Lo scorso gennaio, le parti sociali (Cgil, Cisl e Uil) hanno siglato un’intesa che recepisce l’Accordo Quadro sulle molestie e la violenza nei luoghi di lavoro raggiunto il 26 aprile del 2007 dalle rispettive rappresentanze a livello europeo Businesseurope, CEEP, UEAPME e ETUC. In coerenza con i principi enunciati nell’Accordo Quadro, l’intesa riafferma che le molestie o la violenza nei luoghi di lavoro sono inaccettabili e vanno denunciate, sottolineando che le imprese e i lavoratori hanno il dovere di collaborare al mantenimento di un ambiente di lavoro in cui sia rispettata la dignità di ognuno e siano favorite le relazioni interpersonali. L’importanza dell’intesa siglata pone due aspetti determinanti: la conclusione dell’iter di recepimento e quindi l’applicazione di quanto disposto dall’Accordo; gli impegni operativi presi e gli strumenti messi a disposizione, finalizzati a rendere quanto congiuntamente enunciato concreto e fattivo. Definite puntualmente le forme di molestia e di violenza nei luoghi di lavoro, con l’accordo si giunge a fornire ai datori di lavoro, ai lavoratori, alle lavoratrici ed ai loro rappresentanti punti ben precisi per individuare, prevenire e gestire i problemi legati a questi comportamenti. E favorendo le singole realtà lavorative, i sindacati hanno steso un modello di dichiarazione che le stesse imprese potranno direttamente adottare per affermare la non tollerabilità di comportamenti riferiti a molestie o violenza.
IL CONTESTO EUROPEO
Secondo un sondaggio europeo effettuato dall’Agenzia per la salute e sicurezza nei luoghi di lavoro (EU-OSHA) circa la metà dei lavoratori europei ritiene che il problema dello stress lavoro-correlato sia molto comune sul luogo di lavoro; tra le cause più frequenti di stress figurano la riorganizzazione del lavoro, l’insicurezza del lavoro, le lunghe ore lavorative e l’eccessivo carico di lavoro nonché le molestie e la violenza sul lavoro. In base agli ultimi dati europei (riferiti al 2010-2011) nel mondo del lavoro la violenza e le molestie da parte di terzi riguardano dal 5% al 20% dei lavoratori e come indicato anche nel report ” Workplace Violence and Harassment: a European Picture” malgrado il 40% dei dirigenti europei si dichiari preoccupato in merito ai fenomeni di violenza e molestie sul luogo di lavoro, solo il 25%circa (e non più del 10% in molti paesi dell’UE) ha attuato procedure o sviluppato politiche e strategie per fronteggiare questo fenomeno.
LE MOLESTIE ONLINE
Negli ultimi anni sono in aumento i fenomeni delle molestie online dovute ad uso scorretto delle tecnologie (ad esempio e-mail, chat room, instant messaging o messaggi di testo, social media, blog, etc) quali espressioni di un comportamento intenzionalmente ostile verso un individuo o un gruppo di individui con l’intento di nuocere, spaventare, imbarazzare e/o rovinarne la reputazione. La giurisprudenza anglofona in principio ha distinto il fenomeno del cyberbullying (cyberbullismo) che inizialmente avveniva tra minori e teenager in relazione ad azioni ed aggressioni ripetute nel tempo, dal fenomeno del cyberharassment (cybermolestie) ovvero il fenomeno che avviene tra adulti oppure tra adulto e minore relativo a tutti quegli atti ed azioni compiuti a danno di qualcuno ma non consecutive o ripetitive nel tempo.
Sempre più spesso infatti il termine cyberbullying viene utilizzato per indicare qualsiasi tipo di prevaricazione, atto, offesa e così via purché l’azione sia ripetuta incessantemente a danno della stessa vittima. Le ricerche in campo accademico relative in particolare all’analisi del cyberbullying hanno avuto inizio circa quindici anni fa: in un momento in cui i servizi Internet erano in piena fase di sviluppo per consentire l’accesso alla rete in maniera più ampia. A seguito della grande attenzione mediatica anche da parte dell’opinione pubblica preoccupata per le possibili implicazioni sui minori, l’attenzione della maggior parte di studi e ricerche è stata rivolta solo al fenomeno del cyberbullismo perpetrato e subito da e tra bambini e/o adolescenti.
