L’agricoltura coglierà le opportunità del digitale?

Sarà una sfida epocale far ripartire l’agricoltura italiana” – afferma Roberto Reali del Dipartimento di Scienze Bio-Agroalimentari del CNR. “Storicamente dalla metà dell’Ottocento fino al 1930-50 l’Italia è stata all’avanguardia mondiale nel settore dell’agricoltura, sia in termini di ricerca che in termini di produzione. Il problema è che in questo momento stiamo attraversando una fase in cui l’introduzione di nuove tecnologie viene visto come uno strumento che non crea valore. Si pensa a quello che succederà nel breve periodo e non si ha una visione del futuro”.
Un periodo non proprio felice quindi per le aziende del settore agrifood che si approcciano al digitale.

Qual è la strada per innovare?

Bisogna fare attenzione a come si mette in atto l’innovazione. Una vera digital transformation ha un ruolo fondamentale nel costruire e creare informazioni che rendano in qualche modo il prodotto pieno di senso e significato. Questo è un passaggio che il sistema economico ha difficoltà ad accettare. Si subisce una trasformazione, non si riesce a guidarla e questo è il vero problema del settore agroalimentare.
Se grazie a un progetto di digital transformation si riesce ad avere un sensore che controlla la quantità di pesticida che viene distribuito sulla frutta e questa informazione è, in tempo reale, sul cellulare del consumatore, si è creato per molti un circuito “diabolico” dove l’agricoltore non è più libero di sparare tanto pesticida per salvare maggior raccolto possibile. Ed è una cosa che i produttori vedono con grande diffidenza.
Il vero ritorno del digitale si ha quando oltre a superare delle barriere poste a monte ho a disposizione informazioni, strumenti e quindi potere che prima non avevo. Purtroppo le aziende non considerano tutto questo come un’opportunità per rafforzare la propria offerta sul mercato, ma piuttosto come impedimento e limitazione alla propria libertà.

Il management e la gestione dell’impresa sarebbe più sostenibile se ci fossero maggiori informazioni in merito alla gestione del suolo e alle condizioni delle acque? Ritiene che qui la digital transformation potrebbe aiutare?

Oggi non si può andare a imporre un metodo o un sistema di lavoro: occorre pensare a una strategia vincente. È molto difficile ma non impossibile. Ci sono aree, prodotti e filiere molto più evolute storicamente come quella del vino e dell’olio per esempio. In molte zone d’Italia si sta intervenendo bene e se si integrano le informazioni si può ottenere un vantaggio oggettivo. Il problema è trovare uno strumento efficace d’introduzione dell’innovazione.

Quanta importanza ha la sicurezza sui brevetti e gli ingredienti per un’azienda del settore agrifood?

La sicurezza brevettuale nel settore agroalimentare non ha un importante impatto come in altri settori industriali: è invece di vitale importanza il valore della trasparenza, che diventa un vantaggio competitivo. Meno si cerca la segretezza più si vende. Nella fase di trasformazione del prodotto la trasparenza è l’elemento che permette al consumatore di scegliere ciò che ritiene più sicuro. La realtà è un po’ diversa, è vero che si evitano fasi configurate come “proprietà intellettuale”, ma questo non vuol dire che non ci siano.

Anche la tracciabilità dei prodotti rappresenta un tema importante. In che modo le aziende possono utilizzarla a proprio vantaggio?

La vera sfida è avvicinare il più possibile il consumatore al prodotto, cercando in tutti i modi di trasferire all’interno del sistema di tracciabilità le informazioni che hanno una duplice valenza economica: aumentare la qualità dei prodotti sul mercato e costruire barriere all’entrata. Vi è comunque un atteggiamento diverso da parte degli attori della filiera di cui bisogna tenere conto in tutti i progetti di evoluzione tecnologica delle produzioni agroalimentari. Da parte delle industrie di trasformazione le informazioni riguardo le sostanze contenute nel prodotto (ad esempio come e cosa mangia l’animale, in quali condizioni vive, se gli vengono dati antibiotici, ecc.) sono essenziali per la vendita e quindi si impongono ai produttori una serie di standard di qualità crescenti. Da parte invece dei produttori la tracciabilità viene vista come garanzia del mercato, come una barriera per impedire l’ingresso di altri produttori specie da Paesi esteri. Si tratta di trovare un equilibrio tra questi due elementi che tendono, ognuno per sé, a massimizzare i profitti. Quanto sia delicato questo rapporto basta osservarlo nel caso recente dell’olio di palma: un rifiuto dei consumatori ha costretto ad una revisione completa delle strategie di prodotto dell’industria di trasformazione che non può non avere un impatto sulla catena produttiva.

È necessario un sistema integrato di controlli?

L’Italia è uno dei Paesi che ha i migliori sistemi di controllo a livello mondiale e, dal punto di vista della sicurezza sul cibo, è la migliore. La vera difficoltà è che più si aumenta il sistema dei controlli e l’integrazione, più si è obbligati a stare in un sistema rigido. Se si aumenta il sistema informativo della qualità inevitabilmente si farà più luce su questioni finora nascoste.
In generale invece un sistema integrato dei controlli è comunque utile alla filiera agroalimentare. Difficile conciliare la unicità del prodotto senza garantirne in modo chiaro la sua origine e le modalità di produzione. Le organizzazioni dei produttori sono fortemente integrate ed organizzate e risulta quindi difficile pensare che progetti di digital trasformation non possano essere rapidamente implementati se si volessero fare.
Abbiamo avuto molti interventi spot e articoli sui giornali: è tempo di cominciare a rendere l’innovazione parte integrante del processo produttivo. Le innovazioni sono note da tempo, ora bisogna cominciare a creare profitti: più si ritarda questo processo più ci si allontana dal mercato mondiale rifugiandosi in nicchie statiche e senza futuro.

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