Del valore della coerenza

Scrivevo qualche giorno fa sul mio profilo Facebook: “Forse la cosa che ci sfugge maggiormente di mano è la coerenza. Coerenza tra quello che si predica e quello che si pratica, tra intenzioni e azioni, tra ciò che appare e ciò che è. Senza coerenza, la credibilità traballa. E se manca la credibilità, manca la fiducia“.

Quanto è importante la fiducia dell’altro, dentro e fuori dal web? Quanto è importante che chi sceglie di leggere un nostro post o di lavorare con noi condivida quei valori che predichiamo, e che dovremmo anche razzolare? Quanto questa fiducia è presupposto per una lealtà che porta a un’evoluzione della relazione, con tutti i vantaggi del caso?

Domande retoriche, lo so.

Però, siamo onesti, ci scandalizziamo ancora davanti alla retorica, ma assistiamo al livellamento superficiale delle idee che sbatte in prima pagina le fake news e la conseguente scusa di non avere tempo per verificare e approfondire le informazioni. Quotidianamente, senza batter ciglio, preferiamo farci dare degli utonti piuttosto che andare oltre, “guardare sotto il tappeto” o differenziarci dalla massa.

Ricordi quando parlavo di pecoroni a proposito di content marketing qualche tempo fa? È molto più semplice seguire gli altri che battere una strada inesplorata.

Coerenza significa mostrare concretamente quello che si predica al vento, significa prendere posizione, significa non aver paura di mostrare nell’atto le intenzioni che agitano il pensiero. Significa dimostrare, attraverso l’esplorazione, la propria convinzione dell’esistenza di mondi nuovi. Significa anche sbagliare, certo. Ma farlo coerentemente con i propri pensieri, e non con quelli degli altri.

È una assunzione di responsabilità, che va oltre il “metterci la faccia”, perché implica un “metterci testa, faccia e braccia”.

Il problema forse non sono solo le fake news, ma le fake people, quelle che si arrovellano per apparire e mostrarsi sempre più perfette e omologate a degli standard definiti e circoscritti con il goniometro, quelle che «Fate quello che dico, ma non fate quello faccio».

Come esercitano queste persone false la loro natura? Comunicandola, attraverso i social, i blog, e tutto quello che mette un punto alla fine di ogni pensiero artefatto che poco si allinea con l’intenzionalità a monte della valle di ipocrisie (spesso neppure coscienti) digitate attraverso la tastiera.

Contenuti costruiti machiavellicamente per giungere al fine ultimo, l’applauso, il visibilio digitale che, però, poggia le sue radici su un terreno friabile, troppo arido per nutrire una pianta che, prima o poi, è destinata a perire. Ho letto da qualche parte che il coinvolgimento degli utenti, sui social, deve essere considerato un mezzo. Un mezzo? Davvero? Per quale scopo? Vendere prodotti o servizi?

Beh, sinceramente questa utilitaristica visione dell’altro mi ha stancato, e molto. Tu, che insegni all’ignavo imprenditore a usarmi (sì, perché anche io sono un utente, e forse non così tonto) e a stabilire una relazione con me solo per poi, alla fine, mettere una CTA che dirotti all’acquisto, stai affermando – implicitamente – che manipolando le mie emozioni puoi arrivare ai tuoi scopi.

Affermi il giusto, non te lo nego. Ma quando fanno lo stesso con te, come ti senti?

E no, adesso non mi dire che siccome lo fanno con te… Hammurabi è morto da un pezzo.

A me questa cosa, non piace. No, non piace per nulla. E credo che sia molto lontana da qualunque idea di innovazione. Perché l’innovazione dovrebbe – uso il condizionale a questo punto – toccare sfere più profonde e ampie della mera evoluzione tecnologica, dovrebbe naturalmente avvalorare il pensiero, più etico, più umano e più coerente.

Non esiste un breviario di casistica che indichi quale sia il nostro obbligo morale. Aristotele diceva che la sostanza è «ciò che non può essere predicato di un soggetto, ma quello che è esso stesso il soggetto». La mia visione, forse utopistica, è che questa essenza trovi giusta manifestazione nella sua attuazione, ma in modo trasparente e cristallino.

Tanto, se non ci pensiamo noi, ci penserà il karma o la legge di causa- effetto (per parlar di scienza): quello che dai, ricevi.

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