Smart City come City As A Service: intervista a Maria Costanzo di Oracle

Semplificare la vita dei cittadini risolvendo più velocemente i problemi che hanno”. L’obiettivo della progettazione e realizzazione delle Smart City secondo Maria Costanzo, Direttore Technology Solution Engineering di Oracle Italia, è proprio questo. “Quando associamo il termine smart a città, siamo soliti pensare, banalizzando, solo alle opportunità dell’IoT, ma dovremmo immaginarci un ecosistema di tecnologie digitali al servizio delle persone. L’Internet delle cose e, ovviamente, l’infrastruttura di Rete necessaria a far comunicare gli oggetti tra loro sono solo un fattore di innesco alla raccolta di dati e quindi alla costruzione di un patrimonio di conoscenza sul quale progettare l’automazione”.

Un approccio di prossimità, quello raccontato da Maria Costanzo, ovvero la possibilità di trasformare le città in qualcosa di più inclusivo, vicino all’esperienza diretta e quotidiana delle persone che guardano a un futuro sostenibile.

Quali sono le caratteristiche di una città ideale e come realizzarle attraverso le tecnologie?

Una smart city in miniatura l’abbiamo realizzata in Oracle Italia qualche tempo fa con il nome evocativo di “Proxima City”, con un modello costruito con i mattoncini Lego, che aveva lo scopo di rendere tangibili non solo i servizi cloud e le automazioni che possono semplificare le giornate delle persone, ma anche quelle che danno vita a nuovi servizi che i cittadini possono contribuire a costruire. In una città ideale la sostenibilità ambientale, economica e sociale la si trova in ogni angolo. Ogni servizio digitalizzato, dall’illuminazione alla raccolta dei rifiuti, alla gestione del traffico, all’ottimizzazione dei servizi pubblici, alla sicurezza cittadina, è fortemente interconnesso con gli altri. Digitalizzandone uno si hanno di solito ripercussioni positive su altri e si comprende la necessità di pensare in termini di ecosistema e non di singoli interventi. Per esempio migliorando la raccolta dei rifiuti attraverso sensoristica e funzionalità di machine learning – in grado di prevedere, sulla base dei dati raccolti nel tempo e dei trend stagionali, quando i cassonetti si riempiranno – si va a migliorare anche la mobilità. Si incide positivamente sul controllo del traffico, si riducono le emissioni, si risparmiano risorse pubbliche evitando che chi fa raccolta dei rifiuti la faccia inutilmente. Se intervengo in modo sensato e studiato, insomma, sono in grado di far emergere tutte le caratteristiche di una città davvero intelligente.

Quali esempi possiamo fare di puzzle che vanno a costruire l’ecosistema Smart City?

Tanti sono gli interventi possibili in una città. Per esempio, pensando a una cosa semplice, possiamo parlare dell’illuminazione e della possibilità di far accendere i lampioni solo in caso di reale necessità, e cioè quando ci sono mezzi o persone in transito. Questo non solo al fine di avere un risparmio energetico, ma anche per costruire nel tempo delle mappe di movimento in città, utili a gestire al meglio il traffico o a ottimizzare gli interventi di sicurezza pubblica attraverso l’invio di agenti nei posti meno trafficati e probabilmente più esposti a rischi. Altro possibile esempio di quella che io amo definire la “city as a service” è la possibilità per un turista di essere accompagnato in città sulla base del tempo che ha a disposizione e di quello che gli piace fare. Se, per esempio, l’ipotetico turista acquista tramite l’app che gli metto a disposizione un biglietto ferroviario e il treno presenta un ritardo, io ho tutti i dati necessari per poter suggerire come impiegare il tempo che ha a disposizione. Raccogliendo i dati posso, pertanto, immaginare nuovi servizi personalizzati da mettere a disposizione delle persone.

Pochi sono gli esempi di città smart in Italia. Perché? Quali sono i limiti alla loro realizzazione?

Nel nostro Paese, per la mia esperienza, non manca la lungimiranza degli amministratori e neppure la voglia di innovare; piuttosto, manca la possibilità di farlo in modo rapido, meno burocratizzato, come succede per esempio in America o in altre realtà non europee. Qualche tempo fa, per esempio, la città di S. Francisco ha individuato una soluzione in grado di contribuire a monitorare lo stato delle strade (e quindi la presenza di buche) attraverso la raccolta di dati fotografici fatta dai mezzi di smaltimento rifiuti e un applicativo che sfrutta l’AI per catalogare il livello di urgenza degli interventi. Una volta individuata la soluzione, si è partiti in brevissimo tempo. Cosa che qui non sarebbe stato possibile fare, a volte perché è anche difficile mettere insieme i diversi soggetti che hanno competenze diverse su una stessa cosa.

Una best practice italiana possiamo però citarla?

Per esempio il comune di Roma ha adottato un sistema – il software alla base del quale è stato sviluppato proprio da Oracle – che, tramite l’app “Roma al tuo fianco”, permette ai cittadini di segnalare buche, macchine in seconda fila, lampioni che non funzionano. La segnalazione viene trasformata subito in un ticket di richiesta intervento di manutenzione e darà la possibilità a chi segnala, se vuole, di essere informato sull’esito della comunicazione fatta. Questo ovviamente non è l’unico esempio virtuoso, ma è uno di quelli ai quali guardare con interesse perché prevede una parte di coinvolgimento attivo dei cittadini.

E altre best practice da guardare magari con un pizzico di invidia perché attuate altrove?

Sicuramente il sistema di Smart Parking implementato a S. Francisco dove, grazie ai dati raccolti dalle numerose videocamere di sicurezza presenti, si individuano eventuali posti liberi in cui parcheggiare per poi guidare le persone nel luogo più vicino a loro, in base alla posizione in cui si trovano. Abbinando un algoritmo di dynamic pricing, poi, è possibile suggerire il posto più vicino e più economico in cui lasciare la macchina. Una comodità assoluta che semplificherebbe la vita a molti di noi.

Le città con l’integrazione di tecnologie digitali non rischiano, come afferma qualcuno, di diventare poco inclusive a causa del gap di conoscenze digitali che contraddistingue alcune fasce di popolazione?

Credo che questo sia un falso problema. Basta pensare a quante persone, anche anziane, usano oggi Whatsapp con grande disinvoltura per capire che forse il gap non è poi così elevato; c’è invece soprattutto, a mio parere, da curare una parte di design per rendere i servizi di facile fruizione a tutti. Possiamo avvicinarci alle persone nel momento in cui progettiamo smart city, senza costruire barriere, ma ripensando completamente i modi di fare le cose, e non semplicemente digitalizzando l’esistente. In questo modo la città diventa fornitrice di servizi utili e facili da usare.

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