produca qualcosa e che voglia ampliare il concetto di semplice prodotto ed estenderlo a quello di servizio fornito al proprio cliente può e dovrebbe dotarsi di una soluzione “connessa”. La mobilità delle persone e dei dati oggi impone di manipolare e gestire questa mole di dati (i famosi “big data”) per poter individuare segnali e opportunità per la propria azienda e rispondere in modo immediato a queste sollecitazioni. Certo la connessione comporta dei rischi che vanno attentamente valutati e minimizzati. Una rete sicura e modalità di accesso che garantiscano la massima sicurezza informatica sono un “must” per le aziende che decidono di intraprendere questa modalità operativa. Rockwell Automation ha deciso di cooperare con Cisco proprio per dotare le proprie soluzioni  di Connected Enterprise di apparecchiature e di un’infrastruttura di rete sviluppate in collaborazione con uno dei colossi mondiali più evoluti e pronti nell’affrontare tali problematiche, per meglio garantire ai nostri clienti la massima sicurezza dei propri dati.

Quali le tecnologie che potrebbero supportare la ripresa del manifatturiero nel nostro Paese?

L’implementazione del concetto di Industry 4.0 che renderebbe, come detto, il nostro comparto manifatturiero agile e flessibile per poter riprendere un ruolo di primo piano nel panorama economico globale. A questo concetto si legano anche metodologie sempre più indirizzate verso il design e l’ingegnerizzazione del prodotto, alla sua modellizzazione, prototipizzazione e virtualizzazione, quindi software PLM, ma anche una gestione degli asset aziendali accurata (es. strumenti come l’ALM). Diciamo che l’attenzione si deve rivolgere più alla fase di definizione del prodotto, piuttosto che alla fase di produzione, come in passato. Alcuni importanti trend sono certo costituiti dall’uso sempre più esteso dell’IoT, dei robot “collaborativi”, dalla “augmented reality”, del 3D printing. Sono tutti concetti che sono integrati nella Industry 4.0. Il tutto va associato a quello di cyber security e di skill della forza lavoro che va decisamente adattata a questo scenario che è molto più inter operazionale e complesso e prevede un’automazione della “conoscenza del lavoro”.

Sempre più spesso si sente affermare che innovazione è contaminazione. Quale l’esperienza Rockwell con l’Open Innovation?

Come azienda stiamo constatando da tempo che numerosi fattori specifici hanno stimolato una revisione e aggiornato il concetto di innovazione. In effetti nuove dinamiche, determinate del cambiamento dei mercati e dei modelli economici, hanno reso svantaggioso il modello tradizionale. Con la mobilità data dalle nuove professioni sta diventando sempre più difficile trattenere le conoscenze e i talenti all’interno della propria azienda, ed anche i mercati sembra stiano investendo su proposte di business fondate su combinazioni di saperi e apporti diversi. Questo sta portando le aziende verso un’apertura, da qui “Open Innovation”, sia nella ricerca delle competenze che per quanto riguarda innovazione e ricerca.

Cosa pensa dell’Open Manufacturing?

L’Open Manufacturing è frutto della sempre maggiore diffusione di internet a livello globale, della “democratizzazione” delle tecnologie digitali,  e della cultura “Open Source”. L’esempio più vicino a noi è quello della scheda Arduino e passa attraverso portali per la pubblicazione collaborativa di progetti fai da te sui temi più vari. L’Open Manufacturing dovrebbe ridurre le barriere ad innovare, dovrebbe fornire delle metodologie, con strumenti di design, ingegnerizzazione, simulazione, ecc. , che permettano di avere dei processi manifatturieri accessibili, rapidi e che si possano adattare facilmente alle nuove esigenze che ci si presentano. Il risultato finale dovrebbe essere quello di permettere a nuovi processi produttivi di passare velocemente ed efficacemente dal laboratorio alla fase esecutiva. Per il momento il fenomeno è interessante, ma se sarà adottabile dall’industria manifatturiera lo vedremo solo su un orizzonte temporale più lungo.

Se dovesse disegnare uno scenario dell’industria italiana nei prossimi dieci anni?

Direi che gli elementi per poter fare bene e riprendere un ruolo di importanza mondiale nel panorama manifatturiero la tecnologia ce li sta mettendo a disposizione. Sarà compito di noi fornitori e degli imprenditori saperli capire e utilizzare al meglio per godere di tutti i vantaggi associati. Chi non lo farà perderà la sfida della globalizzazione e del futuro. Di certo lo stato dovrà svolgere un ruolo altrettanto importante: gli altri, Germania, Francia, Cina e USA, per fare alcuni esempi, hanno programmi piuttosto avanzati e concreti di aiuto. Se vogliamo che l’Italia torni a svolgere un ruolo di primo piano nell’industria e se veramente questo Paese lo ritiene un elemento che può portare ricchezza e benessere, direi che dell’apporto dello stato non si potrà fare a meno. Essendo ottimista, io credo che ce la possiamo fare.

 

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