Storie a pezzi, tra colpi di scena e gioco combinatorio

Capita spesso, nel mio lavoro, di soffermarmi su singoli elementi. Nella fenomenologia della comunicazione si tratta di fatti autorevoli, che si ripetono in modo prepotente, tanto da qualificare di per sé un intero linguaggio. Se, come spesso abbiamo scritto, una storia si compone di un prima e di un poi, e se, come abbiamo sempre affermato, una narrazione ha bisogno di un set up iniziale, un inquadramento che giustifichi l’atto stesso del raccontare e di chi e di cosa si sta parlando e perché, è pur vero che il tempo della letteratura non è esattamente in linea quello della comunicazione digitale. Il tempo della narrazione, anche quella orale, non corrisponde ai codici, ai formati, e alle interazioni della comunicazione digitale di tipo “social”.

Da studioso della materia, per quanto possa prestare fede alle teorie classiche della narratologia – da Propp a Segre, da Genette a Bachtin, fino a Eco e Barthes, per approdare ai teorici della comunicazione cinematografica come Syd Field, Vogler o McKee – per quanto sia rispettoso di un’ideale struttura narrativa nel rispetto dei tempi di una storia, sono sempre più che convinto che i social network stiano stravolgendo il senso di questa sintassi.

La lingua dei social è fatta di iperboli, di momenti di tensione (climax) che vengono offerti in pasto al pubblico come degli incipit narrativi. Saranno poi gli utenti a ricostruire la storia di ciò che è successo prima e a prefigurare quello che succederà poi. Spesso, in effetti, capita che su un network vengano postate immagini, articoli o, più facilmente, video che alludono già a un fatto pregresso, qualificandosi più come l’acme di una reazione, un punto centrale di confronto, che come un racconto vero e proprio, il quale – come abbiamo detto – necessita di un tempo naturale di preparazione del contesto narrativo.

Quando Sgarbi attacca “Il Volo” in un video, esprimendo la sua opinione sul terzetto canoro, allude a un fatto che a monte si dovrebbe già conoscere (in questo caso il presunto rifiuto, da parte dei cantanti, di esibirsi nella serata di insediamento di Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti d’America. Quando, in un secondo video, sempre Vittorio Sgarbi si impegna a sbugiardare lo stesso gruppo affermando che un invito da parte della Presidenza americana in realtà non c’è mai stato, in realtà si presume che l’utente abbia seguito il botta e risposta tra le parti in causa (“Il Volo” e il loro manager) e la seguente comunicazione ufficiale da parte degli addetti stampa del Presidente in cui si precisano i nominativi degli invitati. Ho scelto questo episodio non per una particolare densità del contenuto, ma per una serie di ingredienti che oggi appaiono nella maggior parte della comunicazione dei social network. Li riassumerei in questo modo:

  • la notiziabilità del narratore o del protagonista del post;

  • il contenuto veloce e, spesso, esasperato che prelude alla ricostruzione dell’antefatto;

  • la decontestualizzazione del contenuto che, il più delle volte, diventa una performance a sé stante;

  • l’apertura della storia in tante direzioni, ognuna delle quali implica una rielaborazione e ridistribuzione del contenuto;

  • l’interazione con un Coro di Utenti in grado di aggiungere e sottrarre testo, e interpretare la narrazione con commenti, opinioni, dialoghi.

Non è un caso che stia prendendo piede, nel gran numero di informazioni che ogni giorno scorre nei social network, un formato davvero suggestivo. Si tratta di video estrapolati da un contesto originario, spesso video d’archivio, e riproposti come sorta di memento mori e riflessione sul senso della vita. Sono exempla gettati nel calderone del web che, come vere e proprie milestone imperdibili, riportano l’utente a una lettura consapevole di quello che ogni giorno digeriscono nevroticamente.

Lo storytelling di un Marlon Brando ospite del Dick Cavett Show – in una storica puntata del 1973 in cui il grande attore definisce la recitazione come un meccanismo di sopravvivenza naturale – diventa un monito attuale, spunto per una serie di commenti e considerazioni sull’attualità e sul mondo contemporaneo. Il video si conclude con una frase, «survive in your job», che diventa la chiave di volta per giustificare la disseminazione virale di questo estratto. Rivediamo lo schema:

  • notiziabilità – parliamo di Marlon Brando;

  • velocità del contenuto – il video dura poco più di 2 minuti;

  • decontestualizzazione – è un estratto e come tale non ci dà visione del resto dell’intervista nello show di Cavett;

  • apertura in direzioni diverse – è una riflessione sull’impossibilità di essere se stessi e sulla recitazione come capacità di mimesi delle persone finalizzata alla sopravvivenza;

  • l’interazione con gli utenti – ognuno riposta il video aggiungendo un’interpretazione differente.

