Se il futuro è già ieri, la storia è domani

Da 13 al 15 ottobre 2016 torna il Festival delle Generazioni a Firenze, dove è nato nel 2012. La sezione “Il Futuro è già ieri”, che sottolinea nel titolo l’accelerazione costante che viviamo e che ci fa sembrare passato quello che, soltanto poco tempo fa, consideravamo fantascienza, propone cinque eventi che mirano a favorire lo scambio tra nati analogici e nati digitali. Attraverso esperienze comuni che diano ai più giovani il senso della continuità e restituiscano ai più anziani il gusto di vivere, con meno apprensione, la contemporaneità con le sue trasformazioni culturali e tecnologiche.

E lo fa mettendo insieme scienziati, artisti, storici, musicisti, giornalisti, hacker, scrittori e comunicatori; tutti ad alto tasso di provocazione e ludicità (“cioè, giocate…” direbbe Nando, mio amico storico, “romano della Suburra” e caustico alla Pasquino).

Curatore di eventi: ma che mestiere è?

Sempre lui, Nando, che aveva letto in una qualche bacheca on line, una mia breve bio, arrivato alla definizione “curatore di eventi”, mi telefonò: “Curatore d’eventi, eh?…  a Ma’, ma che so’ malati… ‘st’eventi tua?”. Gli eventi no, ma alcuni protagonisti dei medesimi qualche problema di neuro stabilità talvolta l’accusano.

Il curatore d’eventi è un po’ curatore artistico, un po’ curatore editoriale, un po’ organizzatore strategico, un po’… : deve aiutare i protagonisti a esprimere al meglio i loro contenuti, a facilitarne la relazione con il pubblico, a essere coerenti con lo scopo e il tema dell’evento. Nella quotidianità, il mestiere è molto meno asettico della definizione: il curatore si trova ad affrontare crisi isteriche, o addirittura di panico di soggetti ansiosi, a mediare tra agenti e organizzatori, a tenere compagnia a geni e pseudo geni insonni, a rivedere testi di corsa e in orari impossibili, a fronteggiare crisi organizzative. Nella ruspante visione di Nando “Cioè, er curatore ai protagonisti je soffia puro er naso e je cambia er pannolino”.

Ora si sta avvicinando rapidamente l’edizione 2016 del Festival delle Generazioni a Firenze, per il quale curo la sezione “Il Futuro è già ieri”: ad oggi, i miei protagonisti non hanno creato problemi, i fornitori sì, ma niente che implicasse un eccessivo esercizio delle qualità di psicologo, comunicatore ma anche inflessibile samurai che a un curatore non devono mancare. Ed ecco (da sinistra a destra) la bella squadra: Lia Celi, Andrea Santangelo, Luna Orlando, me, Leonello Tarabella, Raffaella Cosentino, Alessandro Baris, Antonella Sbrilli, Salvatore Iaconesi – Oriana Persico, Michela Santoro.

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I cinque eventi della mia sezione

Giovedì 13 pomeriggio cominciamo con la Storioterapia: intrecciando vicende e curiosità storiche con continui riferimenti al nostro presente, Lia Celi e Andrea Santangelo mostrano e dimostrano l’efficacia di un metodo di divulgazione storica battezzato “Storioterapia”, preso in seria considerazione anche da alcune scuole, dopo l’uscita del loro primo libro a quattro mani Mai stati meglio. Metodo che trova un’ulteriore, istruttiva ed effervescente applicazione nella rilettura, proposta dai due  “storioterapeuti”, della biografia della fiorentina Caterina de’ Medici (Caterina la Magnifica. Vita straordinaria di una geniale innovatrice). Saremo a Firenze e saremo praticamente alla vigilia della prima puntata de “I Medici”, la super attesa serie TV (con Dustin Hoffman, Richard Madden ed Eleonora Andreatta) che partirà lunedì 17 ottobre su Rai 1. Potevamo essere più coerenti e tempestivi, proponendo l’esempio di Caterina de’ Medici?

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La Storia ci serve per conoscere il passato, capire il presente e aiutarci a leggere il futuro: se, quando alziamo lo sguardo e vediamo nella volta celeste una stella cadere, stiamo guardando il nostro passato, quando ci volgiamo indietro verso le vicende storiche, stiamo in realtà scrutando il futuro. “La storia è domani” per dirla come Lia Celi, che così ha contribuito alla definizione del titolo di questo articolo.

Ma questi paralleli e paragoni della premiata ditta Celi-Santangelo sono davvero illuminanti o, piuttosto, troppo arditi e un po’ gratuiti? Sarà il pubblico, sollecitato a partecipare attivamente dalla conduttrice Luna Orlando, a stabilirlo.

Venerdì 14 mattina proseguiamo con Le frontiere raccontate dai giornalisti free lance. Nell’epoca dell’informazione digitale quasi interamente elaborata al desk, il rito dell’inviato sul campo è tenuto in vita oggi quasi solo dai freelance.

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Ma sono ancora tanti quei “drogati di partenze”, come li definiva Terzani, per i quali vivere è rimettersi in viaggio, per “quel senso di libertà che prende nell’arrivare in posti dove non si conosce nessuno, di cui si è solo letto nei libri altrui”. Insomma per quell’inestinguibile voglia di conoscere in prima persona, capire, raccontare.
Dai luoghi simbolo dei rifugiati in Italia, come Lampedusa, al confine serbo-croato, fino ai grandi campi profughi nel deserto giordano e al confine siriano; dal Kazakistan del petrolio al Libano dei campi profughi; in questi scenari complessi il ruolo del freelance è sempre più avvincente e decisivo per l’informazione di qualità.

