5 esempi per capire che ai clienti non interessa l’organigramma aziendale

  • Omnichannel, customer centric, seamless: sono tutti termini che dopo anni di discussione nella community degli esperti di settore sono diventati, con ottime ragioni, delle parole chiave nelle strategie delle aziende. C’è un problema però che le aziende faticano a inquadrare: ai clienti non interessa l’organigramma!

Che cosa voglio dire? Provo a spiegarmi con 5 esempi.

1) Viva la customer experience, purché rispetti i nostri processi

Il cliente, attuale o potenziale, interagisce con i brand in vari momenti e attraverso vari touchpoint. Ormai la letteratura su questo ha visto nascere, e a volte già morire concetti, come il momento della verità, i micro-moments, i modelli di attribuzione e tanto altro ancora.

Il problema è che le aziende stanno reagendo a questa situazione partendo dal punto di partenza sbagliato: la propria organizzazione interna.

 

Fonte: Google

Infatti, ogni area si sforza al meglio di gestire il rapporto con il cliente nell’ambito dei propri processi, dei propri confini, delle proprie procedure. Ma questo a noi consumatori non interessa! Se faccio un ordine online mi aspetto che il customer care che segue gli store fisici o anche la persona del negozio mi sappia aiutare. O che se ho un profilo sulla app questo non sia diverso dalla mia carta fedeltà. E così via, partendo da un disegno basato sulla customer journey map e non su altri presupposti.

2) L’innovazione è bella quando serve (non solo a fare scena)

Nel posizionamento delle aziende oggi presentarsi con una forte vocazione digitale è un fattore importante, e come ho già scritto in passato quindi fare “dei fuochi d’artificio” è molto utile, purché non sia solo quello lo scopo.

Se prendiamo ad esempio gli (esigui, ahimè) investimenti in innovazione digitale nel retail in Italia la percentuale di chi ha sviluppato almeno una innovazione digitale nel front-end a supporto della customer experience in punto vendita è elevata e copre quasi tutto il campione (91%). Si tratta però spesso di soluzioni scenografiche che offrono solo un beneficio limitato al cliente nel soddisfare le proprie necessità.

 

Ricordiamoci quindi che

a) l’emozione è importante ma si raggiunge sia con l’estetica che con la sostanza di un servizio eccellente

b) la soddisfazione di essere citati nelle riviste di settore è importante per gli stakeholder ma per i clienti non è un fattore cruciale nella conoscenza della marca. E, soprattutto, se la promessa non è mantenuta nei fatti, sono guai!

Dunque l’innovazione deve coinvolgere tutte le aree, e non solo quelle che si occupano di questo genere di attività. E tale concetto ci porta agli altri due concetti successivi.

3) È tutto pronto? Certo, abbiamo fatto il frontend!

E’ finita l’epoca dello shadow it e del Digital “giocattolo”sganciato dai sistemi seri di ERP. Senza l’IT e le funzioni di operation oggi la trasformazione vera è impossibile. Eppure spesso ancora si trascura di affrontare la readiness dei sistemi di backend come abilitatore necessario delle innovazioni che presentiamo al cliente.

Questo spesso avviene per i tempi e costi non banali necessari a intervenire su questi aspetti, e quando anche siano relativamente semplici i cambiamenti richiedono un grande sforzo di dialogo tra diverse funzioni. Ma lo spiegate voi al vostro cliente che riesce a fare due passaggi sul vostro home banking e poi deve fare il terzo in filiale perché dietro c’è un vincolo informatico? O che potete comprare via app i biglietti dei mezzi pubblici ma non l’abbonamento perché girano su due infrastrutture diverse?

P.s. quando il problema esploderà, ricordatevi che lo dovete spiegare anche al vostro Ceo, e anche a lui di massima interessa il giusto che cosa c’è dietro in termini di organizzazione.

4) Ora ci siamo attrezzati con la tecnologia per garantire la customer experience

La tecnologia oggi può fare davvero quasi tutto, è solo questione di tempi e costi. Ma poi nella realtà c’è un altro fattore che non viene meno in questa era digitale e customer centrica: le persone. Le persone dell’azienda devono essere parte attiva del lavoro sull’esperienza e citando da un mio recente articolo quello che afferma Forrester Researchwhat’s different now is how seriously CX pros are approaching it, investing resources and devoting headcount to the clear purpose of improving the end customer experience”.

Non basta quindi mettere a disposizione del tool dall’alto ma invece è l’experience per l’employee nell’utilizzo che diventa tutt’uno con il ciclo virtuoso della customer experience e quindi del risultato finale sugli obiettivi di business.

Questo, peraltro, tornando dunque al nostro tema degli organigrammi che non interessano il cliente, riguarda tutto il personale dell’organizzazione e non solo chi è a diretto contatto con il consumatore finale, dal design delle soluzioni alle procedure fino alla capacità di gestire il cambiamento.

Per questo nel recente convegno Ceo Roundtable di Fashion mi è piaciuto molto Hans Hoegstedt (Miroglio) quando, dopo aver parlato delle quattro leve su cui ha scommesso per il rilancio dell’azienda (persone, brand, retail e tecnologia), ha specificato «Di tutte la più importante è la prima: le persone. Oggi il successo viene dal basso e l’amministratore delegato non è tanto un decision maker, quanto soprattutto un direttore d’orchestra:il suo compito è in primis quello di coordinare, integrando il contributo di tutti, e in questo la tecnologia ci dà una mano».

5) L’e-commerce è una nostra priorità, soprattutto quando diventerà rilevante nelle vendite

Tutti devono investire in E-commerce. C’è un problema però: se parliamo, ad esempio, di moda l’e-commerce in Italia vale solo in media il 2% di penetrazione totale sulle vendite, con molti grandi gruppi che non si avvicino nemmeno all’1% (vedi su questo la ricerca pubblicata su Fashion n.33).

Anche se allarghiamo lo sguardo all’estero, a parte pochi top retailer in realtà gli altri raramente superano un’incidenza del 5% (vedi immagine sotto), valore rilevante ma non decisivo rispetto agli investimenti richiesti dal canale, che infatti in diversi casi resta per questo limitato.

Fonte: Digital Fashion Advisory

 E allora, è tutta una bolla e i clienti al di là di tutto preferiscono solo lo shopping fisico? Sbagliato, perché di nuovo se pensiamo all’eshop come a un silos gestito da un’unica unità organizzativa non vediamo come le foto, le descrizioni, l’accessibilità anche da smartphone dei cataloghi, i servizi di click and collect e di omnicanalità contribuiscono all’esperienza e alla preferenza del brand.

I modelli di interazione invece sono molti e devono essere pensati in modo seamless sia nella tecnologia che nell’organizzazione.

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Si occupa di Digital Strategy dal 2000 con, fin da subito, la convinzione che servano profili in grado di conciliare le logiche di business con una solida conoscenza della tecnologia in modo ibrido. Dal 2006 al 2014 è responsabile del Digital Marketing per un gruppo leader nel settore retail e successivamente, fino al termine del 2016, si occupa all’interno della stessa società dell’intero ecosistema della Customer Technology, facendo in modo di colmare la distanza tra Marketing, Change Management e gestendo l'Innovation Lab interno dell’azienda. Oggi ricopre un analogo ruolo di Digital Transformation a livello global per un importante brand del lusso italiano. Appassionato divulgatore con il blog http://internetmanagerblog.com, è docente in master e in corsi di alta formazione. Oltre ai viaggi digitali, ama conoscere nuovi posti anche nel mondo fisico.

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