Maternità come master: intervista a Riccarda Zezza

Imprenditrice, ricercatrice, docente. Riccarda Zezza si definisce una che “si batte perché i modelli di lavoro, di mercato e di società che seguiamo assomiglino di più a noi esseri umani e facciano spazio alla nostra umanità”. Laurea in comunicazione, co-autrice del nuovo metodo di apprendimento MAAM, La Maternità è un Master, amministratrice unica della startup innovativa che distribuisce la piattaforma digitale di MAAM per le aziende sul mercato italiano e internazionale, socia ad honorem del Cesvi, Presidente di Piano C e Ashoka Fellow, la più grande comunità internazionale di imprenditori sociali.

“Dopo 40 anni di vita seguendo le regole – spiega Riccarda Zezza – un po’ alla volta ho scoperto che tante cose non hanno un perché: si fanno così solo perché “si sono sempre fatte così”. Così 5 anni fa, dopo aver capito, anche grazie alla maternità, che l’amore mi dava un posto nel mondo, ho cominciato a mettere in discussione tutto quel che mi sembrava non ci rendesse felici. E ho scoperto un mondo di possibilità”.

Maam, Maternity As A Master: come nasce, perché e come si è sviluppato dal 2013 a oggi?

MAAM è nato da un dubbio: possibile che la maternità, inevitabile (per fortuna) avvenimento della vita, sia sempre stata e sempre sarà un problema sul lavoro, in tutto il mondo?

E come mai, intanto, i manager vengono spediti a fare “finte” vere esperienze di vita in corsi di formazione costosissimi, che attraverso percorsi di sopravvivenza e simulatori di volo tentano di far emergere doti di gestione della crisi, di attenzione ed empatia, che nelle attività di cura di ogni giorno emergono in modo naturale?

Andrea Vitullo e io ci siamo chiesti: non staremo sbagliando qualcosa? Rinunciando, a causa di uno stigma culturale, a una delle più efficaci esperienze di leadership?

Dal 2013 per oltre un anno abbiamo fatto ricerche in ambito neuroscienze, scienze comportamentali e teorie della leadership, oltre a condurre focus group e interviste individuali con donne e uomini italiani. I risultati hanno sorpreso persino noi: la genitorialità è a tutti gli effetti una formidabile palestra per la leadership e per le competenze manageriali.

Dalla fine del 2013, su questi temi teniamo workshop in molte grandi aziende come Ikea, Luxottica, Unicredit e Nestlé. Nel settembre del 2014 è uscito il libro “MAAM – la maternità è un master che rende più forti uomini e donne”. A ottobre 2015 abbiamo lanciato il programma online MAAM: la prima piattaforma digitale al mondo che le aziende possono acquistare per trasformare l’esperienza della genitorialità dei propri collaboratori in un’opportunità per scoprire e allenare competenze relazionali, organizzative e dell’innovazione (come l’ascolto, la gestione del tempo, l’empatia) fondamentali anche sul lavoro: una vera e propria palestra di sviluppo di capitale umano.

Il passaggio dalla formazione tradizionale all’online ci ha permesso di raggiungere le donne ovunque (oggi siamo in 164 città nel mondo, toccando Europa, Australia, America e Sud Est Asiatico) e soprattutto nel momento di massima complessità e opportunità, come è appunto il congedo.

In poco più di un anno, 15 grandi aziende hanno già acquistato il programma online, e oggi sono online oltre 2.000 donne, in Italia e all’estero.

Da marzo 2017 MAAM ha anche un percorso dedicato ai padri; una vera e propria “Business School di intelligenza emotiva” per manager di nuova generazione. 

Quali le competenze professionali che una donna sviluppa grazie alla maternità?

È scientificamente dimostrato che avere più ruoli rende più forti in ogni ruolo e che la maternità è una di quelle “finestre” per la neuroplasticità che consentono al cervello di apprendere e aumentare enormemente le proprie capacità.

Il World Economic Forum indica le cosiddette “competenze soft” come il fattore umano che farà la differenza per la competitività delle aziende nei prossimi 10 anni. La ricerca MAAM, in corso dal 2013, ha provato che l’esperienza di cura legata alla genitorialità può allenare e migliorare proprio le competenze trasversali più richieste oggi sul lavoro (competenze relazionali come l’empatia; competenze organizzative come la gestione del tempo; competenze dell’innovazione come la visione e la gestione del cambiamento).