Meno conosciuto ed indagato è invece il fenomeno del bullismo nei luoghi di lavoro, un fenomeno correlato ma diverso che riguarda le molestie consecutive e ripetute nei confronti dei lavoratori. Nei primi anni Novanta alcuni ricercatori scandinavi e tedeschi hanno iniziato ad indagare il fenomeno conosciuto con il il termine di mobbing. Dopo un ampio dibattito circa gli elementi di definizione i ricercatori hanno concordato sul fatto che per essere considerato bullismo, i comportamenti vessatori dovessero essere ripetuti per un certo periodo di tempo (Leymann, 1996) e sopratutto devesse essere evidente la disparità di potere tra l’autore del reato e la vittima, tale da rendere difficoltosa la difesa da parte della vittima (Einarsen, Hoel & Notelaers, 2009).
In Europa, negli ultimi anni si registra una diffusione in crescita del fenomeno soprattutto nel settore scuola, a tal riguardo è possibile rilevare che il rischio legato alle molestie online è da considerarsi prioritario non solo in relazione agli studenti, maschi e femmine, ma anche e soprattutto in relazione a tutto il personale, in particolare quello femminile che svolge la propria attività lavorativa nel settore dell’istruzione. Tale fenomeno influisce infatti in maniera determinante sulle condizioni di lavoro e sulla salute delle lavoratrici e dei lavoratori. In quest’ottica, il sindacato europeo degli insegnanti ETUCE ha portato avanti un progetto sulle cybermolestie ed ha elaborato due indagini; la prima ha avuto come scopo quello di raccogliere a livello europeo informazioni sul tema e sull’entità del fenomeno, constatando che le molestie online sono particolarmente presenti nel settore lavorativo scolastico; la seconda indagine ha esaminato le strategie nazionali per combattere le cybermolestie ed elaborato una raccolta di buone pratiche su come continuare a sviluppare e migliorare le misure antiviolenza.
BULLISMO 2.0
Pochi sono ancora gli studi relativi all’analisi del fenomeno nei luoghi di lavoro. Le teorie in questo settore evidenziano intanto quanto la differenza dei mezzi di comunicazione digitali abbia modificato i riferimenti contestuali e gli ambienti di lavoro stessi (Sproull e Kiesler, 1986); tendenzialmente quando sono online le persone hanno minore consapevolezza dei rischi e sono meno prudenti nella valutazione delle situazioni di pericolo rispetto all’ambiente fisico. Questa situazione ad esempio può aumentare la probabilità di messaggi formulati negativamente oppure inviati senza una corretta considerazione di come potrebbero essere interpretati (Kiesler et al, 1984).
Le caratteristiche dei mezzi di comunicazione tecnologici tendono secondo alcuni studiosi anche a promuovere il conflitto: Friedman e Currall (2003) sostengono ad esempio che lo strumento della e-mail, ad esempio con messaggi troppo lunghi e legami interpersonali indeboliti, aumenta potenzialmente la possibilità di controversia nella comprensione dei concetti espressi. Il bullismo online o cyberbullying nei luoghi di lavoro viene definito, come nel caso del bullismo tradizionale, attraverso i criteri della ripetizione dell’atto vessatorio (nello spazio e nel tempo), comportamenti ostili e negativi verso la vittima, disparità di livello tra la vittima e l’autore della molestia. Uno studio del 2005 di Baruch ha rilevato che il bullismo via e-mail può essere addirittura associato all’intenzione di lasciare l’organizzazione o l’ente in cui si lavora ed è accompagnato da una insoddisfazione sul lavoro legata ad alti livelli di ansia. Nel 2009 Privitera e Campbell hanno indagato il fenomeno all’interno del settore manufatturiero australiano riscontrando la presenza del cyberbullying in oltre l’11% degli intervistati. In Svezia qualche mese fa Forssell ha condotto un’inchiesta su oltre 3 mila dipendenti: di questi oltre il 10% subiva atti di bullismo online almeno una volta a settimana. Nel Regno Unito tre recenti studi sono stati condotti da un team di ricercatori della Nottingham University e dell’Università di Sheffield, che hanno indagato l’esperienza del cyberbullismo tra i lavoratori all’interno del settore dell’Università inglese. La ricerca iniziale ha dimostrato che una maggiore esposizione a comportamenti e atti di cyberbullismo è correlata ad un aumento della tensione mentale con conseguente riduzione della soddisfazione della propria attività lavorativa. In totale, il 18 % degli intervistati ha riferito di essere stato vittima di bullismo sul posto di lavoro negli ultimi 6 mesi.
