Advert killed the Youtube Stars

In questi ultimi giorni uno YouTuber abbastanza noto ha dedicato un video alla questione Adpocalypse, coinvolgendo in modo diretto la nota piattaforma di broadcasting. Lui è Alessandro Masala, classe 1984, ha fondato e cura il canale Breaking Italy, uno di quelli che si è preso la briga di commentare in modo intelligente e acuto i fatti del mondo contemporaneo, dalla politica alla società, costruendo un suo personale fil rouge narrativo. La questione del video è spinosa. Io ve la riporto in tutta la sua controversa natura, dopo aver eseguito un’attenta ricerca.

Il 2 aprile del 2017 esce sulla pagine del Mail on Sunday (supplemento del Daily Mail, uno dei più importanti quotidiani britannici) un’inchiesta che ha fatto ribellare gli advertiser. Google avrebbe fatto cassa su un video realizzato dal tedesco Jeörg Sprave, appassionato e ossessionato cultore delle armi che nel suo The Slingshot Channel avrebbe mostrato come perforare con un coltello un giubbotto antiproiettile della polizia inglese, simile a quello che indossava l’agente Keith Palmer, assassinato per accoltellamento durante l’ultimo attento a Westminster. Il video in questione, How To Pierce A Stab Proof Vest pare sia rimasto on air (così sostiene il Daily), per più di sei mesi, garantedo a Google e YouTube un guadagno dalle pubblicità.

Il canale è nato nel 2008 e ha 1.700.000 iscritti per quasi 250 milioni di visualizzazioni. Va da sé che Sprave, con quei numeri, può vantare un podio eccezionale nella graduatoria dei big creators YouTube, con tanto di targa a certificarne l’operato.

Ecco quindi che il bubbone sta per esplodere. Sì perché, come spiega bene Alessandro, il principale introito di YouTube è quello pubblicitario, e se uno spot appare immediatamente prima di un video controverso, magari con milioni di visualizzazioni, secondo l’idea più classica del marketing le due cose vengono di fatto associate. Quello che passa è che chi fa promozione dei propri prodotti o servizi unendosi a un contenuto così in parte ne condivida e ne sposi le posizioni. È un modo piuttosto antico di concepire il broadcasting pubblicitario. Primo perché spesso le pubblicità sono associate in modo casuale e obbediscono più a requisiti di conoscenza ipotetica del singolo utente che ad affinità di contenuto. I sistemi pubblicitari agiscono in riferimento al tracciato di un profilo e all’ideale identikit risultato dei suoi dati sensibili e dei suoi comportamenti in rete, piuttosto che semplicemente avvicinare un prodotto o un servizio da promuovere all’ argomento di un video. Poi, come seconda osservazione, il più delle volte i reali deus ex machina dell’investimento pubblicitario sono i centri media, sono loro a occuparsi della corretta pianificazione del palinsesto di comunicazione di un’azienda.

Comunque, senza tirarla per le lunghe, prima del video inquisito compariva una pubblicità di NetFlix. E così una serie di grandi brand hanno chiesto a Google di cominciare a creare delle barriere e hanno tuonato: non vogliamo più in nessun modo associare gli spot delle nostre offerte commerciali a contenuti controversi. Naturalmente, la prima a essersi mossa è stata la politica. A seguire, riportate in lingua inglese, alcune dichiarazioni riportate dal tabloid britannico circa la spinosa questione del video di Sprave:

Home Secretary Amber Rudd condemned the video and demanded that YouTube take action to ensure similar films are banned. She said: ‘We will not tolerate the internet being used to hide terrorist activities or, as The Mail on Sunday has revealed, provide information to assist them in their terrible activities.’

Labour’s Yvette Cooper, chairman of the Home Affairs Select Committee, said: ‘The idea that YouTube and Google should profit from something so depraved is appalling. When are Google going to get their act together and stop making money out of vile hatred?’

Poi, sono intervenuti I commenti di alcuni viewer, che hanno ritenuto la cosa deplorevole.

One member of the public commenting on the video wrote: ‘Thanks to you, a lot of people now know how to kill a police officer.’ 

And another outraged viewer wrote: ‘I work in corrections [prisons]. You are putting my life in danger.’

Criticato per essere un abituale fomentatore di violenza, anche a causa di un video precedente nel quale insegna a sparare una freccia d’acciaio sugli scudi di protezione della celere tedesca, Sprave a commento dell’attento di Westminster e in sua difesa ha dichiarato:

 “I feel sorry about what happened to the policeman in London. He should have had a gun to protect himself. If they change police equipment because I have shown it is vulnerable then I may be saving some lives”.

