Una informazione rispettosa delle differenze di genere in ICT è possibile?

Titoli come “I migliori smartphone da donna” o “il lato rosa del digitale” per presentare una manager (il lato azzurro ovviamente non è contemplato, ndr) o ancora “la lista delle 10 donne più influenti nel digitale” dicono come il linguaggio utilizzato nel presentare notizie possa essere influenzato da stereotipi, soprattutto in un settore come quello ICT in cui le donne sono ancora troppo poche. Non perché lo si creda soltanto, ma perché i dati parlano di una Ue in cui le donne rappresentano solo il 16% degli addetti Ict e le studentesse iscritte a percorsi di formazione legati a questo settore sono meno del 17%. Un problema di disparità c’è ed è rilevato. Come c’è e si può toccare con mano quotidianamente un problema nel “raccontare” il divario.

Gi.U.Li.A. giornaliste, acronimo di Giornaliste Unite Libere Autonome, è un concentrato di ribellione e disobbedienza contro un modo di raccontare le donne che non le rappresenta nel loro vero valore. A leggere il manifesto di questa associazione, nata nel 2012, balzano all’occhio: difesa della democrazia e della Costituzione; libertà; svolta culturale; sapere, fatica, coraggio, competenze, talenti e creatività delle donne; uso della donna come corpo, oggetto, merce e tangente. Alla base di tutto la convinzione che “l’informazione, come l’acqua, sia un bene comune che appartiene a tutti i cittadini” e che come tale debba difendere l’immagine della donna dall’uso umiliante che troppo spesso se ne fa, costruendo una sua rappresentazione mediatica aderente alla realtà e rispettosa delle differenze.

Rispetto al passato – afferma la presidente di Gi.U.Li.A., Marina Cosila situazione in termini di presenza di donne in redazione, anche in ruoli apicali, è migliorata. Ma molto si deve ancora fare nel modo di raccontare le donne. Per questo in questi anni ci siamo focalizzate sulla formazione ai colleghi giornalisti”. Formazione che l’associazione promuove presso gli ordini professionali e che è finalizzata a sensibilizzare chi scrive rispetto al contrasto degli stereotipi di genere e a quel modo di raccontare le donne, citato anche nel manifesto, che non possa penalizzarle e umiliarle.

Nel 2014 – aggiunge una la segretaria di Gi.U.Li.A., Mara Cinquepalmiabbiamo pubblicato una guida a uso delle redazioni, in collaborazione con l’Accademia della Crusca, proprio per stimolare una riflessione in merito al rispetto delle differenze ripartendo da un uso corretto del linguaggio e quindi dalle regole della grammatica”. Che non significa semplicemente chiamare ministra la donna che ricopre questo ruolo o, peggio ancora, usare il femminile per screditare o ironizzare piuttosto che rispettare. “Abbiamo un numero ancora troppo elevato di persone – continua Marina Cosi – pronte a usare il femminile nei nomi e molto meno pronte a cedere una parte di potere. Capita poi di leggere forzature nel declinare al femminile, come nell’uso di presidentessa, che nascondono semplicemente ignoranza della lingua italiana”.

Oltre al linguaggio parlato e scritto, attenzione particolare deve essere riservata a quello iconografico che racconta o accompagna un racconto giornalistico delle cronache sulle donne. Per questo Gi.U.Li.A. ha promosso in questi anni il premio fotografico “Lo sguardo di Giulia”, dedicato alla rappresentazione della violenza nella coppia, alla conciliazione lavoro-famiglia e alla forza e all’ingegno delle donne.

Il gruppo locale Gi.U.Li.A. Lombardia – racconta la presidente – ha messo in scena uno spettacolo che merita davvero di essere visto e che ora è diventato video: Desdemona e le altre che parla del femminicidio in letteratura e in cronaca nera, e che è un po’ una radiografia di come e quanto il nostro modo storto di giornalisti di raccontare finisca con l’essere reiterato. Con questo spettacolo ridiamo la parola alle vittime di violenza, affinché questa passi a giornalisti e giornaliste che provano a rispettare il dovere di cronaca e la dignità delle vittime attraverso una informazione corretta”.

Il rispetto per le differenze di genere è un miraggio?

No – risponde Mara Cinquepalmi – ma è una questione culturale: noi possiamo fare molto ma se non si lavora in famiglia e a scuola tutto diventa molto difficile. Come giornalisti abbiamo il dovere di superare gli stereotipi attraverso i tanti strumenti che oggi abbiamo a disposizione. I social purtroppo non hanno fatto altro che far emergere le persone per quello che sono. Anche qui c’è bisogno di consapevolezza e formazione.

Maggiori speranze quindi per le ragazze?

Noi – risponde Marina Cosi – abbiamo voluto dare vita al progetto 100 donne contro gli stereotipi per dare dei modelli positivi di riferimento che crediamo possano aiutare le donne di domani a trovare il coraggio di realizzarsi.

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