Di rete in rete

Dopo un periodo sabbatico durato tre anni, riapre la rubrica Slow Economy Slow Tech.

Ripartiamo da dove ci eravamo lasciati, vale a dire dal dibattito ormai cronico sul futuro delle infrastrutture di telecomunicazioni nel nostro Paese, quelle che un tempo erano le autostrade dell’informazione e che oggi vengono definite le reti abilitanti della Gigabit Society.

Come ha recentemente ricordato Franco Bernabè, negli ultimi anni il dibattito sulle telecomunicazioni è stato caratterizzato da due tipologie di interventi: coloro che parlano a “vanvera” e coloro che sono in conflitto di interesse. Appare, quindi, saggio dichiarare innanzitutto che l’autore non ha più nessun conflitto di interesse in essere, lasciando al lettore la valutazione dell’altra fattispecie.

La Grande Storia

Se anche non insegnasse, la Storia fornisce sicuramente spunti utili e può consentire di evitare di intraprendere percorsi sconnessi. Prima, o almeno nel mentre, di lanciarsi in nuove avventure, vale la pena di dare un’occhiata a quanto di rilevante si è cercato di costruire negli ultimi venti anni. L’Italia è stata un laboratorio di iniziative, non sempre razionali, ma sicuramente molto innovative, dalla costituzione di Metroweb al Piano Romani sulla rete unica di nuova generazione, senza scordare l’ipotesi del Piano Rovati, il progetto pubblico-privato Trentino NGN e le valutazioni per lo scorporo della rete di accesso di Telecom Italia dell’inizio di questo decennio, fino all’avvio del progetto industriale Open Fiber (che ha acquisito Metroweb) nella versione per le aree competitive e in quella come concessionario per la realizzazione della rete a banda ultralarga pubblica nelle aree cosiddette “a fallimento di mercato”. Molti percorsi con il fine comune e condivisibile, di dotare il Paese delle infrastrutture più avanzate. In questi progetti ci sono tutti gli ingredienti necessari per trovare la ricetta giusta.

La fibra è per sempre

Per evitare malintesi e guerre di trincea è meglio smarcare subito il punto sulla tecnologia. Dal punto di vista tecnico, la fibra è il mezzo trasmissivo che garantisce i più alti livelli prestazionali per la trasmissione di informazioni e su questo è probabilmente possibile trovare ampia condivisione. Le analisi della Commissione europea sulla Gigabit Society ci spiegano del resto che la fame di banda sembra inesauribile e non possiamo che concordare che è bene predisporsi per abilitare servizi e applicazioni che oggi non possiamo nemmeno immaginare. Sembra allora scontato favorire in ogni modo un processo di infrastrutturazione il più esteso possibile, al fine di evitare nuovi divari digitali dopo aver conosciuto oltre un decennio di digital divide infrastrutturale sulla banda larga di prima generazione. Vanno però tenuti in considerazione due aspetti non marginali: il primo relativo alla convergenza delle reti di accesso fisse e mobili; il secondo legato al vincolo di bilancio e all’utilizzo ottimale delle risorse. A risorse infinite è possibile avere di tutto, di più e subito.

Sfumature di grigio

La concorrenza fa sempre bene. Nei settori ad alta intensità di capitale il problema è però sempre stato quello di conciliare investimenti, innovazione e concorrenza a beneficio dei consumatori. Come nella maggior parte dei Paesi europei il modello regolamentare prevalente ha favorito la concorrenza infrastrutturale, mentre in parallelo si autorizzavano interventi pubblici a sostegno degli investimenti privati, con varie modalità di intervento, indirette e/o dirette, incentrate sulle aree fallimento di mercato, vale a dire dove i privati non intendevano investire in un arco ragionevole di tempo. Il processo si è progressivamente complicato nel momento in cui i piani nazionali, pubblici e privati, si sono confrontati con nuovi obiettivi prestazionali e nuovi orizzonti temporali, al di là dell’anno 2020 dell’Agenda Digitale Europea e degli obiettivi legati alle prime definizioni di banda larga. Guardare al prossimo decennio e alla Gigabit Society, conduce sicuramente a rilanciare la sfida. In questo scenario è allora chiaro come si possa ridiscutere il ruolo dello Stato e del suo intervento. Da Stato facilitatore e finanziatore a Stato programmatore e coordinatore di interventi, fino ad arrivare alla proprietà e gestione di asset strategici. Senza però dimenticare gli effetti sul patrimonio e il valore dei diversi attori in campo.

