L’insostenibile leggerezza del ddl sul cyberbullismo

Nata oltre un anno fa, cambiata anche negli obiettivi nelle diverse stesure, approvata alla Camera con 242 voti favorevoli, 73 contrari e 48 astenuti e tornata al Senato in questi giorni per la terza lettura, la proposta di legge “Tutela dei minori per la prevenzione e il contrasto del fenomeno del cyber bullismo” ha dato origine per ora soltanto a una bufera di polemiche in rete oltre che alla definizione, non proprio di grande soddisfazione, di “stupidest consorsoship law in European history”.

Il ddl prevede al momento la possibilità per chiunque di chiedere al gestore del sito Internet l’oscuramento, la rimozione o il blocco delle comunicazioni che lo riguardano e dei contenuti specifici che costituiscono atti di cyber bullismo.

Il ddl C.3139 approvato alla Camera – afferma l’avvocato Francesco Paolo Micozzi – ha effetti potenzialmente dirompenti che rischiano di far precipitare l’Italia tra gli ultimi gradini della scala dei Paesi più rispettosi della libertà di espressione. Oltre ad una definizione molto ampia di cyberbullismo, che potrà ricomprendere anche ipotesi che tradizionalmente non rientrano in questo concetto, abbiamo due articoli del ddl che destano particolare preoccupazione. In primo luogo, infatti, si prevede che chi ritenga di essere vittima di comportamenti di cyberbullismo potrà attivare un particolare procedimento che inizia con una richiesta al “gestore del sito internet” o al “servizio di messaggistica istantanea” di rimozione o blocco di contenuti che potrà concludersi con l’intervento del Garante Privacy. Con l’attribuzione al Garante di compiti che, istituzionalmente, non gli competono si rischia una paralisi delle sue attività e un’estensione innaturale delle possibilità di oscuramento o blocco di contenuti in rete. In secondo luogo con una modifica al reato di atti persecutori (meglio noti come “stalking”) si vorrebbe introdurre un’aggravante per le ipotesi in cui il reato di stalking sia commesso “attraverso strumenti informatici o telematici”. L’effetto concreto, paradossalmente, consisterà in una diminuzione della pena irrogabile (rispetto alla situazione attuale) mentre resterà immutata la possibilità di reprimere lo stalking commesso con strumenti informatici o telematici”.

Piuttosto che arginare il fenomeno del cyber bullismo, quindi, il ddl sembra si presti a diventare strumento di repressione della libertà di informazione. Cosa non nuova per le proposte di legge che intendono nobilmente  “regolamentare” la Rete.

Altra cosa divertente: si prevede che tutti i “gestori dei siti internet” (anche qui la definizione è dai contorni abbastanza indefiniti) – continua Micozzi – dovranno, sostanzialmente, predisporre una sorta di documento in cui indicheranno come rivolgere a loro le istanze di oscuramento. Diciamo che tra gli adempimenti di dubbia utilità questo è forse peggiore dei banner da cookie-law”.

Ma quali i dati sul fenomeno cyber bullismo al di là di qualche fatto di cronaca che risveglia le coscienze?

Dopo Canada e Stati Uniti, anche in Europa, negli ultimi anni il trend del fenomeno è in crescita. Secondo l’ultimo rapporto Istat sul bullismo, pubblicato a dicembre 2015, tra i ragazzi che usano cellulare e Internet, il 5,9% ha denunciato di avere subito ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, mail, chat o social network. Vittime, più di tutti, sono le ragazze: il 7,1% rispetto al 4,6% dei ragazzi. Si parla di statistiche che riguardano soprattutto adolescenti di età tra i 14 e i 17 anni e che ovviamente non tengono conto di chi non denuncia.

Ma bullismo tradizionale e cyber bullismo, secondo alcuni studiosi, sono strettamente correlati tra loro: coloro che sono vittime di bullismo a scuola, sono vittime di bullismo on line e coloro che sono bulli off line lo diventano anche in rete.

Quali gli strumenti di contrasto e prevenzione in altri Paesi?

