Vogue, le Paralimpiadi e la campagna che diventa virale per il motivo sbagliato

Anche grazie alle modalità di diffusione dei contenuti proprie dei social media, i Giochi Olimpici appena terminati ci hanno regalato molte emozioni e qualche polemica: dalla proposta di matrimonio in mondovisione del tuffatore cinese alla sua fidanzata un attimo prima che salisse sul podio al contestatissimo titolo sulle “cicciottelle” azzurre che hanno sfiorato l’impresa, i momenti clou delle Olimpiadi di Rio sono stati immortalati in un post, in un video, in una gif e si sono diffusi in modo virale su tutte le piattaforme, per essere commentati, condivisi, o diventare la base per la produzione di contenuti diversi, con senso, destinatari e significati “altri”.

I grandi eventi sportivi generano sempre un grandissimo hype ma, nel caso dei Giochi Olimpici di Rio, il sipario non si può ancora dire del tutto calato: nella stessa città carioca, infatti, inizieranno a breve i Giochi Paralimpici, riservati agli atleti con disabilità che competono nelle varie discipline sportive.

Benché le Paralimpiadi vengano notiziate meno della metà di quanto lo sia l’edizione principale, si tratta di un evento globale che coinvolge migliaia di atleti e che punta i riflettori sul tema della disabilità, generando conversazioni spesso scatenate dalle storie personali dei singoli atleti. Si tratta di un tema molto coinvolgente sul piano emotivo e, per questo, estremamente delicato.

Non è soltanto il mondo dello sport a generare conversazioni legate alle Paralimpiadi: essendo un tema in grado di estendersi su più ambiti, sono molti i brand che decidono di strutturare campagne “di sensibilizzazione” in concomitanza con questo evento.

Tra questi c’è stato anche Vogue Brasil, l’edizione brasiliana della rivista di moda più famosa del mondo, che nei giorni scorsi ha lanciato una campagna sui propri profili social per promuovere le Paralimpiadi al grido di #SomosTodosParalímpicos e #voguenasparalimpiadas.

E chi sceglie come testimonial per questa campagna? Non due atleti paralimpici, ma due modelli brasiliani, un uomo e una donna, i cui corpi sono stati modificati con Photoshop, riproducendo sul loro corpo le menomazioni di due “veri” atleti brasiliani – Renate Leite e Bruna Alexandre – che parteciperanno alle Paralimpiadi di Rio rispettivamente nelle discipline del volley e del tennistavolo.

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[Foto via: Mashable]

Qualcosa, però, non torna. E poco dopo la pubblicazione dello scatto sul profilo Instagram di Vogue Brasil ecco che cominciano ad arrivare i primi commenti negativi:

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E ancora:

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Tra indignazione, perplessità e scherno, appare chiaro ciò che è accaduto: la campagna, per quanto costruita su un’idea piuttosto intelligente, è stata completamente travisata da quanti non le hanno dedicato più di un’occhiata frettolosa, scorrendo distrattamente i feed dei social media.

Il Web infatti, ha accusato Vogue Brasil di non ritenere abbastanza “fotogenici” gli atleti paralimpici, e di averli voluti sostituire con dei modelli, grottescamente ritoccati con Photoshop. In realtà l’intento è l’esatto contrario: dare visibilità agli atleti paralimpici – spesso sconosciuti al grande pubblico nonostante i propri meriti sportivi – attraverso dei modelli diventati famosi grazie al proprio corpo perfetto, corpo a cui rinunciano simbolicamente dopo il pesante intervento di fotoritocco che vediamo nello scatto pubblicato da Vogue.

Idea interessante, sì, ma un po’ troppo complicata per un pubblico che – lo sappiamo – dedica un quantitativo minimo di tempo e di attenzione ai contenuti che trova sul web. E che soprattutto – sappiamo anche questo – ha la polemica facile.

La campagna di Vogue Brasil è diventata sì virale, ma per i motivi sbagliati: e a poco sono serviti i chiarimenti della stessa Bruna Alexandre – l’atleta brasiliana del tennistavolo – che sulla sua pagina Instagram chiarisce il significato dello scatto pubblicato da Vogue, sottolineando come il suo “doppio”, la modella Cleo Pires, sia anche una Ambassador Paralympics dedita alla causa.

Sappiamo anche che quando sul web una storia diventa virale, la prima versione a circolare sarà anche quella che continuerà a replicarsi, imponendosi come unità d’informazione predominante, anche se completamente falsa. È lo stesso principio alla base della diffusione delle bufale: un meccanismo per cui diventa estremamente difficile imporre la reale versione dei fatti in presenza di un contenuto già consolidato, anche se non veritiero.

A questo bisogna aggiungere, nel caso specifico, la componente emotiva che entra in gioco in un tema delicato come quello della disabilità, che ha portato una buona fetta di pubblico a rumoreggiare contro quella che viene percepita come una strumentalizzazione del dolore altrui, ai fini di costruire un’immagine patinata in grado di raccogliere i “Mi Piace” degli utenti.

Questo significa che i creativi che lavorano sul web dovrebbero votarsi alla creazione di contenuti elementari, rinunciando a un’evoluzione espressiva e contenutistica della comunicazione pubblicitaria sul web? Ovviamente no, ma qui si tratta di conoscere non soltanto il proprio pubblico, ma anche gli spazi in cui certi contenuti verranno diffusi e tempi e modi di fruizione: che senso ha realizzare una campagna “d’impatto” se si ignorano quelle caratteristiche e quei canoni che sono fondamentali per farla comprendere al primo colpo dal proprio pubblico?

Lesson Learned: quando ti fai promotore di una conversazione sul web a proposito di un tema particolarmente “caldo”, chiediti sempre se la tua comunicazione sia immediatamente comprensibile a tutti, nelle intenzioni come nella realizzazione.

(Foto Jonathanawhite Wikimedia, pubblico dominio)

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