Digital Transformation: la rivoluzione silenziosa dei robot

Robotizzazione, ovvero, “il fenomeno di “sostituzione” con macchine o algoritmi di mansioni sempre più complesse prima svolte da esseri umani” spiega Stefano Epifani, Professore di Social Media Strategy presso La Sapienza, Università di Roma e Presidente del Digital Transformation Institute.

I robot, dunque, che rendono più semplice il lavoro manuale. I robot che sostituiscono o aiutano l’uomo nelle mansioni più faticose e si integrano con esso anche per la gestione dei processi più complessi. I robot che sostituiscono i lavori ripetitivi. Ma, chiarisce Stefano Epifani, “non è detto che l’uomo voglia essere sostituito se da quel lavoro dipende il suo sostentamento, e, d’altro canto, quando questa sostituzione sviluppa un vantaggio competitivo per l’azienda non è detto che tale sostituzione corrisponda con la scelta del singolo, né che possa essere una vera scelta anche dal punto di vista dell’azienda, se essa è costretta a farla per rimanere competitiva sul mercato”.

La robotizzazione potrà modificare la forza lavoro?

La risposta è affermativa. La robotizzazione lo sta già facendo. I robot industriali non solo hanno sostituito l’uomo nelle attività più faticose, ma quelli collaborativi hanno iniziato ad affiancare gli operai sulle linee di produzione. E’ la generazione degli esoscheletri robot, dal quello dell’Audi, che si infila come un pantalone e sostiene i lavoratori in posizione semi eretta, riducendo l’affaticamento agli arti inferiori, agli esoscheletri di Ford e Fca per gli arti superiori, che aiutano l’operaio a sollevare pezzi o utensili con peso da pochi grammi fino a 60 kg, all’esoscheletro completo di Hynday, che assiste sia gli arti inferiori che quelli superiori per sollevare pesi di oltre 100 kg.  Ma ci sono anche, l’esoscheletro di Panasonic, dotato di 4 sensori per mani e piedi e 20 servomotori o gli esoscheletri pensati per applicazioni in ambito manifatturiero, progettati da Iuvo, società spin-off dell’Istituto di Bio Robotica della Scuola Sant’Anna di Pisa.

Che ruolo rivestono i robot nella nostra società e nella nostra vita?

Un ruolo sempre più significativo. “I robot non si limitano ad assemblare componenti”, chiarisce Epifani, “ma scrivono giudizi legali, prescrivono terapie, propongono script pubblicitari. Compongono perfino sinfonie indistinguibili da quelle dei grandi compositori”. E sistemi sempre più avanzati vengono sperimentati per affrontare l’invecchiamento e i problemi a questo collegati, un business che interessa sempre più aziende e startup. L’aumento costante della popolazione anziana, infatti, è una realtà dei nostri tempi e l’Istat ci chiarisce che l’età media è destinata ad aumentare di 5 anni entro il 2065, con un picco di invecchiamento tra il 2045 e il 2050 quando la quota di ultrasessantacinquenni sarà vicina al 34%. Ed è proprio questa la sfida dei prossimi anni per Governi e istituzioni, ma anche per le cosiddette startup dell’ageing. Quelle cioè che puntano a migliorare la qualità di vita e diminuire i costi sociali di gestione legati all’invecchiamento della popolazione mondiale. Si tratta di aziende che intercettano bisogni reali e vi rispondono con soluzioni che vanno da sistemi per facilitare la mobilità a innovazioni per il caregiving, passando per il tema delle cure e della salute mentale, fino alle ricerche per prolungare ulteriormente la vita media.

In Europa, ne sono un esempio la Movendo Technology, startup di Genova partecipata (al 50%) e finanziata con 10 milioni di euro dal gruppo Dompé, che ha proposto un robot chiamato Hunova che facilita le terapie riabilitative e raccoglie dati per monitorarne l’efficacia e prevenire così patologie ortopediche o neurologiche. O Amyko, la startup ligure che ha ideato un bracciale salvavita che ricorda all’utente quando è il momento di prendere le medicine o l’appuntamento per una visita medica e HeartWatch, che ha ideato un sistema di riconoscimento facciale che attraverso una telecamera, che consente di rilevare parametri vitali come la frequenza cardiaca o quella respiratoria. Ma vale la pena citare anche la startup di Firenze Daivai con la sua piattaforma online per soluzioni tecnologiche che migliorano la qualità di vita, o QuicklyPro che ha ideato un dispositivo indossabile che facilità la camminata di chi ha problemi di mobilità, e una selezione di startup provenienti da Europa e Stati Uniti.

E la sicurezza?

Durante il Security and Analyst Summit (SAS) di Kaspersky Lab tenutosi a Cancun è stato ripetuto a gran voce che, se c’è grande attenzione al tema da parte di chi si occupa di sicurezza informatica, si registra contemporaneamente una scarsa sensibilità dei produttori di robot, PLC e dispositivi IoT. Uno studio ridotto realizzato su alcuni importanti attori del mercato americano (SoftBank Robotics, UBTECH Robotics, ROBOTIS, Universal Robots e Rethink Robotics Asratec Corp), ha scoperto, infatti, oltre quaranta vulnerabilità in una serie di robot, prevalentemente dispositivi destinati all’utilizzo in casa, in ambienti lavorativi e in catena di montaggio prodotti.  Non va meglio per i dispositivi più semplici, come i SCADA, i sistemi di controllo industriali. E addirittura peggiori le condizioni della sicurezza nelle telecamere IP, diffusissime nelle aziende di tutto il mondo, che, se mal realizzate, non solo non proteggono adeguatamente le immagini riprese, ma possono minare la sicurezza delle aziende stesse. E la situazione reale è sicuramente peggiore di quanto non costatino gli studi ridotti e gli esperimenti realizzati durante il SAS.

Un sfida affascinante, dunque, una “rivoluzione silenziosa”, come spiega Epifani, che va governata, tenendo presente che “il punto non consiste nel decidere cosa (non) debba essere consentito, ma nel capire in che direzione andare per dare a queste nuove tecnologie un senso sostenibile. Perché non saranno i robot il vero problema, ma la nostra incapacità nel dirgli cosa fare prima che siano loro a deciderlo per noi”.

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