La programmazione è donna

Bob e Alice s’incontrano all’open day di una università, entrambi chiamati lì per illustrare i possibili sbocchi di carriera delle facoltà scientifiche ed economiche. Al termine dell’intervento di Bob, Alice va a congratularsi con lui, non senza un vago alone di sfottò.

Alice – Bob, devo farti i complimenti!

Bob – Non mi fido, che vuoi dire?

Alice – Ma come? Una volta che ho finalmente l’occasione di ascoltare un tuo talk mi vuoi lesinare la possibilità di congratularmi per la tua capacità affabulatoria?

Bob – Non so se mi stai dicendo una cosa positiva o negativa… Comunque, sai, a me non manca la parlantina: spero di aver convinto qualche studente che la carriera di sales è dove sta il business, il miglior posto dove trovarsi quando si lavora!

Alice – Secondo me hai esagerato nel porre l’accento sul lato economico, e anzi mi hai prestato il destro a convincerli, fra un po’, a tentare la carriera tecnico-scientifica.

Bob – Come sarebbe esagerato? Uno lavora per i soldi, no? Almeno io lo faccio! E non semplicemente per i miei soldi, ma per i soldi dell’azienda e in generale di tutto l’ecosistema economico in cui vivo.

Alice [ridendo] – Sei rimasto alle teorie economiche classiche! Ma diciamoci la verità Bob, a te piace il tuo lavoro come a me piace il mio, ecco tutto. Non cerchiamo massimi sistemi per giustificare i nostri minimi piaceri.

Bob – Accidenti, se riuscissi a trovare frasi come queste le mie presentazioni sarebbero uno spettacolo… [ironico] Piuttosto non capisco come le tue slide possano essere sempre così tecniche e prive di creatività quando sei in grado di produrre frasi come questa. Mi servirebbe una come te nel marketing!

Alice – Non credo funzionerei: per esempio quell’immagine ultrasessista di un tizio con abbraccata una pin-up a rappresentare l’uomo di successo, che hai a un certo punto mostrato, non mi verrebbe mai in mente di mostrarla (nemmeno di pensarla in effetti).

Bob [imbarazzato] – Ma dai, un po’ di goliardia serve a spezzare e attirare l’attenzione!

Alice – Per te è goliardia, magari per le ragazze in aula cattivo gusto.

Bob [piccato] – Già, invece te che mostrerai il faccione di Einstein o chissà che altro farai un figurone!

Momento di gelo

Bob – Scusa, sai che spesso dico sfondoni.

Alice – In realtà stavo pensando al fatto che anche io mostrerò l’immagine di una donna.

Bob – Cosa? E chi è, Sharon Stone mentre esegue un test bed?

Alice [furente] – Se continui così ti tolgo il saluto!

Bob – Dai, sai che ho la battuta facile! Se mi togli anche questo non mi restano molti altri pregi.

Alice [ridendo] – Sai cosa? Penso che cambierò il titolo del mio intervento in “La programmazione è donna”.

Bob – Vabbè, ora esageri. Ci sono le nerd come te, ma io ho sempre visto i gruppi di programmatori come una sala macchine di un transatlantico, una trincea, un campo di rugby, insomma, roba da maschi.

Alice – Ma hai mai programmato un qualche linguaggio di programmazione?

Bob – Basic e un po’ di Pascal, ma poco: del primo mi piaceva il nome, il secondo mi ricordava il libro di filosofia e quindi non mi è mai piaciuto.

Alice – Ti sei fermato troppo presto: a parte che a quell’epoca c’era già il C, ancora vivo e vegeto, e sempre nel mio cuore, il successore del Pascal è stato l’Ada.

Bob – Ada?

Alice – Ada. Un linguaggio inventato da un team francese per vincere un contest del dipartimento della difesa statunitense, negli anni ’70: gli americani volevano un linguaggio moderno e sicuro. Io l’ho pure un po’ programmato anni fa. E’ un Pascal rinforzato e razionalizzato, adatto al real time e al multi-tasking e…

Bob [interrompendola] – Ok, ok. Ma che c’entra con questo fatto che la programmazione sarebbe donna?

Alice – Il nome: Ada, è il nome di una donna.

Bob – La donna di quello che l’ha inventato?