Tanto per portare qualche esempio, in America quasi ogni Stato ha promulgato una legge o un codice per contrastare il cyber bullismo. In generale le policy dei singoli Stati prevedono l’obbligo di misure di prevenzione e contrasto da parte degli istituti scolastici di ogni ordine e grado con varie modalità di sensibilizzazione e coinvolgimento e conoscenza del fenomeno. Alcuni Stati criminalizzano formalmente il fenomeno attraverso sanzioni penali, multe e persino il carcere.

In Australia il bullismo diventa un crimine quando si tratta di stalking e molestie. Ciascuno di questi crimini viene sanzionato con conseguenze diverse a seconda del territorio, ma in generale lo stalking e le molestie sono punibili fino a un massimo di 3 anni di carcere.

5 riflessioni sul tema dei nostri visionist

Bullismo on line e off line?

“Impossibile e poco sensato – afferma Stefano Epifani, direttore di TechEconomy – distinguere un bullismo “uno punto zero” ed un bullismo “virtuale”. Un bullismo da strada ed uno on-line, senza rendersi conto che il problema non è la rete, ma le persone che la usano. Senza rendersi conto che distinguere on-line ed off-line non solo è inutile, ma è dannoso”.

C’è bisogno di leggi o di educazione?

“Non siamo di fronte ad un’emergenza di carattere giudiziario – dice Emma Pietrafesa, ricercatrice esperta di tematiche legate alle cyber molestie – ma di fronte ad un’emergenza educativa per la quale occorre intervenire con momenti di sensibilizzazione sul fenomeno; di informazione e formazione multidisciplinari con il ricorso a figure diverse come psicologi, informatici, giuristi. Piuttosto che nuove leggi si potrebbe pensare a forme di co-regolamentazione, intese come azione legislativa che si integra con misure di autoregolamentazione messe in atto da diversi stakeholders”.

Quale il ruolo della scuola?

“Per affrontare un problema che nasce soprattutto dalla mancanza di educazione e consapevolezza nell’uso degli strumenti digitali – sostiene Italo Vignoli, membro del board di Open Source Initiative – si è scelto di ignorare le cause e di privilegiare l’aspetto repressivo. Questo consentirà sicuramente di affermare che il problema è stato affrontato in modo deciso, ma non servirà certamente a risolverlo (perché la repressione non educa, ma spinge solamente a trovare soluzioni per aggirarla). Il Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca spenderebbe molto meglio il suo tempo, e adempierebbe al proprio compito, se pensasse all’educazione e alla consapevolezza nell’uso degli strumenti digitali – che rappresenta un’enorme lacuna per gli studenti di ogni ordine e grado – piuttosto che alla firma di protocolli di intesa con aziende che non possono portare contributi oltre alla visibilità personale del titolare del dicastero”.

Scarsa conoscenza del fenomeno o scusante per imbavagliare la rete?

“Leggendo il ddl – continua Stefano Epifani – viene da chiedersi se tutto ciò dipenda dalla ignoranza di una classe politica in cui la maggior parte degli esponenti non comprende affatto le dinamiche della tecnologia, o piuttosto se ciò non sia, semplicemente, un disegno preordinato. Un disegno preordinato che ha l’obiettivo di imbavagliare quel po’ di libertà che è rimasta e che viaggia in rete: una rete che è nata libera e che libera deve rimanere”.

In media stat virus o virtus?

“Digitale-Reale: questo è il dilemma” – esordisce Rossana Consolo, ricercatrice esperta di tematiche legate alla inclusione e partecipazione attraverso il digitale delle persone con disabilità. “Quanto dei fenomeni che avvengono on line transitano, prendono forma e vanno in scena, con ricadute più o meno incidenti, nel palcoscenico della realtà? E dove si negozia la verità di quanto fra reale e digitale accade?

