Come fare Open Access? Rispettare il pubblico dominio

Giornata della liberazione a soli tre giorni dalla presentazione del libro Fare Open Access. La libera diffusione del sapere scientifico nell’era digitale, curato da Simone Aliprandi ed edito da Ledizioni. Quale miglior momento quindi per continuare a parlare di Open Access?

L’industria del copyright ha negli anni sviluppato degli “anticorpi” contro il pubblico dominio e ha trovato vari modi per mantenere il controllo su opere anche molto datate e quindi comunemente (ma anche ingenuamente) considerate ormai patrimonio dell’umanità. Celebre è la storia della canzoncina Happy Birthday che dopo decenni di diatribe legali è giunta finalmente a un chiarimento giudiziale solo nel 2016; e altrettanto dibattuta è la vicenda del Diario di Anna Frank che, vista la morte della protagonista e autrice risalente al 1945, sarebbe potuta teoricamente passare in pubblico dominio il 1° gennaio del 2016, se non fosse poi emerso che la versione editoriale dell’opera non è frutto del solo lavoro di Anna ma vede un sostanziale contributo creativo da parte del padre Otto Frank e di altri suoi collaboratori. Ma senza arrivare a questi casi (che in effetti risultano abbastanza complessi ed eclatanti), ci sono altre situazioni ben più semplici e più comuni in cui i titolari dei diritti riescono ad allungare nel tempo e nella portata il loro controllo su opere creative teoricamente già fuori tutela.

Gli artifici e gli stratagemmi sono vari e non possono essere illustrati nel dettaglio in questa sede. Tuttavia ad accomunarli c’è l’idea di incutere nei potenziali utilizzatori quello che nel gergo dei nuovi media è chiamato FUD, cioè fear, uncertainty, doubt (paura, incertezza, dubbio). Secondo questo approccio, non conta tanto la legittimità di una pretesa o la reale sussistenza di un diritto; ciò che conta è incutere timore nei potenziali utilizzatori in modo che, presi appunto dal dubbio, preferiscano astenersi per non incorrere in scocciature legali.

È un metodo deprecabile quanto diffuso nel campo dei brevetti per invenzione, dove spesso i grandi nomi dell’industria tecnologica sostengono di avere brevetti in quasi tutti gli ambiti di loro competenza ottenendo così l’effetto di scoraggiare eventuali concorrenti (più piccoli e meno attrezzati) i quali, spaventati dal rischio di una faticosa e impari battaglia tra avvocati, preferiscono fare un passo indietro. Lo stesso può verificarsi nel campo del diritto d’autore di cui ci stiamo occupando, con la differenza che qui ad uscire danneggiati e a rimanere interdetti dal FUD sono i comuni utilizzatori e non solo le aziende concorrenti.

Chi produce contenuti scientifici o si occupa di divulgarli e vuole farlo in ottica Open Access dovrebbe assolutamente astenersi dall’attuare questi artifici e dovrebbe invece essere molto chiaro e trasparente sullo status di copyright delle proprie opere.

Forse sembrerà superfluo, ma visto che lo vedo accadere sempre più spesso tengo a segnalarlo: anche applicare una licenza “open” su un’opera di pubblico dominio è una prassi assolutamente deprecabile quanto insensata. Il passaggio in pubblico dominio implica che non vi è più alcun titolare di diritti di privativa e dunque nessuno ha più alcun titolo per regolamentare l’utilizzo dell’opera con una licenza.

Articolo sotto licenza Creative Commons Attribuzione – Condividi allo stesso modo 4.0.

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