Alice [alzando gli occhi al cielo] – Sei irrecuperabile! No. Il nome della prima programmatrice della storia, Ada Lovelace.

Bob – La prima programmatrice della storia è stata una donna?

Alice [ghignando] – Se ho detto “programmatrice” vuol dire che era una “lei”?

Bob [tirando fuori lo smartphone] – Non ci posso credere…

Alice [indignata] – Metti via quell’ordigno! Ada Lovelace è stata la figlia di Lord Byron, un grande poeta e dandy vissuto due secoli fa. Sua figlia Ada è vissuta nella prima metà dell’Ottocento, e aveva una spiccata predisposizione per la matematica.

Bob – Aspetta, non mi tornano i conti: ma i computer non sono stati inventati a metà del ventesimo secolo?

Alice – I computer digitali basati su componenti elettromeccaniche, e poi elettroniche, certamente sì, durante la seconda guerra mondiale. Ma l’idea di una macchina che potesse eseguire eseguire algoritmi era vecchia di almeno cento anni.

Bob – E perché questi computer non elettrici non sono stati messi in commercio nell’Ottocento? In fondo era l’epoca della rivoluzione industriale.

Alice – Il primo a progettare una macchina in grado di eseguire algoritmi fu Charles Babbage, un genio del suo tempo, che è spesso soprannominato “il padre del computer”, anche se forse è più corretto dire che ne fu “il nonno”. Babbage aveva elaborato sui progetti di Leibniz e Pascal di calcolatrici meccaniche per concepire un calcolatore in grado non solo di fare calcoli ma di eseguire algoritmi. L’idea è sostanzialmente quella dei computer moderni, anche se i programmi non erano memorizzati nel calcolatore meccanico ma su schede perforate.

Bob – Ha inventato pure le schede perforate? Me le ricordo.

Alice – No, quelle esistevano già, erano state inventate per i telai meccanici. Babbage ebbe l’idea di usarle per codificare gli algoritmi della sua “macchina analitica”, un calcolatore completamente meccanico in grado di eseguire algoritmi di calcolo qualsiasi. Ma non è tutto.

Bob – Ancora non capisco come mai la cosa non diede origine a un business…

Alice – Il progetto di Babbage era troppo complesso per essere realizzato in pratica se non a costi molto elevati: era difficile costruire e assemblare tutte quelle ruote dentate, e solo per costruirne una! E infatti nessuno ne ha mai ancora costruita una…

Bob – Ma allora come faceva Ada a programmarla?

Alice – Un po’ come con i computer quantistici: da decenni si scrivono programmi per essi ma soltanto negli ultimi anni sembra possibile costruirli. In ogni caso Ada scrisse un programma per la macchina analitica che calcolava i numeri di Bernoulli, dei coefficienti molto utili in varie teorie matematiche. Per scrivere il programma le bastava sapere come funzionava la macchina, non averne una reale a disposizione: questo fa il vero programmatore, e lo differenzia da un copiaincollatore di codice che ha bisogno di compilare ogni cinque minuti per capire se sta facendo bene o no. Ma non è tutto.

Bob – Ancora? Che altro?

Alice – Ada tradusse in inglese delle note in francese di Luigi Menabrea, sulla macchina di Babbage…

Bob – Menabrea quello della birra?

Alice [alzando gli occhi al cielo] – No, quello che è stato ministro e capo di alcuni governi dopo l’unità d’Italia…ma anche uno scienziato: le idee di Babbage avevano interessato gli scienziati italiani, e quindi la prima programmatrice della storia ha anche tradotto il primo manuale operativo di un computer da una lingua all’altra. Menabrea assistette a una conferenza di Babbage e scrisse delle note, il manuale operativo tradotto da Ada dal francese all’inglese.

Bob – Il manuale operativo di un computer non ancora costruito tradotto dalla programmatrice di quello stesso computer: il tutto duecento anni fa! Solo tu potevi conoscere questa storia!

Alice – Se intriga te, pensa quanto intrigherà le studentesse e gli studenti a cui la racconterò fra poco!

Bob – Touché! Sai: se dovessi inventare un linguaggio di programmazione, eventualità che ritengo assai remota, lo chiamerei Alice.

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