Internet, anche se ci ricordiamo poco, non c’è sempre stata. Ma cosa si faceva quando non c’erano ancora Google, le notifiche di Facebook, i messaggi di Whatsapp? Se queste domande si pongono a un gruppo di bambini di 8 anni, come fatto con le classi terze della scuola elementare Porta Fratta di Todi in occasione del contest lanciato in occasione dei 30 anni di Registro.it, le risposte che arriveranno saranno tutto fuorché scontate. “Ma quando non c’era Internet avevate la televisione?” o “Senza Internet si usavano le candele?” fino ad arrivare al bambino dal visetto scettico che sentenzia: “Secondo me Internet c’è sempre stata”. Perché effettivamente per i cosiddetti “nativi digitali” non è immaginabile un mondo senza “l’Internet”, tanto da associarla alla corrente elettrica, scontata per loro anche questa.
Per arrivare a raccontare il “prima”, i ragazzini hanno intervistato nonni e genitori: com’era la vostra vita senza Rete? E il risultato si è composto di una serie di racconti, disegni, battute riportate, poi, su una presentazione inviata a .iContest.
“Mia mamma ha detto che senza Internet si poteva giocare tutto il giorno con gli amici, all’aria aperta, in campagna. Si passava molto più tempo insieme”. Ragionando con i piccoli alunni, però, si arriva a una conclusione: possiamo farlo anche oggi e se ci rinunciamo non è certo per colpa o merito di Internet. Semplicemente sono cambiate le nostre abitudini: i genitori possono fidarsi di meno nel lasciare soli i figli, non hanno tempo per invitare amici a casa e preferiscono “parcheggiare” davanti a una fantastica baby sitter quale un’app, un video di Youtube, un social network, una chat di Whatsapp. Tutto questo senza contare che i piccoli nativi digitali, interrogati a riguardo, hanno detto di preferire di gran lunga una corsa in bici alla tecnologia.
Si aspettava per vedere il cartone preferito, si andava in biblioteca per fare ricerche scolastiche, si chiamava un parente lontano con il gettone dal telefono del paese e lo si poteva fare raramente, non si avevano a portata di registro elettronico voti e compiti, senza tg della sera non si riusciva a sapere cosa accadesse nel mondo, si leggevano tanti libri, ci si doveva incontrare “per forza” con gli amici perché a distanza non c’era contatto. Un mix di ricordi più o meno nostalgici che genitori e nonni hanno fatto ai ragazzini e che hanno aiutato loro a riflettere sulla utilità dello strumento Internet e ai genitori a ragionare su quanto, nonostante l’immancabile “era meglio quando si stava peggio”, non è tanto l’Internet a renderci migliori o peggiori ma piuttosto quello che di buono o cattivo riusciamo a catturare.
E allora cosa ci manca della nostra vita senza Internet?
Abbiamo chiesto anche ai nostri visionist, tutti più o meno romanticamente legati ai ricordi da nativi analogici.
“Ero una ragazzina – esordisce Valentina Spotti – ma a me manca un po’ ascoltare la radio per ore o guardare Mtv tutto il giorno aspettando che arrivi “quella” canzone o “quel” video magari per cercare di capire le parole senza avere il testo. Mi manca insomma quella serendipità, quella sensazione di inaspettato e di attesa di quando i contenuti te li propinavano e non eri tu a cercarli e trovarli”. Dello stesso parere anche Giovanni Boccia Artieri: “Mi manca quel senso di conquista che provavo ogni volta che riuscivo ad approfondire le cose che mi interessavano inseguendole per mesi in librerie, fumetterie, cineteche, negozi di dischi…le ore passate ad ascoltare un rif di chitarra da riprodurre senza poter chiedere a nessuno. Manca il piacere della ricerca”.
Di parere un po’ diverso Stefano Epifani: “Finchè saremo nelle condizioni di staccarle le notifiche non mi manca nulla. La cosa che temo di più è che si possa arrivare ad un giorno in cui le notifiche (e ciò che esse significano) non possano più essere disattivate, ma fino ad allora internet ha aggiunto moltissimo senza togliere troppo. Anzi: più che aggiungere ha cambiato, e la direzione del cambiamento è stata positiva. La rete vive di serendipity e quello a chi si riferisce Valentina Spotti è la consapevolezza di essere attivi o passivi nella fruizione dei contenuti, ed anche qui – se pensiamo agli algoritmi di Facebook o di Google – ci rendiamo conto che siamo molto meno attori delle nostre scelte di quanto non siamo portati a pensare. Internet ha cambiato molto ed ha tolto molto molto (ad esempio il valore di conquistarsi le cose in tempi più lunghi di una ricerca su Google e la consapevolezza che a volte una ricerca su Google non basta), ma ciò che ha tolto è compensato da ciò che ci ha dato”.
Per Fernanda Faini “manca il doversi ingegnare a trovare qualcosa (un libro, un articolo o un saggio in biblioteca), manca quella lentezza, manca a volte quella riflessiva ponderazione, mancano le lunghe telefonate al fisso quando cambiavi orecchio per non fonderlo, manca l’analogico del vivere. Ma c’è tanto, talmente tanto in più che queste mancanze sono compensate. E sono mancanze che in realtà forse affondano nell’inevitabile nostalgia per gli anni in cui si era giovanissimi. Il privilegio vero è avere avuto la fortuna di vivere questa evoluzione straordinaria dell’umanità. E impegnarsi perché resti qualcosa di positivo, cercando di limitare gli aspetti più neri. Non so se sia un medioevo digitale il nostro, come qualcuno dice. So solo che è un momento determinante per dare la rotta al futuro”.
Rosanna Consolo parla invece di reperibilità e irreperibilità. “La Rete ha innegabilmente aumentato le chance di reperibilità immediata, ampia, accessibile e anche gratuita di molti saperi, fonti, prodotti culturali, informazione e conoscenza in modo ubiquo, attribuendo nuova prospettiva anche al qui e ora. Ma ha fatto sparire quasi del tutto l’irreperibilità. Questa mi manca”.
“Mi manca la scoperta diretta e improvvisa di alcune persone – afferma Marco Stancati – non mediata da uno schermo o da un motore di ricerca. Mi manca il faccia a faccia come unica possibilità. Inseguii Alberto Burri a lungo all’inizio degli anni Settanta; poi fui tra pochissimi a entrare nell’essiccatoio del tabacco a Città di Castello, che era il suo studio, e a parlare con lui. Con Bruno Munari, il dialogo era una sorpresa continua: andavi per apprendere e Munari ti chiedeva di te. Di Federico Caffè conoscevi gli scritti; nel dialogo scoprivi un neo socratico che ti passava un metodo e ti faceva alzare lo sguardo verso prospettive diverse. Lea Massari era affascinante sullo schermo; nella quotidianità di più: era irresistibile. La mediazione digitale ci offre infinite possibilità, ma rischia di indurci a pensare che la conoscenza diretta sia surrogabile. Io la sento ancora come una ricchezza irrinunciabile”.
E voi? Qual è la cosa che vi è dispiaciuto più abbia portato via quel primo fischio del modem?
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