5 buoni motivi per cui la comunicazione interna è un tema chiave della Digital Transformation

Lo abbiamo detto tutti tante volte: è ora di abbattere i silos. L’ho scritto in diverse occasioni, la capacità di unire punti diversi è una competenza chiave per il futuro.
Ma poi siamo sempre lì: i processi e le attività si duplicano, i dati proliferano e con loro la confusione. C’è un fattore importante in questo, molto radicato nella cultura aziendale di tante persone e delle organizzazioni, ossia una certa inerzia circa la visione d’insieme.
Le cose che succedono a monte e a valle sono note in modo superficiale, o peggio ancora personalizzate sulla base delle convinzioni e abitudini personali.
Spesso inoltre l’informazione su temi di interesse generale non circola, o lo fa solo per dipartimenti.
Oggi tuttavia la digitalizzazione ha talmente intersecato e potenzialmente democraticizzato i processi mettendo il cliente al centro che una gestione tipo catena di montaggio in molti ambiti mostra invece i suoi limiti.

Per questo ritengo che quello della comunicazione interna diventi sempre di più uno dei campi di battaglia cruciali della digital transformation.

E ci sono almeno 5 buoni motivi.

1) La vostra azienda è piena di millennials…e anche di chi viene dopo!

Questi millennials che sono citati dappertutto!

In realtà il fatto diventa reale, le persone che non hanno conosciuto un mondo senza internet, cellulari, social e (presto) anche cloud sono ormai adulte, spendono e si muovono nel mondo del lavoro con un nuovo mindset e tante aspettative, anche e soprattutto sul posto di lavoro.

Aspettative che sono piuttosto frustrate peraltro, se è vero che sono stressati rispetto al tema professionale e che il 58% dei Millennials dichiara di aver lasciato il proprio posto di lavoro entro tre anni a causa dell’insoddisfazione nei confronti della comunicazione (mentre si aspettano di lavorare in gruppo e prediligono ambienti collaborativi). Nel mentre, non manca molto all’avvento al contesto lavorativo della Generazione Z, che segue temporalmente i millennials e che per molti versi potrebbe portare ancora più avanti l’asticella di un nuovo modo di lavorare fortemente cambiato dalla digitalizzazione.

Proporre quindi una organizzazione che punti ad incrementare uno scambio aperto potrebbe risultare utile a qualsiasi generazione presente in azienda, valorizzando allo stesso tempo le aspettative dei più giovani.

2) Benvenuta complessità, dove nessuno può farcela da solo

Ci troviamo in un ecosistema molto complesso: non ci sono vie di uscite da questo e termini come volatilità, incertezza, complessità e ambiguità sono diventate ordinarie nella letteratura manageriale e nella vita lavorativa di tutti i giorni perché gestire questo contesto è un fatto di sopravvivenza. E serve collaborare.

Sembra fin troppo banale dire che i silos non dovrebbero avere più cittadinanza nelle organizzazioni ma sappiamo che i fatti sono ben diversi, tuttavia quando oggi il cliente o il vostro partner in affari si aspetta di avere un’organizzazione che agisca, parli e reagisca come una cosa sola non ci sono molte scelte.

3) La tecnologia è pervasiva, e si diffonde a prescindere dalla politica dell’organizzazione

Grazie alla tecnologia il modo in cui viviamo e lavoriamo ci porta continuamente ad interagire, spesso in tempo reale, con molti soggetti attraverso diversi strumenti. Questo networking più o meno voluto va compreso e gestito ma ci obbliga a collaborare. Non a caso il mondo HR oggi vive una grande spinta sul piano tecnologico e, come già per la marketing technology, si possono trovare delle landscape come quella con 547 soluzioni divise in 17 categorie. Mi piace sottolineare che questa crescita dalla tecnologia non è così insolita come può sembrare all’occhio profano ma appunto è parte di un trend più vasto di digital disruption.