Ecco, il criterio della verità dei rapporti, l’onesta degli atteggiamenti, il rispetto dell’altro da sé sono le dimensioni che sottendono il dilagare di fenomeni deplorevoli di una socialità ferita, incapace di costruire, di farsi parte e che fa invece della denigrazione dell’altro un paradossale punto di forza. L’attuale discussione intorno al DDL antibullismo e cyberbullismo sta dividendo il popolo digitale-reale in due: quali ripercussioni sulla libertà di espressione e sulla gestione degli ambienti social che la Rete configura e offre? Quale spazio continueranno ad avere anche questioni o solo stili di comunicazione che potrebbero ricadere in operazioni che qualcuno inizia ad assimilare alla censura?

Da sempre la libertà di espressione è una questione di democrazia sottile e al tempo stesso ampia; una questione su cui al legislatore viene chiesta delicatezza e speciale attenzione al fine di non attuare misure di restrizione delle libertà fondamentali pur nel giusto scrupolo di difendere chi viene condotto alla disperazione e alla frustrazione di sé da azioni, parole, immagini che fanno scempio della propria vita. Questo non è naturalmente mai permesso e le misure normative dovranno ponderare la via delle tutele senza torcere quella delle libertà passando per il pretesto di “punire”. Perché, sia chiaro, l’attuazione di una misura di pena chiara non può non esserci ed è doveroso ragionarci, non certo come misura di risarcimento – che peraltro mai può essere adeguata per chi subisce atti di bullismo – ma come misura di doverosa giustizia.

C’è però da chiedersi ancora qualcosa davanti a questo fenomeno dilagante, drammatico e sfibrante i legami umani poiché fa venir meno il riconoscimento della uguale dignità fra le persone. E la domanda tocca non tanto, o non solo, la capacità – individuale e collettiva – di saper stare negli spazi social della Rete, gestire le relazioni digitali, le dinamiche di comunicazione mediata, le identità digitali e tutto quel patrimonio di socialità diffusa on line che già da tempo ha fatto emergere concetti come “netEtiquette”  e la necessità di tutelare la privacy anche in virtù di proteggere e sostenere l’instaurarsi di relazioni economiche b2b e b2c. La domanda, dunque, tocca le relazioni reali, la loro adeguatezza, l’incapacità di gestire il digitale come ambiente di espressione di identità reali. E forse anche una certa scarsa competenza del mondo adulto di saper accompagnare i più giovani a concetti e valori che a molti appaiono invece desueti o semplicemente – e tristemente – fuori moda.

In questa scarsa competenza si può ravvisare anche la scarsa capacità degli adulti, degli educatori, delle agenzie di socializzazione nel sapere raggiungere i giovani e i giovanissimi lì dove sono e buona parte del loro tempo sono in quel non luogo reale-digitale che tanta della loro quotidianità raccoglie: Internet, in tutte le sue manifestazioni, è il luogo quasi primario della loro socializzazione che fa a volte maggior fatica nell’interazione diretta, nella ferialità del vis-à-vis. Quando la realtà è mediata si rischia di ritenerla virtuale cadendo nell’inganno che digitale sia irreale, proiezione virtuale di mondi inesistenti o vetrina “privata” di comportamenti illeggitimi. Digitale è invece accadimento e da questo assunto bisogna partire per attuare non solo “misure contro” o anti qualcosa che è assolutamente e naturalmente da condannare, ma anche e soprattutto per attuare e sostenere idee, strategie, azioni di prevenzione, educazione, nuova socializzazione on e off line che lascino ai margini il bullo di turno e non chi da lui cerca di sfuggire, dalle sue azioni come dall’effetto moltiplicatore che il digitale gli consente ponendo in un drammatico e virale occhio di bue le sue vittime.

Ma in media stat virus o virtus?  Lavoriamo sulla virtus, sulla libertà di essere e, per riprendere Negroponte, anche di essere digitali. Incisive ancora una volta tornano le parole di Zygmunt Bauman che nel suo “Modernity and Ambivalence” del 1991 scriveva: “Si deve onorare l’alterità nell’altro, l’estraneità nello straniero, ricordando che l’ “unico è universale”, ciò che ci fa somigliare l’un l’altro è l’essere differenti, e ricordando che io non posso rispettare la mia propria differenza se non rispettando la differenza dell’altro”.

 

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