WikiHouse: dall’urbanizzazione democratica alla rigenerazione sociale

La crisi può rappresentare un’opportunità di cambiamento” affermazione molto ricorrente nell’ultimo decennio, spesso disattesa o usata per mascherare un vuoto cosmico di pensiero, risulta molto rappresentativa nel caso del protagonista della storia “Open Manufacturing” di oggi: Alastair Parvin, un giovane ed intraprendente architetto e designer londinese.

Nel 2008, proprio a un passo dalla laurea, in contemporanea con uno dei momenti più acuti della crisi dei mutui subprime legati alla bolla immobiliare statunitense, il settore architettonico andò incontro ad una drammatica crisi occupazionale. Di fronte a questo imprevisto, Alastair maturò un’importante riflessione che avrebbe dato una svolta al suo futuro professionale: perché la crisi colpiva l’architettura proprio nel momento in cui la società avvertiva il maggior bisogno di un pensiero progettuale? Non sono forse gli architetti quelle figure professionali dalle quali ci si aspettano soluzioni per risolvere le crisi sistemiche della società? Per chi stavano lavorando?

A dispetto dei passati momenti storici di “boom”, improntati su un’ampia visione di sviluppo urbanistico e sociale, l’architetto contemporaneo si trovava concretamente a poter lavorare solo per un’esigua percentuale benestante della popolazione mondiale (Alastair cita il dato dell’1% nel suo TED del 2013), e questo rappresentava non solo una mancanza di etica, ma anche una strategia imprenditoriale poco furba.

Ecco dunque il ragionamento per progettare una svolta.

1. Don’t build

Tentare di risolvere i problemi cementificando compulsivamente è costoso e fuorviante, è invece importante studiare bene le condizioni e trovare soluzioni efficienti e a minor impatto possibile, restituendo ad architetti e designer un ruolo sociale piuttosto che speculativo.

2. Go small

Uscire dalla mentalità dell’architettura di massa del costruire in grande, con grandi organizzazioni e grandi finanziamenti, un approccio fallimentare che ha portato alla costruzione di quartieri “monolitici” basati sull’offerta di un modello unico per tutti (e spesso comunque non alla portata della popolazione media). E se i quartieri fossero progettati non da pochi con grandi risorse, ma da tanti con piccole risorse? Metteremo in mano lo sviluppo urbanistico ad un insieme di persone con un sistema di valori del tutto differente, innescando scenari potenzialmente virtuosi.

3. Go amateur

Questa forse è la sfida più grande: puntare sull’economia sociale, rompendo il primato dell’economia monetaria su mezzi e infrastrutture e prendendo ispirazione dal movimento Open Source, che è partito dal Software Libero per arrivare all’Hardware Libero, fino a generare sconfinate librerie di oggetti e macchinari accessibili sotto forma di dati da chiunque e replicabili con tecnologie di fabbricazione digitale o comuni macchine a controllo numerico. Il modello collaborativo ha permesso di democratizzare e distribuire capacità produttive molto complesse, citando lo stesso Alastair: “Stiamo avanzando in un futuro in cui la fabbrica è ovunque e il design team è chiunque, questa sì che è una rivoluzione industriale”.

La fondazione

Da questi concetti nel 2011 nasce WikiHouse, un sistema Open Source per progettare e costruire case modulari, accoglienti, efficienti e sostenibili. L’idea è quella di una libreria di modelli 3D accessibili a tutti, che possano essere scaricati e adattati alle singole esigenze e di rendere possibile, con un semplice click, la generazione di un output di una serie di file di sagome che possano essere facilmente prodotte con materiali standard da comuni macchine CNC, ottenendo una sorta di “casa in scatola di montaggio”.

La tecnica

L’approccio progettuale è molto netto: la casa deve poter essere assemblata senza attrezzature o macchinari complessi o costosi, per l’assemblaggio non devono occorrere competenze specifiche e non si devono realizzare elementi che non possano essere sollevati e posizionati da un gruppo di più di 2-3 persone. Otteniamo in questo modo delle sezioni della casa suddivise in elementi simili a pezzi di un puzzle e serrati tra loro senza l’ausilio di viti o bulloni, bensì tramite cunei e cavicchi, in modo da limitare gli attrezzi necessari a comuni mazze e martelli. Lo “chassis” di una casa diventa quindi assemblabile in una sola giornata di lavoro da un piccolo gruppo di persone. A questa struttura di base potranno essere poi aggiunti serramenti e infissi, materiali isolanti, rivestimenti e servizi in base alle necessità, ai mezzi e alle singole disponibilità.

Rigenerazione sociale

Non solo la democratizzazione delle scelte urbanistiche può riqualificare aree e quartieri, ma, attraverso l’esperienza di numerosi laboratori e progetti pilota avviati in tutto il mondo (Inghilterra, Brasile, Haiti, Corea del Sud, Nuova Zelanda e perfino Italia), si è notato come la costruzione di una casa in maniera collaborativa diventi un perfetto esercizio di rigenerazione sociale in cui le persone coinvolte non distinguono più tra lavoro e divertimento, un fenomeno che ci riporta ai tempi precedenti alla Rivoluzione Industriale in cui queste pratiche di coesione erano la norma nelle comunità contadine.

