La storia dei social media è costellata di episodi di persone che si sarebbero giocate una potenziale assunzione a causa dei contenuti pubblicati sui propri profili personali di questa o quella piattaforma social. Forse questi episodi sono meno frequenti di quanto si voglia far credere e, probabilmente, giocano anche un po’ sul confine tra leggenda metropolitana e parabola educativa per mettere in guardia sui rischi del pubblicare in chiaro su Facebook le foto di “quella” festa di cui abbiamo solo un vago ricordo, ma a proposito della quale siamo taggati in foto decisamente improbabili.
Certo, che recruiter e CEO vadano a sbirciare i profili social dei candidati non è certo un segreto, tanto più che – in determinati settori – i link ai propri profili social vengono direttamente messi sul curriculum. Quello che i recuiter possono trovare su quei profili dipende, naturalmente, dal proprietario di quel profilo e rappresenta comunque un biglietto da visita pubblico di una persona, indipendentemente dal fatto che si tratti di un profilo personale e non professionale.
Tuttavia, non capita tutti i giorni che un recruiter faccia del vero e proprio bullismo ai danni di un candidato dopo aver visto cosa pubblica sui social: benché la storia abbia dell’incredibile è successa davvero ad Austin, in Texas, e ha scatenato una polemica di dimensioni notevoli.
La protagonista di questa storia è Emily Clow, ventiquattrenne texana che all’inizio di ottobre ha inviato la propria candidatura per una posizione aperta come marketing coordinator a Kickass Masterminds, una start up che offre servizi di marketing. La ragazza sarebbe stata contattata poco dopo essersi candidata e, prima di fissare un colloquio, le sarebbe stato raccomandato di seguire l’account Instagram della società.
Ed è stato proprio nelle Instagram Stories di Kickass Masterminds che la Clow avrebbe ritrovato una propria foto, diventata improvvisamente una sorta di “monito” per tutti i potenziali candidati a lavorare nella start up texana. La foto in questione ritrae la ragazza durante quella che ha tutta l’aria di essere una festa in piscina. E come tutte le persone che frequentano le piscine – indipendentemente dal sesso e dall’età – Emily indossa quello che ci si aspetta: un costume da bagno.
Quella foto, pubblicata sul profilo Instagram della ragazza, è stata ripubblicata sull’account di Kickass Masterminds, con un commento sulla professionalità:
Nonostante nel repost di Kickass Masterminds fosse stato tagliato il volto della Clow, la ragazza si è ovviamente riconosciuta e ha ripubblicato la foto su Twitter, dicendosi sbigottita per essere stata “trattata come un oggetto” e per il comportamento di Kickass Masterminds:
i was objectified earlier today by a company because of a picture of me in a bikini. they claimed it made me an “unprofessional.” they screenshot the photo, posted it on their insta story and called me out.
i am still baffled that the company handled it in such a manner.
— Emily Clow (@emilyeclow) October 1, 2019
La mossa di Kickass Masterminds, in effetti, è piuttosto assurda: sappiamo infatti che i recruiter non si fanno problemi a “indagare” sul conto di un candidato e che spesso i contenuti dei profili social possono spostare l’ago della bilancia durante la selezione, ma perché trasformare il tutto in un vero e proprio atto di bullismo?
Così facendo, infatti, Kickass Masterminds è immediatamente passata dalla parte del torto: dopo il tweet di denuncia di Emily si è accesa la polemica nei confronti della start up texana, accusata di fare body shaming. Non solo: body shaming sulle persone che vorrebbero lavorare per loro. La discussione si è evoluta velocemente e, come ricostruisce Know Your Meme, in capo a una manciata di ore i profili social di Kickass Masterminds sono stati oggetto di un vero e proprio shit storm da parte degli utenti: una valanga di commenti negativi tale da indurli a sospendere tutti i profili sulle piattaforme dove erano presenti, LinkedIn incluso. E poco importa che la foto sia stata cancellata su esplicita richiesta della Clow o che il CEO di Kickass Masterminds abbia dichiarato di non aver voluto gettare discredito sulla candidata in questione.
Un bel danno di immagine per chi, fino a un attimo prima, pontificava sull’altrui reputazione sulla base di quanto condiviso sui social media. Il punto è che sui social media non importa se sei un privato cittadino o un’azienda: è la tua condotta sui social che ti espone agli stessi tipi di rischi di chiunque altro.
Lesson Learned: Tutto quello che pubblichi sui social media parla di te. Ogni post è una implicita dichiarazione del tuo modo di essere e di relazionarti con il mondo: indipendentemente dal fatto che tu sia una persona fisica o un brand.
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