Commenti intorno a una Italia quartultima in Europa sul digitale

Se DESI 2017 fosse un dialogo da bar:
Italia 25esima!
Bhè, non male!
Ma su 28…
[Silenzio imbarazzante].

L’Italia dal punto di vista del digitale, secondo il Digital Economy Society Index 2017, va a velocità ridotta rispetto al resto d’Europa e si posiziona quartultima superando di poco soltanto Grecia, Bulgaria e Romania.

Non che si volesse gareggiare, visto che già il DESI 2016 ci posizionava allo stesso posto in graduatoria con un punteggio (0,38) di poco più basso rispetto all’attuale (0,42) e ben distante da quello medio europeo (0,52). Anni luce lontani da Danimarca, Paesi Bassi, Svezia e Finlandia che raggiungono quasi uno 0,70, figurando anche tra i migliori Paesi a livello mondiale.

Non che si volesse dimostrare di aver dato importanza a un indice composito che misura lo stato di avanzamento del digitale in connettività, competenze digitali, uso di Internet, digitalizzazione delle imprese e commercio elettronico e e-government, ovvero uso di servizi digitali da parte dei cittadini.

Non che si volesse dimostrare con i dati quello che si racconta, si legge, si scrive rispetto a una attenzione particolare allo sviluppo digitale del Paese.

Ma margini di miglioramento indubbiamente vengono evidenziati.

Connettività

A voler leggere il mezzo pieno del bicchiere, in termini di connettività l’Italia ha fatto progressi grazie all’aumento della copertura delle reti NGA: rispetto al DESI 2016 si sono guadagnati ben 3 scalini della classifica: da 27esimi a 24esimi. Il mezzo vuoto evidenzia che, nonostante ci sia stata una diminuzione dei prezzi, la diffusione della banda larga fissa è ancora troppo bassa.

“Ma aumenterà” è stato già prontamente affermato (non solo al bar). Che il vantaggio di arrivare agli ultimi posti qual è se non quello di non arretrare ancora?

Capitale umano

Anche in questo caso potremmo raccontare una storia positiva di un numero crescente di persone che usano Internet (il 67% attuale a fronte del 63% del DESI 2016 e di un 79% medio europeo). Potremmo fermarci qui e non scendere nel dettaglio delle competenze che sono invece molto basse rispetto agli indicatori: invariato il dato degli specialisti IT (2,5% contro un 3,5% europeo) come quello dei laureati in STEM (14%, a fronte di un 19% medio).

“Ancora non siamo all’altezza, ma vedrai tra un po’ di tempo! Con tutta questa scuola digitale qualcosa verrà fuori. No?”.

Uso di Internet

In questo indice 27esimi eravamo e 27esimi siamo rimasti, visto che le attività on line degli italiani in rete sono molto inferiori alla media UE. In aumento solo gli utenti che leggono notizie in rete (passati dal 57 al 60%, ben distanti dal 70% della media europea), quelli che acquistano on line (dal 39 al 41%) e gli iscritti ai social network (dal 58 al 60%). Diminuite le persone che usano on line banking (42% a fronte di un 59% europeo), invariate quelle che usano Internet per comunicare con video chiamate (solo il 34% contro un 39% medio).

“Vabbè, poteva andare peggio. Poteva aumentare il numero delle persone che leggono bufale on line e non le sanno distinguere dalle notizie vere…o questo non viene calcolato dall’indice?”

Integrazione delle tecnologie digitali

Sulle imprese possiamo dire che l’Italia sta colmando il divario con l’UE, tanto che si è passati da un 20esimo posto del DESI 2016 a un 19esimo attuale. A crescere in questo caso le imprese che utilizzano la fatturazione elettronica (il 30% a fronte di un 18% medio europeo) e la percentuale di imprese che usano i social media (il 16% a fronte del 14% dello scorso anno e di un 20% medio). Ancora troppo poche quelle che fanno ricorso ai canali di vendita elettronici e che fanno e-commerce.

“Visto che la fattura elettronica non ha portato solo maledizioni, allora? O no?”

Servizi pubblici digitali

Bicchiere difficile da leggere su questo indicatore. Dato negativo: abbiamo perso posizioni visto che dal 17esimo posto del DESI 2016 siamo scesi al 21esimo, con un punteggio di appena 0,44 a fronte di uno 0,55 medio europeo. Altro dato negativo: sono scesi gli utenti che usano servizi digitali dal 18% al 16%, quando in Europa abbiamo un 34% medio di persone che usano la rete per servizi e-gov. Unico dato positivo: abbiamo più open data, ma non ovviamente come la media dei cugini europei.