Bocciati o promossi

In una delle ultime puntate del dibattito, la stampa ha enfatizzato la notizia della presunta bocciatura del progetto della separazione della rete di accesso fissa di Telecom Italia. Sul punto, il Commissario AGCom Francesco Posteraro ha chiarito come il progetto, in quanto proposta volontaria di Telecom Italia, non poteva e non può essere sottoposto a bocciature da parte del regolatore, visto che rimane nella libera iniziativa di un soggetto privato. Quello che l’Autorità valuta sono gli effetti sul contesto concorrenziale e la sede corretta è l’analisi dei mercati rilevanti, che definisce periodicamente l’assetto regolamentare del settore. In effetti, nella consultazione appena avviata, l’Autorità ha innanzitutto ribadito l’importanza della parità di trattamento riservata dal proprietario della rete fissa, i miglioramenti degli ultimi anni e, conseguentemente, anche l’ulteriore passo avanti che può rappresentare la separazione della rete in termini di trasparenza, certificabilità e uniformità delle prestazioni. D’altro canto però, l’Autorità ricorda che fino a quando la proprietà sarà unica, Telecom manterrà, di fatto, il controllo sulle decisioni di mercato e sui prezzi delle due società, potendo favorire entrambe le società (quella della rete e quella dei servizi).  In altri termini, il progetto rimane propedeutico a future evoluzioni societarie e eventuali aggregazioni, con lo snodo chiave del controllo e del consolidamento dei risultati.

Dividendo regolamentare

Per i puristi della regolamentazione, ipotizzare che un’Autorità di settore possa distribuire dei dividendi e addirittura in via preventiva appare sicuramente un ossimoro. Più che di dividendi occorre parlare di modelli regolamentari, ma anche in questo caso la scelta di campo è stata fatta venti anni fa, all’inizio del processo di liberalizzazione. Il diavolo è sicuramente nei dettagli, ma forse pochi sanno, o ricordano, che il modello di costo sottostante la definizione dei prezzi dei servizi all’ingrosso regolato è basato su una metodologia bottom-up a costi incrementali di lungo periodo, con l’aggiunta di una maggiorazione per il recupero dei costi comuni e una particolare attenzione al riuso delle infrastrutture esistenti. Semplificando, si tratta di un modello che stima i costi correnti che un operatore efficiente sosterrebbe per costruire una rete di nuova generazione moderna e efficiente, che nella fattispecie è proprio la rete in fibra ottica che tutti sogniamo (fino a casa dell’utente finale). All’interno del modello, il costo dal capitale è fissato in 8,64%, al quale si aggiunge il 3,2% di risk premium, applicato proprio alle reti FTTH (Fiber to The Home). Non sembra poi così male. Ben vengano modelli adottati in altri settori come ad esempio il settore energetico, ma senza dimenticare le specificità e l’esperienza finora maturata.

Destra-Sinistra

La rete è di sinistra e i contenuti di destra?  La rete è un bene pubblico e i contenuti sono i beni privati per eccellenza?  I vari Governi che si sono succeduti si sono impegnati su entrambi i temi anche se rimane vero come finora sulla rete le decisioni chiave sono state prese dal Centro-Sinistra, dalla privatizzazione di Telecom Italia fino all’ingresso in campo di Open Fiber e il recente ritorno nell’azionariato di Telecom attraverso Cassa Depositi e Prestiti. Negli ultimi due anni la “fibra” è entrata addirittura in due testi di legge, nel primo caso per regolare l’utilizzo del termine stesso (vera fibra vs soluzioni ibride) e, più recentemente, per favorire lo sviluppo delle nuove infrastrutture attraverso l’aggregazione volontaria delle reti di accesso in capo a soggetti non integrati verticalmente e indipendenti, con l’ausilio di “adeguati meccanismi”, che tengano conto anche del costo storico degli investimenti effettuati e della forza lavoro. Parallelamente, in Europa il nuovo Codice delle Comunicazioni Elettroniche identifica negli operatori wholesale only una tipologia di attore che potrà svolgere un ruolo chiave nella realizzazione delle nuove reti e nell’instaurazione di un nuovo contesto competitivo. Un ruolo dell’Autorità e una strumentazione tutta da costruire, chiarendo bene il confine tra politica industriale e regolamentazione.

La somma e il totale

Finanza e industria. Il confronto sulla finalità finanziaria e industriale delle diverse possibili strategie è già stato molto acceso. Quanto è il conto e chi lo paga? Esiste un ottimo paretiano? Le variabili in gioco sono diverse e la variabile temporale non è indifferente. Anche se nell’immaginario collettivo il settore delle telecomunicazioni rimane un comparto in salute, la realtà è tuttora contrastata, con investimenti che rappresentano ancora circa 1/5 dei ricavi (senza dimenticare i 6,5 miliardi spesi per le frequenze del futuro 5G) e una redditività sotto pressione per via della dinamica dei prezzi, con conseguenti potenziali tensioni occupazionali. Occupazione, investimenti, prezzi per gli utenti finali, sono queste le variabili critiche. Senza dimenticare il valore di mercato dei diversi soggetti che entreranno a fare parte della partita. Conciliare un progetto di lungo periodo con dei saldi positivi di breve è tutt’altro che scontato. La parola ai numeri.

Vito Gamberale, protagonista nell’epoca d’oro delle telecomunicazioni italiane sintetizza la situazione dicendo “Governo del cambiamento se ci sei batti un colpo”.

Siamo solo all’inizio.

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