Prestazioni e resilienza delle infrastrutture di Rete: avanti con la Fase 2 e 3

“Nulla sarà più come prima” e “andrà tutto bene” sono due slogan che più di altri ci hanno accompagnato in questi ultimi mesi.

Da un lato la consapevolezza di una trasformazione duratura, dall’altro la fiducia nel futuro o, meglio, la speranza del ritorno alla normalità. Una normalità che non sarà comunque più quella di prima, come ha recentemente ricordato il sociologo Domenico De Masi.

Mentre si mettono a punto le strategie per ridurre l’impatto economico e le ripercussioni sociali, le reti e le tecnologie digitali hanno dimostrato la loro valenza strategica nell’assicurare il funzionamento del sistema, su una scala e con una tempistica difficilmente immaginabili fino a poco tempo fa.

Le reti, le prestazioni e la loro resilienza sono state sottoposte ad uno stress test senza uguali, ma ci si è anche interrogati sulla possibilità di utilizzare tutte le possibilità delle nuove tecnologie per garantire forme innovative di contenimento del contagio e per assistere da remoto le persone colpite dal virus.

Tutto è possibile

In pochi mesi, il sistema sanitario, il sistema produttivo e quello educativo, ma anche le stesse forme di convivenza sociale sono stati sottoposti ad una trasformazione radicale e praticamente istantanea. Milioni di persone, di lavoratori e studenti sono stati costretti a virtualizzare le proprie attività e le relazioni interpersonali.

Non tutto ha funzionato per il meglio e va ricordato come molte realtà produttive abbiano dovuto sospendere le attività, ma rimane il fatto che la maggior parte delle imprese e istituzioni ha sperimentato forme di remotizzazione e un livello di condivisione in rete mai sperimentato prima.

Esiste un’ampia letteratura che spiega i fattori inibitori e identifica negli aspetti strutturali, culturali, tecnologici e normativi le motivazioni del mancato utilizzo delle soluzioni in rete. Ciononostante, in un paio di settimane l’emergenza ha fatto cadere de facto, anche grazie ad un’interpretazione probabilmente meno restrittiva del solito del quadro normativo e regolamentare, molti dei tabù che hanno sempre portato a rimandare l’utilizzo su larga scala dei servizi a distanza.

La risposta del sistema scolastico è forse una di quelle che ci ha stupito di più, memori dei racconti sulle difficoltà infrastrutturali delle strutture scolastiche, sull’anzianità del personale docente e le rigidità intrinseche del sistema. La scuola si è trasferita in rete, o meglio vi si è trovata. Le lezioni proseguono a ritmo ridotto, ma continuano e anche gli studenti hanno dimostrato una capacità di adattamento notevole, in un ambiente, quello digitale, che in fondo conoscono meglio di chiunque altro. Nonostante le difficoltà, l’anno scolastico si chiuderà in rete e il sistema ne uscirà sicuramente rafforzato. La capacità di reazione è stata enfatizzata anche in un articolo che l’autorevole Guardian ha dedicato all’esperienza italiana.

Il paradosso è forse quello di aver sfruttato meno il potenziale del digitale proprio nell’ambito sanitario, dove tutto è nato. Il dibattito sull’applicazione Immuni ha posto al centro dell’attenzione l’importanza di gestire i processi in modo integrato e digitale, sfruttando tutte le potenzialità delle reti e delle tecnologie digitali. La lezione per il futuro sarà probabilmente quella di ricordarci della regola delle “3T”: Test, Track, Trace, senza dimenticare come il funzionamento del sistema richieda il raggiungimento di una soglia minima di utenti dell’applicazione. Digitale significa però anche dematerializzare e appare piuttosto anacronistico l’accanimento sul modulo cartaceo di autocertificazione nell’era degli smartphone e delle app. Allo stesso tempo, si poteva probabilmente fare molto di più dell’informazione e nell’assistenza domestica, in tutte le fasi della crisi. La forza dell’innovazione digitale “spintanea”.

Resilienza

Il mondo si è riversato in rete. Di colpo le nostre case si sono trasformate in hub digitali dai quali tutti i dispositivi familiari si sono dovuti collegare contemporaneamente alla rete per consentire di proseguire la nostra vita lavorativa, il nostro percorso formativo, approvvigionare la nostra casa e, non meno rilevante, coltivare i rapporti sociali.

La conseguenza è stata non solo un traffico dati in fortissimo aumento (superiore al 50% rispetto alla norma), con un flusso costante nell’arco della giornata, una crescita rilevante dell’upload, ma anche una tensione sulle applicazioni social più diffuse, specie per quanto riguardo la componente di comunicazione, chiamate e videochiamate di gruppo, che sono cresciute in modo esponenziale. Anche qui con un’interessante commistione tra la sfera professionale e personale, come dimostra la caccia, che abbiamo tutti sperimentato, all’applicazione in grado di aggregare il maggior numero di persone. In sintesi, in un paio di mesi è accaduto quanto sarebbe dovuto succedere in un paio di anni (con la dinamica del +25% annuo che si stava riscontrando).

