Agricoltura digitale sostenibile: intervista a Dino Scanavino presidente CIA

Dovremmo proporre il digitale in agricoltura, partendo da banali accorgimenti e strumenti semplici che fanno però comprendere la potenza della tecnologia, anche in termini di sostenibilità economica, ambientale e sociale”. Dino Scanavino, presidente nazionale CIA, è ottimista rispetto alla trasformazione digitale delle imprese, anche di piccola dimensione, purché ci sia quello che lui chiama “passaggio generazionale”, ovvero un avvicendamento e un affiancamento tra agricoltori esperti e giovani motivati che vedono nell’agricoltura la possibilità di fare impresa, anche in ottica Zero Carbon. “Purtroppo il racconto di un’agricoltura arcaica, rappresentata da uomini con il cappello a falda larga che zappano in campi isolati, fatta pertanto solo di fatica e sudore, è un qualcosa che allontana i ragazzi. Ma oggi l’agricoltura è molto distante da quella descrizione, perché è fatta di macchinari, di sensoristica, di tecnologia, appunto, da sfruttare al massimo non solo per migliorare la produzione in termini quantitativi ma qualitativi, rispettando in questo modo l’ambiente”.

Da dove riparte l’agricoltura per un approccio più sostenibile mirato a Zero Carbon?

L’agricoltura deve puntare alla integrazione di tecnologia che, come avviene per esempio con l’IoT, non solo garantisce un risparmio economico per l’imprenditore, ma migliora le condizioni di lavoro degli operai e, grazie al contenimento di interventi di tipo chimico, è rispettosa dell’ambiente. Abbiamo diverse iniziative interessanti che stiamo monitorando in Italia e che possono fare da buona pratica per tante altre realtà. Per esempio stiamo apprezzando l’introduzione di sensoristica nella produzione e la conseguente analisi dei dati, utile a prendere decisioni in tempo reale basate sulle caratteristiche rilevate da terreni e piante. Abbiamo cooperative che stanno sperimentando spargi concimi che rilasciano fertilizzante solo dove ce n’è bisogno grazie alla lettura del bisogno del terreno; abbiamo macchine con il secondo pilota guidato da GPS, che consente di guidare la macchina e cospargere concimi e diserbanti soltanto dove c’è necessità e via dicendo. Sono esperienze che, purtroppo, si contano ancora sulle dita delle mani e che andrebbero diffuse, ma ci vorrà del tempo.

Dal suo osservatorio privilegiato, qual è la consapevolezza delle imprese in merito al contributo del digitale alla sostenibilità?

Gli imprenditori agricoli sono indubbiamente molto più consapevoli del fatto che il digitale sarà un’àncora di salvezza, non solo per ciò che concerne la produzione ma anche la tracciabilità di filiera, come avviene con un’esperienza che stiamo portando avanti nella produzione e commercializzazione del pomodoro. Personalmente mi piace pensare che si possa introdurre la robotica molto di più rispetto a quanto non si faccia ora, soprattutto laddove sono presenti rischi reali per gli operai. Penso alla lavorazione di terreni scomodi dove, nonostante le macchine di ultima generazione, il pericolo di ribaltamento è reale e dove mettere un robot al posto di un uomo migliorerebbe la qualità del lavoro. Consapevolezza è poi necessaria anche rispetto all’uso intelligente e mirato dell’acqua per l’irrigazione che potrebbe essere fatta, attraverso l’uso di sensori appunto, solo laddove il terreno e le piante ne hanno necessità.

Quali i settori dell’agricoltura più permeabili alla introduzione del digitale per la sostenibilità?

Diversi sono i settori in cui stiamo seguendo implementazioni davvero interessanti. Oltre agli esempi citati, abbiamo il settore allevamenti, dove attraverso l’IoT si va a monitorare il troppo pieno delle vasche refrigeranti, segnalando allo stalliere su smartphone l’eventuale raggiungimento del livello di guardia per evitare la perdita di prodotto. Nello stesso settore abbiamo progetti che sperimentano l’uso di contapassi per le mucche, affinché si possa intercettare una eventuale difficoltà di deambulazione per intervenire preventivamente e limitare l’uso di antibiotici o provvedere a mettere in isolamento l’animale per evitare di infettarne altri. Esperienze importanti ci sono anche nel vitivinicolo, per esempio con le coltivazioni in Franciacorta e in Toscana, dove si usa la sensoristica anche per rilevare anomalie nella circolazione linfatica delle piante per intervenire in modo opportuno.

La digital transformation, secondo il suo punto di vista, può impattare positivamente sulle aziende di diverse dimensioni, anche medio piccole? Come superare i limiti che le PMI incontrano nell’introdurre il digitale nei processi?

Le aziende che provano soluzioni tecnologiche sono solitamente di grandi dimensioni, con superfici aziendali importanti e soprattutto con giovani all’interno, con preparazione e predisposizione all’innovazione. Soprattutto nelle aree interne, dove le aziende hanno meno giovani nella loro compagine, dove le dimensioni sono piccole e soprattutto il livello reddituale è basso il livello di digitalizzazione è praticamente nullo.

Quali potrebbero essere azioni possibili a supporto dell’introduzione di tecnologie digitali in agricoltura?

Per supportare le aziende servono finanziamenti. Ma non piccoli finanziamenti elargiti a pioggia magari con tempi lunghi, come si rischia di fare nel post emergenza. Ciò che serve è una strategia di lungo periodo, anche nel dopo COVID, perché solo le politiche lungimiranti possono essere utili. Oltre agli incentivi serve un ricambio generazionale, magari a seguito di una selezione di giovani che intendono investire intellettualmente e finanziariamente in agricoltura. Si potrebbe pensare, per esempio, alla cessione di ramo d’azienda in cui si trasferisce l’attività senza la terra alla quale, anche per ragioni culturali, si rinuncia con difficoltà. Questo consentirebbe un passaggio che non è solo di padre in figlio e agevolerebbe l’inserimento di giovani in grado di portare l’entusiasmo, le competenze e il desiderio di cambiare.

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