Software e infrastruttura

Essendo un progetto nato nel 2011 (anno, per dire, in cui FreeCAD era appena stato concepito), le possibilità di scelta di un efficace software di modellazione 3D accessibile a tutti non erano molte, dunque si optò per SketchUp, un’applicazione gratuita (ma non Open Source) che gira esclusivamente su Windows e Mac, ma in ogni caso abbastanza popolare tra architetti e designer.

L’infrastruttura collaborativa invece è stata organizzata a partire dal sito web WikiHouse.cc dal quale è poi possibile accedere alla comunità, le cui attività sono gestire tramite Google Groups, e ai progetti gestiti tramite Google Drive e Google Docs (anche nel valutare la bontà di queste scelte bisogna considerare il momento storico). Il sito attualmente indica anche un repository sul popolarissimo (e sicuramente più indicato) GitHub, ma al momento il link porta ad una pagina vuota.

Sicuramente una migrazione a strumenti più attuali ed Open Source amplierebbe la portata del progetto ad una platea di potenziali collaboratori molto più ampia, ma non sarebbe di certo un’operazione banale e indolore (come del resto tutte le migrazioni).

Il modello di business

La WikiHouse Foundation si sostiene grazie al WikiHouse Consortium, ovvero un insieme di aziende, organizzazioni e professionisti che partecipano concretamente con fondi o prendendo in carico compiti di sviluppo e mantenimento dell’infrastruttura. Il progetto prevede anche un programma di certificazione per designer, in modo da innescare una prolifica attività di consulenza a partire dai progetti sviluppati dalla piattaforma.

Mentre la piattaforma più ambiziosa è ancora in fase di sviluppo, sul sito è già disponibile la prima mini-house (tipologia di prodotto molto popolare ad esempio negli Stati Uniti) completa: il modello “Studio”, acquistabile in kit di montaggio (per ora solo nel Regno Unito) o scaricabile liberamente per provare a costruirla in autonomia, le sagome dei pannelli in formato DXF e una lista materiali con inclusa una stima dei costi. WikiHouse propone inoltre, con i dovuti sovrapprezzi, anche assistenza sul posto, una squadra qualificata per l’assemblaggio, finiture e personalizzazioni su richiesta. Questo ovviamente può essere un primo approccio per sperimentare un catalogo più ampio di prodotti finiti.

Il progetto ai giorni nostri

L’ultima release della piattaforma “WikiHouse chassis system” è la 4.2, ed è stata pubblicata l’anno scorso e presentata nel dettaglio attraverso un video su YouTube. Il progetto, per quanto non ancora ufficialmente completo, sembra aver raggiunto un’adeguata complessità e un ottimo livello di modularità e gestione parametrica, permettendo di vagliare con relativa semplicità configurazioni abitative anche molto diverse fra loro.

Nel frattempo sono nate numerosi “filiali” locali di WikiHouse in tutto il mondo, come ci mostra la mappa dei “Chapters” sul sito. L’Italia per ora rimane scoperta.

Da menzionare la partecipazione di Alastair Parvin, in qualità di consulente, al recentissimo progetto Open Building Institute lanciato da un collettivo guidato da Marcin Jakubowski, fondatore di Open Source Ecology, e che proprio in questi giorni sta tentando il finanziamento attraverso una campagna di crowdfunding sulla celebre piattaforma KickStarter.

Limiti

A parte le considerazioni sulla visione complessiva del progetto, che già di per sé può incontrare numerosi ostacoli nelle istituzioni e nelle potentissime lobby dei costruttori (qui in Italia ne sappiamo qualcosa), i limiti più immediati sono ben esplicitati nella sezione FAQ del sito stesso:

  • i progetti, benché sovradimensionati rispetto alle normative vigenti, vengono pubblicati senza garanzie, quindi, per utilizzarli a tutti gli effetti, è necessario farseli certificare dalle figure professionali previste, seguendo un appropriato iter burocratico.
  • La lista di architetti e designer certificati WikiHouse per ora è limitata, quindi è difficile riuscire ad ottenere una consulenza qualificata.
  • La longevità dell’abitazione dipende da diversi fattori che esulano dai confini attuali della piattaforma, la quale si ferma appunto allo “chassis”.
  • La progettazione di utenze e servizi non integrata nella piattaforma può causare problemi e un aggravio di costi (aspetto invece preso immediatamente in considerazione dal progetto Open Building Institute).

Conclusioni

WikiHouse non è un banale insieme di qualche progetto di casa Open Source da affidare ai posteri come puro esercizio di stile, ma è una precisa idea di sviluppo della nostra società da insieme di meri consumatori (il trend del 20° secolo) a comunità (la vera sfida del 21° secolo), per affrontare sfide e problemi in maniera collettiva e condivisa. Una visione che può trovare concretezza attraverso il modello Open Source e tecnologie e strumenti sempre più accessibili e democratici.

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