Il primo passo è sapere che questo è possibile. L’incredibile potenziale di allenamento e crescita offerto da esperienze di questo tipo è sprecato, se lo si ignora. Per questo la consapevolezza è la prima chiave. I risultati raccolti dalle prime partecipanti rivelano un miglioramento nelle competenze allenate che va da un minimo del 5% a un massimo del 35%. 

Se è vero che le donne attraverso la maternità imparano a gestire meglio il tempo, come si spiega il dato riferito all’abbandono del lavoro al secondo figlio?

L’elemento culturale, la convinzione che “non ce la faranno” spinge molte donne a non tentare nemmeno: a entrare nell’esperienza della maternità già convinte di dover lasciare la dimensione professionale. A ciò si aggiunge la scarsità di servizi per l’infanzia, la rigidità degli orari di lavoro e della città, l’assenza di condivisione dei carichi di cura nella coppia. E’ un problema complesso, di cui MAAM tocca l’elemento culturale, coinvolgendo donne e aziende (e da un po’ anche i papà), ma c’è molto altro da fare, su più livelli. 

Cosa servirebbe davvero all’Italia per garantire parità di condizioni lavorative uomo-donna? Esistono esempi da copiare e incollare di altre realtà europee?

È incredibile come la maternità resti un grosso problema in quasi tutti i Paesi del mondo, dove più e dove meno. I più avanzati sono i Paesi del nord Europa, eppure neanche questi hanno ancora risolto del tutto il “problema”.

Nessun Paese ha raggiunto ancora la piena parità, ma potremmo ispirarci alla Francia per la loro capacità di organizzare i tempi delle aziende intorno ai tempi delle scuole, con beneficio di uomini e donne, e i Paesi del nord Europa per l’impulso alla condivisione del congedo parentale, che coinvolge quasi pienamente gli uomini. 

Ci sono esempi virtuosi di aziende che supportano le donne mamme? E le non mamme? 

Certamente le 15 aziende clienti MAAM (oggi ancora in prevalenza grandi imprese, come Poste Italiane, Unicredit, Unilever) sono casi di successo. Ma, anche grazie alle novità normative e fiscali degli ultimi anni sul welfare aziendale, anche le PMI hanno incominciato ad investire sul welfare e sullo sviluppo dei talenti, e in MAAM abbiamo pacchetti di accesso adatti anche ad aziende medie e piccole.

Come il digitale e i social network possono aiutare la parità? O, al contrario, hanno creato e stanno costruendo nuovi ostacoli?

La tecnologia è neutra: è sempre l’uso che se ne fa a determinare l’impatto positivo e negativo sull’uomo, sulle comunità, sulla natura, ecc. Anche per l’impatto sulla parità vale lo stesso metro di valutazione sugli strumenti. Faccio solo un piccolo collegamento con l’organizzazione del lavoro. Tutti possediamo gli ultimi gadget tecnologici, ma ogni giorno alla stessa ora saliamo sulle nostre automobili (o mezzi pubblici, motorini, biciclette) e ci rechiamo, tutti insieme in lunghe code insensate, in grandi edifici mal illuminati dove ci attendono il nostro pc, una fila sconsiderata di e-mail e una lunga serie di riunioni. Un modo di lavorare geloso e totalizzante, che compra il tempo e non i risultati di chi lavora e rischia di escludere qualunque altro interesse e attività, replicando una cultura autoreferenziale poiché potenzialmente sorda nel dialogare e recepire ciò che accade nella realtà. Un modo di lavorare che misura il lavoro solo in termini di tempo dedicato e non accetta cambiamenti di agenda: non viene messo in discussione dall’avvento di strumenti che renderebbero possibile – auspicabile … e persino efficiente – lavorare in modo diverso. Eppure stanno emergendo nuovi modelli che permetterebbero la “quadratura del cerchio”. Se ne vedono segnali nelle esperienze di multinazionali come Cisco, Microsoft, Siemens, che sperimentano con successo metodi di valutazione del lavoro basati sui risultati, e – anche in Italia – ripensano gli spazi lavorativi senza più dedicare una scrivania a ogni persona, incentivando così la possibilità di lavorare anche fuori dall’ufficio. Lo smart working (di cui social e digital sono solo una parte) è senza dubbio la modalità lavorativa emergente che maggiormente può impattare sulla parità di genere.

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