Anche lei, Raffaella Cosentino, è una di loro: “una drogata di partenze e verità” che racconterà, anche ai suoi colleghi (sono previsti crediti formativi per i giornalisti), come ci si organizza per partire, vedere e raccontare gli angoli pericolosi del mondo senza avere la copertura di una testata giornalistica e auto organizzandosi. Contando soltanto sulla qualità del proprio prodotto perché abbia poi un mercato e quindi per poter vivere di questo affascinante e difficile mestiere. Sì, la narrazione di Raffaella è anche una cassetta degli attrezzi per l’inviato nell’era digitale.

Venerdì 14 pomeriggio è la volta di Generazioni di immagini: arte, tempo, persone. L’arte nel diverso immaginario di generazioni diverse. Perché l’arte non è degli storici o dei critici. L’arte è innanzitutto di chi la guarda, di chi c’entra in contatto, di chi l’interroga e s’interroga.

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Il tempo trascorre e si deposita sulle strade, sulle case, sulle persone, sulle storie di tutti i giorni. L’arte lo ferma in immagine. I protagonisti cambiano: ma chi erano? a chi somigliano? chi sarebbero ora? in che anno si trovano? potremmo essere noi? Esplorando insieme opere d’arte che raccontano di incontri fra generazioni, di passaggi, di salti nel tempo, proveremo a dare delle risposte insieme ad Antonella Sbrilli e Michela Santoro, due storiche dell’arte secondo la definizione ufficiale, due ludiche d’arte secondo me. Lo faremo con il loro contributo e quello di tutti i presenti, chiamati a commentare e raccontare le immagini, a suggerire collegamenti. La lettura collaborativa crea una rete sociale, on e off line, di esperienze personali e collettive che ruotano intorno alla continuità delle generazioni. Ancora una volta, analogico e digitale possono incontrarsi e fondersi.

Sabato 15 mattina: La cura, tutte le facce dell’Ospedale. Tranquilli, non discuteremo di terapie e pasticche. La vicenda di Salvatore Iaconesi e della sua malattia, raccontata ne La Cura, è solo lo spunto per parlare di “politica delle interfacce”: lo so, sembra una terminologia ostica e respingente, ma le interfacce sono nella nostra quotidianità. Quante volte, infatti, ci è capitato di dire, parlando di un’istituzione, di un’azienda, di un’organizzazione “Si è presentata con la sua faccia migliore (o peggiore)”?
In un linguaggio più tecnico, questa faccia metaforica prende il nome di “interfaccia”.

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Abbiamo continuamente a che fare con una molteplicità di interfacce: e cioè con tutti quegli elementi che ci consentono di interagire talvolta bene, talvolta male con difficoltà e con tempi infiniti (e talvolta non ci riusciamo neanche) con un qualche sistema.  Un’interfaccia può essere un’applicazione sul nostro computer, un sito web, ma anche quelle del mondo fisico: quando andiamo a uno sportello postale, quando paghiamo alla cassa automatica di Ikea, o anche quando dobbiamo semplicemente riempire un modulo. O quando abbiamo a che fare con il Cup di un ospedale.

Ecco, il modo in cui è fatto un ospedale, la sua interfaccia appunto, corrisponde a una codifica del mondo, in cui le cose sono possibili o impossibili, vietate o consentite, normali o indesiderate. Come si riprogettano le interfacce, per tendere a un mondo più inclusivo, giusto e libero? Lo vedremo insieme con Salvatore e Oriana Persico, partendo da alcune ipotesi che sono nate da “La Cura”, il libro-percorso che racconta una storia e un metodo e che ha dato origine a una serie di seminari tenuti in Italia e all’estero. Il “Futuro è già ieri” sarà un’ulteriore tappa della Cura per la condivisione e l’apprendimento collettivo.

Sabato 15 pomeriggio, l’ultimo appuntamento: il laboratorio-concerto In futuro, la musica… con Leonello Tarabella e Alessandro Baris.

Un salto nel futuro prossimo venturo. Nella nostra epoca così densa di tecnologia, è possibile fare attendibili supposizioni su come potrà essere la musica nei prossimi decenni, anche in base a quanto è già successo nella sua storia? L’uso del computer, e più in generale della tecnologia informatica, dà oggi modo di inventare strumentari e modalità espressive del tutto nuove, personali ed esclusive. I nuovi strumenti non sostituiranno ma affiancheranno quelli tradizionali, alla continua ricerca dei suoni della contemporaneità.

Il workshop, nel quale è inserito un concerto di 45 minuti (Collisions), è in tre tempi: presentazione, concerto, interattività. Prevede quindi anche l’intervento diretto del pubblico, che sarà invitato e guidato a utilizzare le apparecchiature.

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Il concerto è un intreccio tra le sonorità elettroniche degli strumenti touchless, che non hanno bisogno cioè di essere toccati per produrre suoni, inventati e utilizzati da Tarabella e le sonorità acustiche di uno strumento primordiale quale la batteria, affidata a un trascinante Alessandro Baris.

Il concerto è immerso nelle proiezioni, anch’esse interattive, create per Collisions dalla artist designer berlinese Moodif; un paesaggio sonico, visionario ed in continua mutazione, in un’affascinante esperienza immersiva che non lascia disoccupato nessuno dei nostri sensi. E ci mancherebbe che a “il Futuro è già ieri” ci limitassimo a sentire e vedere!

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