Fare business con gli Open Data

Imprese ed organizzazioni si stanno confrontando con l’opportunità di strutturarsi per trarre valore dai dati. “Data is the new oil“, i dati sono il nuovo petrolio, si legge spesso in relazione a temi di moda come Big Data e IoT.

Ma cosa accade quando mettiamo la parolina Open davanti a Data?

Secondo un recente report pubblicato dall’Open Data Institute, Open Data Institute (2016) Open enterprise: how three big businesses create value with open innovation, un approccio Open è un fattore di grande vantaggio competitivo per le imprese, sia esso rivolo a dati, servizi o standard. Per le tre grandi multinazionali oggetto di analisi che lo hanno adottato è risultato un modo valido per adattarsi a nuovi mercati, stare al passo con l’innovazione e stabilire una propria influenza sul mercato.

La Thomson Reuters è un gigante dell’ informazione finanziaria che ha scelto di rilasciare, con il servizio Open PermID, i metadati e gli identificativi delle informazioni trattate in Open Data secondo lo standard  Linked Data. Il suo core business è la vendita di dati e servizi avanzati, ma ha deciso di condividere una porzione significativa di dati ben strutturati per riceverne un beneficio in termini di immagine, ma anche migliorare l’accuratezza dei propri dati con i ritorni degli utenti e diffondere il proprio brand con i nuovi servizi che il mercato genererà a partire dai propri dati e standard.

Arup è una multinazionale che offre servizi di ingegneria nel campo dell’edilizia. Per Arup gli Open Data sono una risorsa a basso costo che contribuisce a generare le proprie analisi: usa dati pubblici statistici, geo-spaziali, dati sui rischi ambientali. Arup sostiene, con forme di partnership, startup innovative che offrono servizi per big data e open data secondo standard aperti.

Anche Syngenta, multinazionale svizzera che produce semi e prodotti chimici per l’agricoltura, è un soggetto che riutilizza gli Open Data di altre fonti come risorsa per le analisi che alimentano il proprio business: dati meteorologici, ambientali e sopratutto banche dati pubbliche di dati scientifici in campo biologico. Nel 2014 ha scelto di finanziare  il rilascio di dati sull’impiego di insetticidi, funghicidi ed erbicidi, recentemente ha rilasciato in modalità open i dati raccolti e generati per la propria campagna “Piano per una Buona Crescita”, per la bio-diversità e l’agricoltura sostenibile. In questo caso il rilascio dei propri dati ha valore promozionale e di miglioramento dell’immagine.

Un’impresa che usa, produce o comunque investe in dati aperti è una  Open Data Company, sia esso un soggetto che pubblica dati o collabora a renderli disponibili o che crea servizi sui dati. L’Open Data Institute, e in particolare il suo direttore tecnico  Jeni Tennison, ha  analizzato le Open Data Company  prima   in modo qualitativo, esplorandone i modelli di business, poi con una ricognizione estesa.

Business Model per le Open Data Company

Alla base di molte analisi  su come fare business con gli Open Data, compresa quella della Tennison “How to make a business case for Open Data“, vi è un importante lavoro di due studiosi italiani dell’Istituto superiore Mario Bollea, Enrico Ferro e Michele Osella. Si può consultare lo studio integrale “Modelli di business nel riuso dell’Infomazione pubblica“, successivamente aggiornato per il W3C. Lo studio, focalizzato sul riuso con finalità di business dei dati della PA, la cosiddetta Public sector information o PSI, fissa un paradigma per analizzare e classificare i modelli di business che è diventato una sorta di pietra miliare.

L’informazione del settore pubblico è una risorsa primaria che, se rilasciata con il paradigma Open, è di fatto un bene pubblico come l’aria e l’acqua: non c’è rivalità nel suo consumo e non si può essere esclusi dalla sua fruizione poiché è disponibile senza barriere tecniche, giuridiche e di prezzo.

Le imprese operano a vari livelli nella trasformazione di questo asset primario (“Key resource”) in dati derivati e servizi. I prodotti/servizi derivati costituiscono il valore generato (“Value Proposition”) per i quali si ha un ricavo. L’imprenditore ha tre leve su cui può operare per posizionare il proprio business nella cosiddetta “catena di valore” dei dati pubblici, ovvero nel flusso che va dai dati grezzi al consumatore.