QUALI GLI IMPATTI SUI LAVORATORI?
“Al momento – afferma Samuel Farley, ricercatore presso il Dipartimento di Psicologia dell’Università dello Sheffield – non sono stati ancora effettuati studi con evidenze scientifiche in relazione agli impatti sul benessere dei lavoratori ma numerosi studi hanno associato il fenomeno online a insoddisfazione lavorativa, isolamento e stanchezza mentale. Sono necessari maggiori approfondimenti ed analisi sul tema poiché malgrado i due fenomeni di molestie (tradizionale e online) siano integrati hanno specificità differenti legate anche alle particolarità degli strumenti digitali con cui possono essere perpetrati. Ad esempio il fenomeno online è indubbiamente meno diretto perché nella maggior parte dei casi può avvenire in anonimato, travalicando il tempo e lo spazio fisico (caratteristiche proprie della rete), ma raggiungendo un target e un pubblico più vasti. Ed infatti dalle nostre indagini risulta che le persone che sono state maggiormente vittime di di cyberbullismo soffrivano di disturbi da stanchezza emotiva”.
Per provare a dare una stima economica del fenomeno uno studio britannico dello scorso anno fissava in £13.75 milioni di sterline annui il costo per le aziende relative ai fenomeni di bullismo.
Quali policy potrebbero dunque essere adottate da parte delle aziende per prevenire e contrastare il fenomeno?
“Diversamente dalle forme di bullismo tradizionale – prosegue Farley – la modalità online tende ad essere, anche a causa della pervasività del mezzo utilizzato, molto più evidente e visibile e può quindi avere maggiori conseguenze anche sulla reputazione aziendale. Le persone spesso utilizzano gli strumenti tecnologici in maniera inconsapevole: non si rendono conto ad esempio delle potenzialità negative dell’esposizione pubblica delle informazioni pubblicate e della loro permanenza sulla rete. Per questo motivo è auspicabile la definizione di socialmedia policy in relazione ai materiali e contenuti che vengono postati in rete non solo in merito alle attività lavorative ma anche in relazione ai commenti relativi a colleghi. Le aziende stesse dovrebbero sviluppare e sostenere politiche reali contro le molestie, l’inciviltà e il bullismo. E’ evidente che l’effettività di queste politiche passa attraverso la definizione di chiare linee guida nella individuazione di atteggiamenti corretti e adeguati da adottare suoi luoghi di lavoro. Ma ovviamente il semplice sviluppo di politiche di questo tipo non è sufficiente alla prevenzione o riduzione degli atteggiamenti vessatori quindi sarebbe auspicabile poter prevedere una formazione che accompagni lo sviluppo e il rispetto di queste policy in maniera regolare e continuativa”.
QUALI SVILUPPI?
Cosa aspettarsi nei prossimi anni con la crescita esponenziale dell’utilizzo delle ICT e dei social media?I cambiamenti nel mondo del lavoro dovuti anche alla inarrestabile digital trasfromation nelle attività di quasi tutti i settori e comparti produttivi inducono a ipotizzare un aumento dei casi delle molestie online anche in relazione all’aumento dei servizi online; questa preoccupazione troverebbe conferma nelle conclusioni di un recente studio indiano (D’Cruz & Noronha, 2015) che ha indagato proprio l’aspetto delle molestie online tra i lavoratori nel settore dei call center. Inoltre è da evidenziare che al momento gli studi sul bullismo tradizionale nei luoghi di lavoro hanno indagato quasi esclusivamente gli atti commessi all’interno dell’organizzazione o ente e intercorsi tra i dipendenti stessi a prescindere dalle qualifiche e livelli professionali. Questi confini e segmentazioni non sono applicabili evidentemente nei casi di cyberbullismo. La sfida per il futuro è senza dubbio quella di integrare l’importanza delle cybermolestie ed i rischi ad esse connesse alle istanze di salute e sicurezza sul lavoro in particolare per i comparti più a rischio: scuola, sanità, servizi online, settore vendite, call center, etc. Istruzione e formazione rappresentano indubbiamente un buon modo per arginare il fenomeno.
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