Perché l’Hotel Principe di Savoia ha fatto bene a sparire dai social

Nel Sultanato dei Brunei entra in vigore la pena di morte per gli omosessuali e dal web spariscono i profili social di alcuni tra i più famosi hotel di lusso del mondo. Sembra la versione moderna del famoso “effetto farfalla” e forse in un certo senso lo è: l’ennesima prova di come ciò che avviene online ha ripercussioni su quello che avviene “offline”, e viceversa.

La vicenda si può riassumere così: il 3 aprile scorso nel Sultanato del Brunei è stata introdotta una legge che prevede la morte per lapidazione per gli omosessuali e gli adulteri, mentre per chi si macchia di reati contro la proprietà è prevista l’amputazione di mani e piedi. La notizia ha suscitato l’indignazione delle comunità LGBT di tutto il mondo ma qualcuno ha trovato un modo veramente efficace per spostare l’attenzione del grande pubblico su quanto sta accadendo nel Brunei: questo qualcuno è l’attore George Clooney che, qualche giorno prima dell’entrata in vigore della legge, ha scritto una lettera aperta al sito Deadline chiedendo il boicottaggio di nove hotel di lusso in tutto il mondo.

deadline.com

Nove hotel che sono di proprietà del sultano del Brunei, capo di stato di una nazione piccola ma estremamente ricca grazie alle proprie risorse petrolifere. Tra questi nove hotel due sono anche in Italia: si tratta dell’Hotel Principe di Savoia a Milano e dell’Hotel Eden a Roma.

L’appello di George Clooney è stato rilanciato nei giorni successivi anche dalla popolarissima conduttrice tv statunitense Ellen DeGeneres‏, che alla vigilia del 3 aprile, ha pubblicato un tweet con la lista dei nove hotel e l’esplicito invito a boicottarli.

Con queste premesse la conclusione può essere una e una soltanto: se uno o più personaggi famosi – influencer nel vero senso della parola – invitano il pubblico a boicottare qualcosa, si può star certi che il pubblico lo farà. Ma poiché scegliere di non prenotare un soggiorno di lusso in uno specifico hotel in segno di protesta è una cosa per pochi e recarsi a protestare davanti alle singole strutture è complicato, il modo più semplice per portare a termine la propria missione è quello che conosciamo tutti: riversarsi in massa sulle pagine social degli hotel e dare il via alla solita valanga di commenti negativiAnche se è vagamente improbabile che la direzione e il personale di questi hotel abbiano il potere necessario a far cambiare idea al Sultano del Brunei a proposito del rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo.

Naturalmente di questo ne è consapevole anche George Clooney: più che cercare di provocare un danno economico al ricco sultano asiatico, il suo intento era quello di dare vita a una conversazione globale su quanto accade nel Brunei, partendo da un argomento di un certo appeal: gli hotel di lusso, spesso seconda patria dei vip, dove Clooney stesso ha soggiornato in varie occasioni, come nel caso del milanese Principe di Savoia.

A questo punto è interessante vedere la reazione degli hotel. Hotel che fanno tutti parte della Dorchester Collection, una compagnia Londinese controllata al 100% dal Sultanato del Brunei, che gestisce e amministra il gruppo di hotel di Lusso citati da Clooney e dalla DeGeneres. In effetti, la strategia scelta della Dorchester è piuttosto drastica: far sparire dal web tutti gli hotel in questione.

Le cose sono andate così: dopo una nota ufficiale di Dorchester Collection in cui si dice che la compagnia «non tollera alcuna forma di discriminazione» e ribadisce il proprio codice etico fondato «sull’importanza dell’uguaglianza e sul valore della diversità», la società di Londra ha cominciato a “blindare” la presenza sul web degli hotel oggetto di boicottaggio, chiudendo pagine Facebook, disattivando profili Twitter, eliminando account Instagram.

Qualcuno potrebbe pensare che si tratti di una soluzione un po’ furbetta, ma in realtà la strategia di Dorchester Collection si è rivelata efficace – almeno nell’immediato: solitamente la scelta di blindare i propri profili social viene considerata come un escamotage per sottrarsi al dialogo con il pubblico nei momenti di crisi, o quando si ha qualcosa da nascondere. Tuttavia, gli hotel in questione non sono responsabili di alcuna crisi comunicativa, né hanno qualcosa da nascondere: la loro unica “colpa” è quella di essere di essere passati, anni fa, sotto la proprietà del Sultano del Brunei. Così facendo hanno arginato una crisi d’immagine quasi certa, e hanno risparmiato ai social media manager e uffici stampa delle gran brutte giornate da trascorrere cercando di combattere lo shitstorm che quasi sicuramente si sarebbe abbattuto sui propri profili social.

Dichiarando apertamente di non avallare in alcun modo la politica del Sultanato del Brunei, Dorchester Collection ha fatto in modo di far sentire la propria presenza all’interno della conversazione che si è creata attorno all’intera vicenda e, in un certo senso, ha dato manforte al potente messaggio mandato da George Clooney e dagli altri vip contro le discriminazioni e contro la violazione dei diritti umani, impedendo però che le “conseguenze” di questo messaggio finissero per impattare sui brand di sua proprietà. Paradossalmente, da un punto di vista comunicativo l’obiettivo è stato centrato: se lo scopo del boicottaggio era quello di sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto sta accadendo in Brunei, ebbene, ha funzionato. Tanto è vero che molte testate, anche in Italia, hanno parlato della questione.

Insomma: una tecnica drastica ma efficace: resta solo da chiedersi se e come i vari profili social degli hotel verranno riattivati…

Lesson Learned: Se sai che sul tuo brand sta per abbattersi una “tempesta” di cui tu non hai nessuna responsabilità è inutile cercare di fronteggiarla apertamente: cerca di arginarla prima che cominci. Rinunciare temporaneamente alla propria visibilità è sempre meglio che avere una visibilità negativa che non dipende direttamente da te.

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