Per un momento chiudiamo la questione e torniamo al discorso di Shy (alias di Alessandro). Lui nel video racconta quanti siano ormai i brand ad aver aderito a questa nuova forma di censura preventiva. Noi abbiamo citato NetFlix. Altri nomi sono McDonalds, Hyundai, Johnson&johnson, Walmart, Audi, Starbucks, Nestlé, Honda, Volkswagen, L’Orèal, Verizon, Pepsico, Heinz, BBC e tanti altri. Uniti nel nuovo anatema: mai più associati a un contenuto politicamente scorretto, violento, pericoloso, pena la sospensione degli investimenti pubblicitari. Un aut aut durissimo che, visto l’episodio, può farsi forte della presunta leggerezza di Google nel controllare i suoi creators. Eppure, come spesso avviene, a farne le spese non sono solo gli Sprave della rete che, magari, possono aver peccato senza dubbio di qualche eccesso. Nel suo caso basterebbe convincerlo che non è il caso di fomentare i pazzi in giro. Chi, invece, ne farà le spese sono tutti quelli che hanno deciso di fare controinformazione o impegnarsi in forme di intrattenimento più intelligenti del “cazzeggio” puro, e che ora rischiano di essere annoverati tra gli “scomodi” del web. Attenzione, anche se è molto affascinante l’idea del futuro alla Fritz Lang, la grande catena di montaggio con milioni di operai che lavorano dalla mattina alla sera nei ciclopici ingranaggi della neo-industria, fuori dalla distopia di Metropolis ci troviamo faccia a faccia con il mondo reale dell’intelligenza artificiale, con una Google che affida agli algoritmi e ai robot il compito di scremare i contenuti buoni dai contenuti cattivi. Non c’è lavoro umano a farlo, ma automazione allo stato puro. Quindi, conclude Shy, tutti quei creators che in qualche modo toccheranno argomenti scottanti contenenti parole chiave inserite in possibili black list, e che magari hanno ottenuto commenti negativi da parte di quegli utenti che reagiscono all’intelligenza come un pipistrello al neon sparato in faccia se la vedranno davvero brutta. I robot non possono interpretare un ragionamento, classificano in base al riconoscimento di keywords.

Alessandro Masala parla di una riduzione dell’introito pubblicitario di circa il 70%. E le ragioni sono varie: il motore di YouTube cerca di relegare in un angolo i content creators scomodi o che il sistema ritenga tali, facendo in modo che siano meno in evidenza, che ricevano meno segnalazioni circa gli update sulle Tendenze e via dicendo. Si prova, cioè, a soffocare la nicchia fino alla sua estinzione. Come dire: emarginiamoli, isoliamoli e non daranno più fastidio. Per farlo, ha modificato i suoi algoritmi per offrire agli investors pubblicitari la possibilità di comparire solo in video nei quali non vengano in alcun modo toccati argomenti controversi, scottanti, o che possano offendere il pubblico.

Questo il video

Per molti che hanno scelto di costruire un progetto sulla piattaforma di broadcasting la sostenibilità, infatti, diventerebbe un grande problema. Avverte ancora una volta Masala: lo stesso PewDiePie, lo youtuber più famoso al mondo, sta seriamente pensando di migrare su Twitch.

Non passa più di qualche ora che un altro big di YouTube, posizionato su argomenti e modelli di contenuto diversi, dice la sua sulla questione della censura preventiva. Stavolta la voce è quella di FaviJ, ad oggi lo YouTuber italiano con il più alto numero di iscritti e il suo, vera rarità, è uno dei primi interventi seri (così dice lui stesso). Come già per Braeking Italy, sotto accusa sembra essere il beta testing da parte di YouTube della nuova opzione offerta all’utente. La Modalità con Restrizioni, vero e proprio filtro che, se attivato, avrebbe la capacità di censurare i video che ospitano riferimenti a droghe e alcol, sesso esplicito, violenza, linguaggi non appropriati, misfatti del mondo politico, riferimenti al terrorismo, espressioni oscene, parolacce, eccetera, eccetera.

Guarda il video

Praticamente un filtro creato da YouTube per censurare YouTube, visto che la maggior parte dei creators attira pubblico proprio grazie alla straordinarietà (ovvero vocazione a uscire fuori dall’ordinario) dei propri contenuti. Ovviamente, commenta FaviJ, l’attivazione della modalità è facoltativa e si spera che l’utente medio, che forse è proprio quello che va a caccia di video sorprendenti, non ne faccia alcun uso. Qualora si decidesse, però, di applicare il filtro la piattaforma assumerebbe l’aspetto dell’ideale sito per minori, tra schermate di gattini sorridenti e trailer degli ultimi film della Pixar o della Dreamworks. Pur con qualche bag. Nel video, lo YouTuber applica la Modalità di Restrizione per controllare quanti dei suoi 1.286 video sarebbero disponibili e, dopo aver mostrato il drastico ridimensionamento, ne apre uno a caso e, sorpresa, presenta ancora i famigerati contenuti sotto accusa. Per dire che il filtro, di fatto, non funziona nemmeno così bene.