La tecnologia quindi oltre che un fondamentale abilitatore diventa anche uno dei fattori di spinta che ci obbligano a cambiare paradigma.

Non si può in effetti impedire l’accesso alle tecnologie in modo parzialmente autonomo da parte di un numero sempre più ampio di persone. Dal BYOD alle soluzioni software pronte, tutti possono usare (ed acquistare) strumenti un tempo necessariamente centralizzati.

Le persone in azienda inoltre devono potersi preoccupare di che cosa vogliono fare: la tecnologia è un abilitante che non le deve non far pensare al “come”. Questo non vincola ad un controllo troppo soffocante di una governance ma chiede una supervisione di insieme che guidi verso gli strumenti più giusti e limiti dispersione e inefficienza. E nuovamente servono comunicazione interna e collaborazione.

4) Le nuove tecnologie rafforzano i legami deboli

Le reti sociali sono invisibili, e al di là dei disegni fatti sull’organigramma da sempre si creano delle reti di relazioni e collaborazione tra diverse aree e funzioni.
Normalmente chi si assomiglia tende tuttavia a raggrupparsi, il che può creare paradossalmente dei problemi, perché tende a mantenere l’informazione all’interno di gruppi di lavoro chiusi. L’abilità di chi governa le informazioni deve essere dunque quella di portare costantemente a contatto gruppi diversi e farli interagire in un ambiente comune.

Al contrario, il fatto che persone che non sono in un rapporto diretto e continuativo (legame forte) entrino in interazione con altre aree e con le loro informazioni esalta la forza dei legami deboli “scoperti” da Mark Granovetter e nel momento in cui il clima organizzativo e gli strumenti tecnologici permettono l’accesso alle informazioni e alle conoscenze da parte di molteplici persone, anche senza un’interazione personale approfondita, saranno proprio i legami deboli a far viaggiare la collaborazione attraverso i diversi gruppi, tramite delle persone che fanno da connettori e nodi di rete. La tecnologia ovviamente potenzia alla grande il potere dei legami deboli mettendo in dubbio il tradizionale limite posto dal numero di Dunbar e permettendo anche in grandi organizzazioni l’interazione e la condivisione fra centinaia di persone.

In presenza di un sistema di condivisione fluido e accettato da tutti delle informazioni questa situazione non potrà che essere massimizzata crescendo oltre le previsioni che si possono fare all’inizio.

5) La collaborazione fa crescere l’innovazione e il contributo di chi è dentro l’organizzazione è indispensabile

Il punto dell’effetto moltiplicatore dato dalle interazioni ci porta all’ultimo buon motivo di lavorare sulla comunicazione interna per la trasformazione digitale: l’innovazione.

Come ho scritto anche su queste pagine, l’innovazione risulta spesso incrementale e nessuna vera trasformazione avviene davvero in poco tempo e solo con un manipolo di arditi e, se poche persone possono già fare la differenza, solo una cultura diffusa a tutti i livelli può diventare reale cambiamento.

Grazie a una comunicazione interna studiata e continuativa, si ottiene quel livello di empowerment e appartenenza che di solito un anello passivo di una catena non ha, e il conseguente contributo al miglioramento che spesso solo chi fa le cose sul campo e conosce la realtà aziendale può dare davvero.

Chiudo questi 5 motivi con il pensiero di Peter Spiegel, ricercatore e futurologo tedesco che ha di recente pubblicato il libro WeQ more than IQLa sua tesi: l’IQ sta per un quoziente d’intelligenza individuale – la mia intelligenza, le mie competenze, il mio genio – e oggi deve essere integrato dal nuovo concetto di quoziente di intelligenza collettiva: processi di cooperazione fra società, economia e imprese.

Ecco quindi che torna ancora una volta la collaborazione interna all’organizzazione, che diventa addirittura un quoziente su cui fare selezione del personale e valutare l’azienda.

 

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here