Influencer artificiali

Quando il fake incontra il reale, la percezione delle cose si perde e il paradosso ci fa vivere in una sceneggiatura di Lewis Carroll. Guardavo un po’ di dati che raccontano la crescita dell’influencer marketing

fonte: https://influencermarketinghub.com

Oltre a questi, interessanti sono anche i numeri riferiti alla predominanza di Instagram, come canale d’incontro con gli opinion leader della Rete.

Senza soffermarmi troppo sui numeri, vorrei riflettere sulle persone che fanno i numeri, quelle che riescono a guidare gli acquisti dei fruitori delle piattaforme digitali, grazie ai propri contenuti.

Non tutto è come sembra

Brands want to be people, people want to be brands.

Siamo nel momento storico in cui le aziende ricercano una personalità, un’identità, l’autenticità mentre le persone ambiscono a diventare brand.

Persone che poi, una volta scalata la montagna delle marchette a terzi e raggiunta la vetta del “io sono un brand vivente”, ritornano a volersi far vedere al naturale, nei momenti spontanei della propria giornata. Una bella confusione, insomma.

Diciamocelo, i propinatori in batteria di tè drenanti, quelli che ti dicono la marca di ogni  cosa, con la speranza di riceverne sempre più in prova per fare unpacking live e dimostrare la propria popolarità, raccontano i prodotti tutti nello stesso modo.

Gli opinion leader che riescono a emergere sono davvero pochi, e sono quelli che per primi, con personalità e contenuti a monte e una strategia alle spalle poi, sanno quel che fanno.

L’approssimazione, nella saturazione, si percepisce a occhio nudo. Anzi, mi correggo: non si vede proprio. Perché entra senza bussare nel girone degli influencer wannabe, quelli che “voglio fare l’influencer, così non lavoro”. Presente la storia di Jessy Taylor che quando le chiudono l’account Instagram in lacrime singhiozza: Non sono niente senza i miei follower, non sono niente senza i miei follower?!”. Ecco, tra le fiamme, senza passare dal via o ripescare un cartellino delle probabilità.

Perché se è vero l’adagio di Twain Il segreto del successo nella vita è fare della tua vocazione il tuo divertimento”, è altrettanto vero che la vocazione, i contenuti, gli argomenti, la sostanza, la ciccia, chiamiamola come preferiamo, deve sostenere le fondamenta di un successo che, altrimenti, è destinato a svanire come la sabbia tra le mani.

Mi ci impegno, giuro, ma non riesco a convincermi che quello taggato nei commenti e linkato con uno swipe up sia il prodotto migliore del mondo. Sarà che sono della vecchia guardia, sarà che sono smaliziata dalla mia professione, ma trovo tutto palesemente f-i-n-t-o.

Ma allora perché non provare a ribaltare la realtà?

Anziché usare influencer reali, che fanno storytelling artificiale, usiamo influencer artificiali per raccontare le realtà del mercato.

Una visione? No, è già realtà.

Influencer ex machina

Miquela (@liliquela) ha 1,5 milioni di follower su Instagram, è una fashion blogger, con il suo calendario editoriale, la sua content strategy e i suoi tag markettari. Miquela però non esiste, o meglio esiste, ma non in carne e ossa. Lei è puro codice. Lei è artificiale.

Un fake utilizzato da veri brand per raccontare in modo virtualmente reale il proprio prodotto.

Miquela, che rilascia interviste come tutte le più celebri colleghe “a sangue caldo”, a febbraio, in occasione della fashion week, è stata scelta da Prada per promuovere la collezione primavera/estate.

Vabbè, mi dirai, sarà un caso. E invece no. Esiste una agenzia di modelle, tutte pure digital che rappresenta la super top Shudu Gram, annoverata dal Time tra i personaggi più influenti dell’industria e cover face per la patinatissima Vogue. La modella, creata dall’artista Cameron-James Wilson, è già una star del web e vanta ingaggi con diverse griffe.

Queste modelle digitali hanno l’individualità da rockstar e il potere della sicurezza che abbiamo visto sulle passerelle di Balmain e nella nostra ultima campagna”, afferma Olivier Rousteing direttore creativo della casa di moda.

Related Story

Non riesco ad azzardare una previsione certa, relativamente a quello che ci dovremo aspettare, tra qualche tempo, nel mercato che vuole influenzare i consumatori attraverso modelli umani o fake.

Forse crederemo più alle digital influencer che all’esercito omologato delle portatrici sane di duck face o magari sarà la truppa delle casalinghe di Voghera a riprendere le redini della faccenda.

Dal mio punto di vista, comunque, è meglio un falso che racconta il reale piuttosto che un reale che racconta il falso.

Facebook Comments

Previous articleA lezione di marketing da papà
Next articleQuando gli ingegneri combattevano il nazifascismo
Stratega del content marketing, appassionata di customer experience e co-fondatrice di Simmat, da oltre 15 anni scrive per la carta e il web. Comunicazione e marketing digitale sono materia degli eventi e dei corsi ai quali partecipa come speaker e docente in giro per l’Italia. Ambasciatrice del karma marketing, il content di valore è il suo credo, l’experience design la sua metodologia e l’ironia lo strumento per rendere usabile e comprensibile a tutti il mondo dei bit. Giada è membro dell’Internet Marketing Association, consigliere di Assintel Umbria e di Terziario Donna Umbria. E' autrice del libro "Customer Experience: fai marketing di valore nell’era dell’esperienza". Conduce il podcast Buzzword: https://www.spreaker.com/show/buzzword

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here