Può scegliere come rielaborare i dati:

  • aggregarli
  • strutturarli e classificarli
  • geo-riferirli
  • validarli
  • integrarli con altre fonti
  • costruire visualizzazioni (visual analytics).

Può produrre un valore finale per il quale il dato è:

  • il bene finale scambiato
  • ingrediente chiave di un prodotto/servizio
  • ingrediente marginale di un prodotto/servizio.

Può decidere il prezzo :

  • Premium – a pagamento
  • Freemium – gratis con richiesta di pagamento per rimozione di limitazioni: paghi se vuoi altri dati, o la versione più aggiornata/di maggiore qualità o la possibilità di riuso commerciale o servizi accessori
  • Free – il prodotto/servizio è gratis ma è un fattore promozionale per servizi accessori a pagamento o  per il marchio ed il suo core business.

Le imprese possono operare dietro lo quinte, tipicamente sono soggetti che abilitano la pubblicazione dei dati con   l’offerta di infrastrutture, servizi SW e consulenza.

Possono alternativamente essere attivi sul mercato finale dei consumatori, proponendo la propria offerta al mercato business o consumer.

Possono essere imprese per le quali i dati pubblici sono elemento chiave del proprio business, ad esempio Socrata che realizza una diffusa soluzione per rilasciare i dati, o marginale, come per le grandi multinazionali che abbiamo visto inizialmente.

Ferro e Osella sviluppano poi 8 modelli di business, descrivendo il posizionamento e presentando per ognuno un Business Model Canvas, strumento di analisi visuale e sintetico  per elaborare business case.

A titolo di esempio si riporta di seguito il Business Model Canvas per aziende che attuano una sorta di modello Freemium/”Open Source”: rilasciano liberamente e gratuitamente dati pubblici rielaborati per essere pronti per il consumo finale, offrono servizi a valore aggiunto a pagamento. Un esempio è l’italiana OpenPolis che rilascia dati di ottima qualità tra cui dati sull’attività dei politici  e i bilanci degli enti pubblici. Trarre conoscenza di valore da tali dati non è alla portata di tutti, e quindi può conseguire ricavi con  i suoi serivizi di analisi. Anche OpenCorporates adotta questo modello: mette a disposizione dati sulle imprese di tutto il mondo, per quei Paesi che le rendono disponibili, con licenza share-alike e chiede un prezzo per una licenza senza obbligo di citazione della fonte.

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Effetto Network e Sharing Economy

Guardando al flusso dei dati, si potrebbe osservare che essi passano da un soggetto produttore, solitamente la Pubblica Amministrazione, attraverso soggetti intermedi che li trasformano fino agli utenti finali che li consumano. La realtà è molto più complicata, come osserva Jeni Tennison in questo talk. Il produttore può rivolgersi direttamente all’utente, integrare e a sua volta trasformare i dati di altre fonti. L’utente può esso stesso rilasciare dati direttamene al produttore/detentore o all’intemediario, e gli intermediari posso interagire tra di loro e produrre dati. Si realizza un’interazione a rete che genera valore, in quanto se i dati vengono prodotti in modo collaborativo, si abbatte il costo della loro generazione e mantenimento, si hanno dati di migliore qualità e migliori servizi.

Nell’immagine sottostante vediamo una frammento di mappa dell’azienda Mapbox che integra, rilascia e permette di aggiornare i dati di OpenStreetMap. Si tratta di un celebre dataset pubblico mantenuto in modo collaborativo da singoli utenti che postano aggiornamenti o lo sostengono con donazioni e sponsorizzazioni. La qualità del dato risultante è eccezionale e numerose sono le realtà che hanno costruito un business su di esso.

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I meccanismi a rete di creazione di valore sui dati  ricadono nel promettente paradigma di economia partecipativa o sharing economy. I business case che poggiano sul data sharing sembrano essere quelli capaci di generare un maggior ROI ed occupare un mercato ad alto tasso di crescita.

(Foto di DescrierCC BY 2.0)

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