Questa cosa fa molto riflettere. Qualche settimana fa, ho visto un video di Vincenzo Cosenza, strategist e responsabile della sede romana di BlogMeter, dal titolo: Chi sono gli Italiani su YouTube. Grazie a un ricerca di Google è possibile sapere come sono divisi i 24milioni di utenti del Tubo nel nostro paese. Riassumo:

  • 53% uomini, 47% donne
  • 39% over 45 anni, 42% 24 – 44 anni, 19% 16 – 24 anni
  • 30% cerca contenuti esclusivi, 23% qualcosa da imparare, 20% notizie, 14% informazioni sui prodotti e servizi, 9% istruzioni per svolgere una mansione, 45 offerte o promozioni dei brand
  • 58% musica, 27% cucina e ricette, 22% sport, 21% tutorial, 18% tecnologia ed elettronica, 17% show televisivi, 16% notizie, 15% scienza e didattica, 13% umorismo, attività fisica, auto, beauty

 

Guarda la ricerca

Ora, è evidente che qualsiasi modalità di censura creerebbe un circolo vizioso da cui sarebbe impossibile uscire. Ad esempio, il fatto che per andare incontro alla presunta necessità di decoro a favore del pubblico e delle aziende si metterebbero in difficoltà i creatori di contenuto che di fatto rappresentano la reale ragione del perché gli utenti vanno su YouTube e delle conseguenti opportunità di investimento per gli advertiser. Inoltre, dalla ricerca appena sopra in evidenza appare chiaro che la forbice di utenti che maggiormente segue la piattaforma e che rappresenta ben l’81% del pubblico va dai 24 anni agli over 45. Ci sentiamo di dire che, per quanta possa essere sviluppata la sensibilità che alberga negli animi di molti di questi, per quel che riguarda la censura dovremmo essere fuori pericolo. A meno che, come spesso succede, ci troviamo di fronte a un sistema culturale che racconta un Paese davvero alla frutta, di fatto avviluppato da logiche reazionarie che puntano alla standardizzazione dei cervelli con trasmissioni e programmi low profile e di cattivo gusto che vengono tollerati solo perché ipocritamente ritenuti innocui. Poi, mi chiedo, ma a guardare bene, quanta tv, quanta pubblicità, quanta spazzatura oggi rappresentano la vera pornografia e perché viene lasciata in pace? Bacchettonismo o convenienza? Ai posteri anzi, ai postumi l’ardua sentenza. Ma noi siamo sicuri che YouTube saprà raggiungere gli auspicati equilibri pur di trattenere nel suo ecosistema i contenuti che oggi l’hanno reso il terzo sito più visitato al mondo.

 

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Laureato in Lettere Moderne, specializzato in management della cultura e progettazione europea, collabora con università, enti pubblici e imprese nel settore dell'innovazione e sviluppo sostenibile. Ricercatore e manager attento al cambiamento del mondo contemporaneo ha maturato competenze in diversi settori, dalle scienze sociali alla digital economy. È il fondatore della rete The Next Stop dedicata all'incontro tra il management culturale e l'innovazione, è fondatore di Lateral Training think tank dedicato alla consulenza sui temi del business coaching, corporate storytelling e marketing digitale. È trainer e formatore professionista, sia nell'ambito comportamentale che in quello del design di nuovi processi organizzativi. È presidente dell'Associazione Italiana Sharing Economy e Direttore Scientifico del primo festival di settore, il Ferrara Sharing Festival. È in via di pubblicazione il libro per Franco Angeli Corporate Story Design, manuale per la progettazione e gestione di storie d'impresa. È web designer e senior content marketer per passione, curiosità, professione. Ama leggere, scrivere, vedere film in quantità industriale e occuparsi di nuove tendenze e linguaggi dell'ambiente digitale. Non disdegna gli studi sulla gamefication e il game design. Ha fondato diverse riviste, Event Mag, Limemagazine, The Circle (ancora in pubblicazione). Dal punto di vista tecnico è certificato come: esperto di epublishing Amazon Kindle, esperto di newsstand application design Apple-iTunes store ed esperto di sistemi WooCommerce per wordpress.

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