La digitalizzazione delle imprese e il progetto di Eni per la formazione digitale come strada per la sostenibilità

Joule, la scuola d'impresa pensata da Eni, nasce con l'obiettivo di formare un'imprenditorialità che metta la sostenibilità al centro dei progetti di crescita aziendali, guardando alla digitalizzazione come un'opportunità

La digitalizzazione da una parte, e la trasformazione digitale dall’altra, sono due fenomeni strettamente connessi. Si pensi, ad esempio, ai vari software che permettono la gestione dei processi amministrativi, al cloud per lo storage dei documenti, ai servizi di cyber security per prevenire danni informatici, all’IoT per la logistica e ad altre tecnologie diffuse, ma che non sempre riescono ad essere utilizzate in un’ottica sostenibile, e men che meno a essere adottate come strumenti di sostenibilità.

Senza l’adozione sistematica delle tecnologie digitali non vi può essere sostenibilità digitale e, dunque, non si possono sfruttare appieno le possibilità offerte dalle tecnologie per costruire un futuro economicamente e socialmente sostenibile, per l’impresa stessa e per coloro che vi interagiscono. Ma le imprese italiane a che punto sono? Qual è la diffusione delle tecnologie digitali e come vengono usate all’interno delle organizzazioni del nostro paese?

Uno studio dell’ISTAT

Tra i vari censimenti che l’ISTAT rilascia annualmente, ce n’è uno che riguarda le imprese italiane e la loro digitalizzazione: tramite l’analisi degli investimenti e dell’utilizzo di infrastrutture e tecnologie digitali, vengono estratti alcuni insight utili a capirne la diffusione e il grado di differenziazione tra PMI e grandi aziende.

Quello che emerge dal censimento è che il cloud è la tecnologia più diffusa. In particolare il cloud viene utilizzato dal 66% delle aziende per la comunicazione (messaggistica, posta elettronica), il 57,3% per l’archiviazione e l’hosting, il 38,3% per i software gestionali e il 12% per l’analisi dei dati. Il cloud viene considerato come “tecnologia abilitante” perché di fatto permette la dematerializzazione di molti processi aziendali, come quelli citati sopra, ed è economica, scalabile, efficiente e sicura per molteplici aspetti.

Ma all’interno del censimento non si parla solo di cloud. Per capire meglio la diffusione di determinate tecnologie e il grado di differenza tra le varie aziende, vengono individuate 4 cluster di imprese:

  1. le asistematiche, che principalmente utilizzano software gestionali e un basso utilizzo del cloud;
  2. le costruttive, che fanno uso principalmente di fibra ottica, 4G e 5G e tecnologie per la cyber security;
  3. le sperimentatrici, le quali hanno un portfolio digitale più variegato che spazia da un largo utilizzo di software gestionali, cloud, big data e IoT;
  4. le mature, infine, che più che i software gestionali largamente utilizzati nei precedenti gruppi, fanno un largo utilizzo di cloud, IoT, cyber security ma anche big-data, agumented e virtual reality e robotica.

Il cluster contenente più imprese è quello delle costruttive, che rappresentano il 45%, mentre le mature rappresentano il 3,8%. Le imprese digitalmente mature sono anche quelle più grandi e al ridursi del numero di dipendenti si riduce anche il grado di digitalizzazione: sono solo le imprese con 100 e più dipendenti che investono maggiormente in tecnologie digitali. Il divario tra le imprese del Nord e del Sud è anche digitale, infatti sono quelle del Nord-Ovest ad essere più avanti in termini investimento ed utilizzo delle tecnologie digitali, mentre nel Mezzogiorno ci sono perlopiù imprese asistematiche e costruttive.

Dalla diffusione a un utilizzo sostenibile

L’adozione di tecnologie digitali nei processi aziendali non è di per sé sufficiente: è necessaria, piuttosto, una conoscenza approfondita di come queste stesse tecnologie possano aiutare le imprese ad essere economicamente sostenibili nel tempo. Spesso su TechEconomy2030 è stato affrontato il tema delle competenze digitali e di quanto, grazie ad esse, sia possibile indirizzare le tecnologie a nostra disposizione verso un utilizzo intelligente e in grado di migliorare le nostre vite.

È ciò che vuole fare Eni con Joule, una scuola d’impresa pensata per chi vuole mettere la sostenibilità al centro della propria strategia di crescita imprenditoriale. Con il suo programma Open, Joule propone una piattaforma di apprendimento online gratuita e aperta a tutti che grazie all’integrazione di esperienze, competenze accademiche e confronto tra i partecipanti vuole favorire la formazione di un nuovo tipo di imprenditorialità che guardi alla digitalizzazione non come una minaccia, ma come un fenomeno inarrestabile che può (e deve) rappresentare una chiave strategica di sviluppo tanto per l’impresa quanto per i suoi stakeholders.

È un percorso adatto soprattutto alle startup, poiché si affrontano tutti gli aspetti della gestione imprenditoriale orientata all’innovazione e non si parla solo di digitale: si parla di temi legali e finanziari, di marketing e di branding, di gestione del personale e creazione del valore, tutti processi che proprio grazie al digitale possono essere efficientati. E che vanno letti – e riletti – per mettere al centro la sostenibilità.

Investimento in tecnologie digitali e formazione sono due facce di una stessa medaglia e solo se sviluppate in maniera congiunta possono trasformarsi in una chiave di sostenibilità. Un imprenditore ha l’obiettivo non solo di garantire una crescita economica duratura, ma anche di incentivare inclusività e favorire un lavoro dignitoso per i suoi dipendenti; di farlo nel rispetto dell’ambente e di guardare alle possibilità per le prossime generazioni. Se le tecnologie digitali possono aiutare a perseguire questi obiettivi, allora la formazione in merito assume un peso di gran lunga maggiore.

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