“Guidare un’azienda è come fare surf: devi attendere l’onda giusta, nuotando controcorrente, e salirci quando arriva sapendo già che non durerà per sempre”. Questa una delle frasi che meglio spiegano il “come essere imprenditore” pronunciate a TEDxMilanoWomen da Mariacristina Gribaudi, amministratrice unica di Keyline SpA, ospite del Digitalks organizzato da Cisco per il prossimo 30 settembre. Figlia di imprenditori, Mariacristina inizia a lavorare nell’azienda di famiglia per poi creare con il marito un gruppo industriale che opera nel key business e che oggi conta filiali negli Stati Uniti, in Germania, Inghilterra, Cina e Giappone, oltre che in Italia, vicino Treviso. 6 figli, diverse maratone, tanti incarichi importanti in fondazioni e associazioni e una carica da amministratore che vede alternarsi lei e il marito ogni tre anni.
Donna e manager di successo: quanto gli stereotipi sul genere sono stati un limite? Quale la “ricetta” giusta per abbatterli e raggiungere obiettivi professionali conciliando con la vita familiare?
Ammesso che esista una ricetta, quella che posso consigliare io consiste nel perseguire con ostinazione l’obiettivo perché qualsiasi conquista costa fatica e sudore. Nulla va dato per scontato. Non bastano certo le quote rosa a spianarci la strada. Anzi, alle volte ce la complicano. Per essere donna e manager, magari di successo, bisogna saper conciliare le due realtà, portando la propria femminilità in azienda e la propria managerialità in famiglia. Senza mai perdere di vista l’umanità, quella su cui devono fondarsi le relazioni, qualsiasi esse siano.
Uno degli insegnamenti più importanti di suo padre, di cui lei parla a TEDx, è il “Saper fare”, ovvero la volontà, il desiderio di imparare a fare delle cose che poi nella vita possono tornare utili. Questa lezione è secondo lei ancora valida?
Certamente. Direi ancor più di ieri. Oggi, grazie alla facilità con cui disponiamo di tecnologia, soprattutto digitale, potremmo essere indotti a pensare che le cose si fanno da sé. Non è così. Il fattore umano, che significa mente e cuore, è sempre più determinante. E’ ciò che fa la differenza, come il saper usare le mani, quelle mani che qui nel Nordest simboleggiano il ‘saper fare’. In azienda è importante che il manager conosca che cosa significa il ‘saper fare’ dell’addetto alla catena di produzione e viceversa, perché anche l’operaio deve essere messo a conoscenza di ciò che significa il ‘saper fare’ di chi ogni giorno è chiamato a decisioni strategiche importanti per il futuro dell’impresa.
Essere imprenditori oggi significa saper “cavalcare l’onda”. Questa “regola” si applica anche alla sfida delle aziende nell’affrontare la digital transformation?
Io sono un’amante del surf, inteso come sport acquatico. E’ una disciplina da cui ho imparato molto. Non soltanto io, ma anche i miei sei figli. E’ un po’ il paradigma della vita: cavalcare l’onda non significa, come si potrebbe pensare, cullarsi nel successo. Al contrario, prendere l’onda nel verso giusto che ti trascina avanti, sapendo che essa non è eterna, ma prima o poi si infrange e quindi devi essere pronto a cavalcarne un’altra. E’ un po’ il segreto del successo di un’azienda che non si adagia sugli allori, ma investe continuamente per non farsi mai cogliere impreparata davanti alle sfide del mercato, così come davanti alla sfida della digital transformation. Se tu sei padrone della tecnologia digitale, la utilizzi e la precedi, non sarai mai schiavo suo.
Quanto conta lo spirito di appartenenza in azienda? Come si costruisce un ambiente collaborativo, in cui le persone possono lavorano bene? Quanto la tecnologia aiuta (o ostacola)?
Chi entra nella nostra sede di Conegliano vedrà issata la bandiera dei pirati. E’ come se salisse su una galea pronta a salpare sui mari dell’internazionalizzazione guidata dal suo capitano. Noi ci sentiamo così in Keyline: una flotta di pirati pronti ogni giorno a dare l’assalto. Sappiamo che il successo è determinato dal fatto di condividere gli stessi obiettivi. Per questo curiamo molto la condivisione. Incontri, scambi, discussioni. Chi vende le nostre chiavi deve confrontarsi con chi le produce. Solo così si superano le difficoltà e si riducono i margini di errore. In questo continuo scambio di comunicazioni a livello verticale e orizzontale, è evidente che la tecnologia gioca un ruolo importante perché permette di superare le difficoltà dovute alla distanza tra il reparto produttivo che sta in Italia e le varie filiali nel mondo.
Perché la “leadership condivisa” con suo marito? Quale il valore della differenza di genere nelle imprese?
La leadership condivisa ha permesso a me e a mio marito, Massimo Bianchi, di poterci alternare nell’amministrazione dell’azienda, senza dover rinunciare alla formazione professionale, all’aggiornamento continuo, allo studio dei prodotti del futuro e all’evoluzione del mercato. Non ci si fossilizza sul ruolo, ma ci si rimette sempre in gioco. Ovviamente abbiamo due approcci diversi, lui più concreto e vocato al prodotto, io più sognatrice e aperta agli stimoli del mondo esterno.
Il suo punto di vista su industry 4.0 di cui molto si parla ma che si fa fatica a vedere applicata nel nostro Paese
L’innovazione in azienda è strategica. Ad un patto però: che non si pensi che bastano le tecnologie per fare innovazione. Ci vuole un humus fertile in grado di stimolare e far germogliare la voglia e lo spirito innovativo. Per me la quarta rivoluzione industriale (come un nuovo rinascimento italiano) necessita di imprenditori visionari, che sappiano identificare i bisogni inespressi del mercato, stimolare la circolazione delle informazioni, puntare su quello che è di fatto il vero e unico motore dell’innovazione: il capitale umano.
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