“Qui avranno sbagliato dai! Io sapevo che sui servizi digitali eravamo maglia rosa. Vogliono sminuirci, dai!”

Commenti da esperti, non certo da bar

Gianni Dominici, direttore generale di ForumPA: i risultati DESI ci devono far riflettere perché un così forte ritardo in un settore così strategico come quello della digitalizzazione denota e tradisce un ritardo strutturale dell’intero Paese. Lo scorso anno, l’osservatorio agenda digitale del politecnico di Milano mise in evidenza come il risultati dell’indice fossero infatti direttamente correlati con quelli relativi alle dinamiche sociali ed economiche dei diversi Paesi coinvolti. In Italia c’è forte carenza di innovazione tecnologia sì, ma anche culturale, organizzativa ed istituzionale. Dobbiamo far crescere e mettere a sistema le energie vitali di cui il Paese è pieno favorendo la crescita e la diffusione di pratiche e soluzioni innovative. Nel mio campo principale, quello della pubblica amministrazione, siamo in una situazione di stallo ormai da troppi anni. Si continua a normare, a legiferare dall’alto quando, invece, quello di cui abbiamo bisogno è di istituzioni che facilitino la partecipazione sociale nella creazione di valore pubblico.

Alessandro Micheli, presidente Confcommercio Giovani e referente per l’Innovazione di Confcommercio: i dati sono implacabili, siamo in ritardo. Ma dobbiamo essere capaci – come singole aziende, come sistema e come Paese – di pensare in positivo ed identificare, in quella che certo non è una situazione rosea, le strade per uscire dal problema. E le strade ci sono: consapevolezza (e progetti per aumentarla) per risolvere il problema del digital divide culturale e pressione istituzionale per affrontare il problema del digital divide infrastrutturale. Pressione per invocare semplificazione e sburocratizzazione, ma anche per evidenziare come l’Italia sia fatta di centinaia di migliaia di piccole aziende che devono diventare protagoniste dell’innovazione e della digital transformation non tanto per una questione di moda, ma perché senza trasformazione digitale, in un mondo sempre più digitale, non c’è futuro. Ma questo vuol dire trovare una via italiana alla Digital Transformation, ossia comprendere come tale fenomeno possa essere reinterpretato in base alla cultura ed al valore reale dell’Italia. Ognuno di noi – istituzioni, strutture come quella che rappresento, aziende, singoli individui – oggi devono impegnarsi per un profondo cambiamento che è prima di tutto culturale ma che – come dimostra il DESI – non può prescindere da una dimensione infrastrutturale che non può che essere compito delle Istituzioni sviluppare. Detto questo sono convito che, lungi dal farne una questione generazionale, i giovani siano per l’Italia una grande risorsa sulla quale investire e nella quale credere.

Stefano Epifani, direttore Tech Economy: tanto tuonò che piovve. I dati – contro i quali ogni storytelling finisce per scontrarsi – non fanno che dimostrare quanto ormai solo poche voci isolate si affannano ad urlare: manca una strategia per il digitale. Non bastano poche slide di un piano pensato per un Paese culturalmente ed economicamente inconfrontabile con il nostro, né servono le dichiarazioni di principio. Servono fatti. Servono reti. Servono iniziative finalizzate a sviluppare e promuovere la cultura digitale. Non basta un Commissario per il Digitale che si occupa di ripensare i servizi della Pubblica Amministrazione in salsa Amazon, se il problema è costituito dal fatto che decenni di digital divide culturale hanno allontanato le aziende e le persone da un uso consapevole della rete. Servono iniziative per superarlo. Non basta un piano banda larga se poi per ogni chilometro di fibra steso servono letteralmente decine di autorizzazioni ed il piano rimane tale, lasciando nel più completo digital divide infrastrutturale milioni di persone e di aziende che hanno la “sfortuna” – come la maggior parte degli italiani – di non vivere (le persone) o essere collocate (le aziende) nel centro di Milano o di Roma. Parlare di incubatori va sicuramente di moda, ma se non si comprende che l’incubazione deve essere distribuita sul territorio e ad essere incubati non devono essere singole aziende ma veri e propri ecosistemi digitali per l’innovazione non faremo un solo passo avanti. Il supporto allo sviluppo del digitale passa per la costruzione di ecosistemi digitali. I competence center presenti nel piano Industry 4.0 sono sicuramente un segnale positivo, ma c’è da sperare che si pensi anche e soprattutto a tutto ciò che, in questo Paese, non è industria. Ad esempio alle piccole aziende ed alle persone.

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