Negli ultimi decenni abbiamo assistito a importanti stravolgimenti nelle abitudini e negli affari dovuti ai cambiamenti causati dalla società dell’informazione: il noleggio di videocassette e dvd è sparito a favore dello streaming, la più grande catena del settore al mondo ha dovuto dichiarare fallimento (non prima di aver tentato una ricollocazione nel mondo dei videogiochi); la stampa delle foto è diventata questione per appassionati e la macchina fotografica a stampa immediata ha ritrovato vita come elemento vintage. Anche la musica, il vinile e i cd hanno fatto la stessa fine e sono relegati alla dimensione di oggetti da collezionismo. Gli esempi si potrebbero moltiplicare.
Mi domando che ruolo svolga il possesso degli oggetti nel mondo esperienziale della società liquida. La dissociazione con l’oggetto che incarnava la musica ha tolto un alone di mistero e di appartenenza che forse sarebbe meglio recuperare. Ma questo è un altro discorso.
L’avvento della musica digitale ha cambiato profondamente il mercato e, come sempre accade, il diritto ha dovuto far spazio alle esigenze delle persone e alla modifica delle abitudini. Anche i pochi artisti che ormai un paio di decenni fa fecero causa agli emergenti siti di sharing si sono dovuti arrendere e si sono visti costretti ad abbracciare il nuovo che avanza. Oggi il panorama musicale è molto frastagliato, molteplici sono i player e variegati gli strumenti giuridici e i contratti che si utilizzano per gestire le relazioni commerciali.
Gli store digitali assicurano ai titolari del diritto d’autore margini minimi, calcolati spesso in assenza di trasparenza, lasciando l’artista e l’etichetta con la sensazione di non essere sufficientemente remunerati per l’opera creativa. Il numero degli intermediari che alimentano il sistema non aiuta: artisti, etichette, mediatori tra etichette e store, infine gli store stessi. I contratti tra gli artisti e le etichette sono ancorati a un retaggio culturale legato al potere che le etichette avevano un tempo e i siti emergenti che si propongono di fare da tramite tra autori, etichette e store navigano in un mercato sostanzialmente immaturo e in continua trasformazione.
Attenzione però che una rivoluzione pare essere in agguato per tutti i sistemi basati sullo scambio delle royalty e in genere per tutto il mondo dell’entertainment: la blockchain. Alcuni auspicano la creazione di un database collettivo basato su un sistema open source, altri propongono l’introduzione di uno standard, ma è certo che il sistema basato sulla catena dei blocchi potrebbe rivoluzionare il mercato musicale e tutto l’impianto del diritto di autore. La blockchain, che permette di verificare in ogni momento le modifiche di un determinato sistema, garantirebbe la necessaria trasparenza sulla corresponsione delle royalty e i bitcoin, basati sul medesimo ingranaggio, si adattano perfettamente ai piccoli pagamenti per la fruizione dei contenuti musicali.
Significa che spariranno i grandi interlocutori e le grandi etichette? Significa che gli autori potranno gestire direttamente i rapporti economici con gli store con un sistema facile, efficiente e trasparente? Significa che le grandi major saranno costrette a concentrarsi sugli aspetti di comunicazione? Significa invece che saranno costrette a chiudere i battenti come Blockbuster? Solo il tempo potrà dirlo.
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