Cosa è successo, quindi, per modificare in modo così radicale la struttura della narrazione? Prima di tutto il medium. In un recente report di Audiweb, presentato in un articolo il 12/01/2017, la total audience degli Italiani sul web ha superato i 25 milioni, con una crescita esponenziale dell’uso del mobile.

Il target maggiormente coinvolto è quello compreso tra 18 e i 24 anni, eppure si presenta con numeri impressionanti anche quello tra i 25 e i 34 e tra i 35 e i 54 anni.

Perché, dunque, è così importante questa diagnostica? Innanzi tutto, ci descrive un mondo in cui il comportamento di fruizione si è decisamente spostato su device che premiano contenuti user friendly, più facili e veloci nel consumo, orizzontali e di quantità nel flusso di produzione, e maggiormente predisposti a una facile interazione lato utente (commenti, condivisioni, aggiunte di contenuto); poi, perché, per sua natura il mobile necessita di un linguaggio di immediata evidenza e di sicuro impatto. Non è un caso il successo del click baiting così come non è un mistero l’integrazione dell’adevrtising nei contenuti nativi (native advertising).

Anche se ancora oggi questo passaggio non sembra così evidente, la struttura della comunicazione sta imponendo nuove regole, che privilegiano la frammentazione dei moduli, il gioco combinatorio, l’approccio cross-mediale e interattivo. Nell’aprile del 2011, l’ottimo web designer James Harris ha creato The Periodic Table of Storytelling, un fantastico wiki dedicato ai tropi dello storytelling. Dalle sue parole:

Le storie fanno un uso ricorrente di idee chiamate tropi che si ripetono nel genere e nel corso dei tempi. La community di TVTropes.org ha catalogato i tropi in un enorme wiki, e collezionando esempi d’ogni immaginabile tropo con scanzonata allegria. Ho creato la Tavola Periodica dello Storytelling come introduzione; si tratta di un’infografica che organizza i blocchi basilari del testo narrativo in formato familiare.

Qualora avessimo ancora dei dubbi sulla direzione delle storie sui canali digitali – direzione che sintetizzerei in frammentazione, gioco, climax, interazione – voglio segnalare un altro simpatico progetto. 3 words in Paris che è uno short concept film a esperienza interattiva creata dal collettivo francese Cokau. Per guardare il video, viene chiesto agli utenti di immettere tre parole chiave che descrivono la loro idea di Parigi. Una volta inserite il software elabora un video di 15 secondi, i cui contenuti rispondono alle categorie immesse, per raccontare un’idea della città. Il sito rielabora oltre 4.500 clip da un database di frame audiovisivo realizzati dal collettivo.

Il team ha coinvolto lo studio parigino di design Hello Hikimori per sviluppare un algoritmo che sia in grado di editare i video a una banca dati di circa 40mila parole chiave.

Un altro esempio dell’evoluzione delle storie in rete. Un altro esempio dell’importanza di maturare un approccio professionale al mestiere di storytelling designer.

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Laureato in Lettere Moderne, specializzato in management della cultura e progettazione europea, collabora con università, enti pubblici e imprese nel settore dell'innovazione e sviluppo sostenibile. Ricercatore e manager attento al cambiamento del mondo contemporaneo ha maturato competenze in diversi settori, dalle scienze sociali alla digital economy. È il fondatore della rete The Next Stop dedicata all'incontro tra il management culturale e l'innovazione, è fondatore di Lateral Training think tank dedicato alla consulenza sui temi del business coaching, corporate storytelling e marketing digitale. È trainer e formatore professionista, sia nell'ambito comportamentale che in quello del design di nuovi processi organizzativi. È presidente dell'Associazione Italiana Sharing Economy e Direttore Scientifico del primo festival di settore, il Ferrara Sharing Festival. È in via di pubblicazione il libro per Franco Angeli Corporate Story Design, manuale per la progettazione e gestione di storie d'impresa. È web designer e senior content marketer per passione, curiosità, professione. Ama leggere, scrivere, vedere film in quantità industriale e occuparsi di nuove tendenze e linguaggi dell'ambiente digitale. Non disdegna gli studi sulla gamefication e il game design. Ha fondato diverse riviste, Event Mag, Limemagazine, The Circle (ancora in pubblicazione). Dal punto di vista tecnico è certificato come: esperto di epublishing Amazon Kindle, esperto di newsstand application design Apple-iTunes store ed esperto di sistemi WooCommerce per wordpress.

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