Come ha retto la rete e quale è stata la sua resilienza, cioè la capacità di fare fronte a eventi “traumatici”?

Di fatto, è andata piuttosto bene, nonostante qualche degrado nei primi giorni. I motivi sono diversi e va riconosciuta la rapidità di risposta degli operatori, così come alcuni interventi anche sulla gestione della qualità dei servizi video nel periodo iniziale, la resilienza sta nell’essenza stessa della rete Internet, che nasce per ottimizzare percorsi e carichi.

In sintesi, l’architettura stessa della rete, nelle sue varie componenti (accesso, backhauling, backbone) è intrinsecamente decentrata, adattiva, scalabile e ridondante. Allo stesso tempo, spostandosi al bordo della rete, ai Domain Name Server che instradano il traffico, la ridondanza è il pilastro su cui si regge il funzionamento stesso del sistema. Anche l’ultimo strato, quello dei servizi, ha beneficiato nel tempo di un cambio di paradigma che tende a ridurre il rischio del fatidico messaggio “errore 505” del passato, generato dall’incapacità di risposta dei server applicativi. Il crescente utilizzo dei servizi ospitati nei grandi data center e l’evoluzione delle piattaforme di Content Delivery Network hanno drasticamente aumentato la flessibilità e scalabilità nell’erogazione dei servizi, con tempi di risposta quasi istantanei. Una sorta di democrazia di rete, che rende tutti interdipendenti, ma anche più autonomi. Tutte le strade portano a Roma.

Non solo fibra

Tutto questo è accaduto utilizzando la connettività oggi a disposizione in Italia, che ci vede tradizionalmente in ritardo rispetto ai Paesi più avanzati. Anche qui le buone notizie superano però decisamente le criticità.

Dal punto di vista dello sviluppo della copertura dei servizi a banda ultralarga più avanzati (quelli integralmente in fibra, FTTH), gli ultimi dati presentati dall’ FTTH Forum mostrano come l’Italia sia al terzo posto in Europa dopo Francia e Spagna, ma anche come il take-up dei servizi proceda ancora piuttosto a rilento (meno del 15%, rispetto ai valori anche superiori al 50% delle best practice).

Aspettando però la fibra per tutti abbiamo dovuto fare con quanto avevamo.

Gli ultimi dati disponibili aggiornati al 2019, ci ricordano una serie di aspetti interessanti, peculiari dell’Italia. Il primo è che, secondo i dati AGCom, a fronte di oltre 25 milioni di famiglie sono diventati meno di 20 milioni gli accessi di rete fissa, inclusi quelli affari, e in calo di 700.000 unità rispetto al 2018. Il mix degli accessi si sposta progressivamente verso le soluzioni basate sulla fibra (FTTC e FTTH), che rappresentano il 46% del totale, sostanzialmente equivalenti a quelle che utilizzano ancora le tradizionali soluzioni ADSL su rame. La velocità della migrazione dalle soluzioni tradizionali alla fibra si estrinseca in un calo di 2,5 milioni nell’ultimo anno, a fronte di una crescita di 1,8 milioni di accessi che utilizzano in varia misura la fibra.

Il secondo è che continua a crescere l’utilizzo delle soluzioni radio (Fixed Wireless Access), che sono 1,3 milioni (il 7% del totale). In prospettiva, e alla luce dei recenti annunci relati ai progetti di copertura FWA di importanti operatori (trai i quali TIM e Faastweb) che faranno ricorso anche alle soluzioni 5G, i prossimi cinque anni ci consentiranno sicuramente di fare un ulteriore e deciso salto di qualità per entrare definitivamente nella Gigabit Society o, perlomeno, in un ambiente che garantirà centinaia di Megabit al secondo.

Il terzo è che sono ancora troppe le famiglie senza accesso a Internet. L’ISTAT riporta un dato 2019 pari a circa 1/4 del totale, anche se va ricordato che l’utilizzo di Internet sale al 95% nelle famiglie con minori. Per pianificare il futuro non si può, inoltre, prescindere dal fatto che 1/3 delle famiglie sono “mobile only”, vale a dire si collegano solo via rete mobile, così come l’accesso via smartphone sia ormai prevalente (90% degli utenti).

L’emergenza ci ha anche ricordato quanto sia importante la disponibilità di un numero sufficiente di dispositivi informatici in casa (al di là dello smartphone, visto che 1/3 delle famiglie non ha PC o Tablet), di una copertura WiFi domestica e di accessi in grado di diventare degli hub digitali, pronti per nuove generazioni di servizi.

Ben venga, infine, il rinnovato interesse per considerare la connettività a banda ultralarga come servizio universale, vale a dire tale da garantirne a tutti l’accesso, ma senza dimenticare l’esigenza di accompagnarlo con un’adeguata dotazione informatica individuale.

Forse non tutto cambierà, ma sicuramente tutto si trasformerà. Aspettando la fase 3.

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