Chi ha vissuto tra facoltà scientifiche e tecniche o in ambienti lavorativi affini, sa che, rispetto agli studiosi di materie sociali e umanistiche, pochi tra scienziati e ingegneri si interessano di temi civili. Noi “tecnici” dovremmo invece essere particolarmente preoccupati di come le tecnologie che sviluppiamo vengono applicate nella società e di quali siano gli effetti che producono.
Purtroppo, la cultura in cui viviamo non favorisce l’interazione tra la sfera socio-umanistica del sapere e quella tecnico-scientifica. Eppure, la Storia dell’Italia è ricca di spunti, fin dalle origini dei suoi principi etici: durante la guerra di Liberazione, il ruolo svolto da chi aveva conoscenze professionali tecniche fu decisivo per garantire la trasmissibilità delle informazioni e la cooperazione dei gruppi di liberazione e delle forze alleate.
Furono tantissimi, infatti, gli studenti e i professionisti di materie tecniche che misero le proprie competenze al servizio della lotta per la Liberazione. Antonio Marzi, radiotelegrafista, per esempio, utilizzò un sistema di crittografia decifrato solo recentemente e contribuì alla liberazione di Udine.
Leandro Galbusera e Giovanni Bono, radiotelegrafisti, affiancavano Enzo Boeri, chimico, e Giovanni Maiga, responsabili del servizio informazioni del Corpo Volontari della Libertà (una sorta di servizio di intelligence).
Tante furono anche le radio clandestine gestite dal servizio informazioni. Luigi Morandi fu tecnico per Radio CORA, attiva a Firenze nella prima metà del 1944, mentre Giuseppe Cirillo rendeva possibili le trasmissioni di varie emittenti clandestine a Milano. Alfeo Brandimarte si laureò al Politecnico di Torino ed entrò nella resistenza romana aiutando i collegamenti radio dei gruppi partigiani. Francesco Moschettini, invece, lavorò direttamente dalle strutture del Politecnico di Milano, prima di essere deportato a Mauthausen pochi mesi dopo. Ancora, Giacomo Prandina guidò le prime squadre partigiane del padovano e vicentino e Mario Bastia, studente dell’Università di Bologna, fu nodo essenziale per la resistenza bolognese.
Fu sempre un ingegnere, Giuseppe Gajani, a gestire “Radio Milano Liberata”, da cui Sandro Pertini annunciò l’avvenuta Liberazione a tutta l’Italia, e fu sempre lui a gestire e leggere i comunicati del CLN nei giorni successivi.
Sono solo esempi, sparsi, racimolati leggendo le innumerevoli pagine di Internet. Furono decine e decine gli ingegneri e gli scienziati che furono determinanti per la Liberazione dal Nazifascismo e la fondazione della Repubblica Italiana. Esempi di come i “tecnici” possano essere fondamentali per la costruzione di una società equa.
Se nelle nostre università e nelle nostre scuole superiori venissero ricordati i loro nomi, smetteremmo di ritenere la tecnologia una materia avulsa dalla società. Forse, i futuri “tecnici” si domanderebbero cosa potrebbero farne delle competenze che hanno acquisito per migliorare questo mondo, così ingiusto, così iniquo.
Viviamo e studiamo in un sistema d’istruzione che continua a specializzare il sapere, così che l’ingegnere non sappia più cosa sia la Storia, e lo storico non sappia più cosa sia la Tecnica. Spetta a noi, allora, ritrovare questi esempi e ricostruire la Storia che rischiamo di dimenticare.
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