In Italia il primo caso di blockchain applicata alla filiera del riso

È italiana la prima esperienza europea di applicazione della blockchain alla filiera del riso: intervista a Claudio Pivi sulle potenzialità di questa tecnologia applicata in agricoltura

Le tecnologie digitali rivestono un ruolo sempre più importante in ambito agroalimentare, soprattutto quando si vuole declinare la produzione in chiave sostenibile. In particolare, stando ai dati dell’Osservatorio Smart AgriFood del Politecnico di Milano, a destare particolare interesse sono tecnologia blockchain, Distributed Ledger, con 42 progetti mappati dal 2016 al 2018: iniziative sviluppate in ogni ambito del comparto alimentare, dedicate nel 21% dei casi alla filiera della carne, nel 17% all’ortofrutta, nel 10% al cerealicolo.

Ed è proprio legata al cereale per eccellenza, il riso, la prima esperienza europea di blockchain applicata a questa importante filiera, ed è tutta italiana. Si tratta del progetto Riso Chiaro, lanciato da BASF insieme all’azienda agricola vercellese da circa mille ettari coltivati a riso Coppo e Garrione e la startup padovana Ez Lab, specializzata in soluzioni digitali avanzate per il settore “smart agrifood”.

Le applicazioni della blockchain in agricoltura

Ma facciamo un passo indietro e chiediamoci prima di tutto che cos’è una blockchain, e quali applicazioni può avere in agricoltura. Nata per gestire quelle che sono le monete virtuali, la blockchain può essere applicata in ogni altro settore perché non è altro che un registro di immagazzinamento e di trasferimento dei dati privo di controllo centralizzato, ovvero di attività condivise su una rete di server in maniera criptata che rende queste stesse attività immutabili, non modificabili. Se si modifica un anello della catena, infatti, si dovrebbero modificare anche tutti gli altri, il che è praticamente impossibile, o comunque enormemente faticoso a livello computazionale.

La blockchain è un metodo particolarmente sicuro e trasparente, perché con essa ogni attività rimane registrata e disponibile per tutti. “Queste caratteristiche la rendono una sorta di certificazione delle pratiche adottate, quindi in agricoltura ci possono essere due applicazioni”, spiega Claudio Pivi, Responsabile del portafoglio prodotti riso di BASF Agricultural Solutions, “Una è la certificazione di certi protocolli, biologici piuttosto che di lotta integrata, ma anche gestionali, perché chiaramente essendo la registrazione di un atto, la blockchain può essere utilizzata anche nei contratti.” Non a caso per la blockchain si parla sempre più spesso di “smart contract”, grazie a cui si possono registrare i contratti in modo molto meno complicato di quanto possa essere all’apparenza, favorendo le pratiche di compravendita dei prodotti. Da una parte la certificazione, dunque, dall’altra questa gestione dei contratti.

Cosa può certificare la blockchain

“Per quanto riguarda la certificazione, ciò che veramente importa è cosa sto certificando con la blockchain”, fa presente Pivi: “La blockchain si basa sulla fiducia, perché se io agricoltore scrivo una determinata cosa, tutti coloro che fanno parte della mia filiera possono vedere ciò che scrivo. Se io faccio o dico qualcosa di non corretto, metto in gioco la mia reputazione, che come sappiamo è tra i fattori che più differenziano le offerte sul mercato”.

Gli aspetti che la blockchain può certificare sono tre: uno è l’aspetto etico, ossia quando un agricoltore garantisce di seguire determinate regole etiche. “Nel caso del riso, nei Paesi dell’est asiatico vengono eseguite lavorazioni sulle quali pesano accuse di sfruttamento dei lavoratori. È chiaro che io, risicoltore italiano, mi devo confrontare con queste pratiche e devo essere in grado di garantire che io non produco in questo modo. Con la blockchain posso farlo”.

Un altro fattore che si può certificare è l’origine del riso, che si può garantire essere al 100% italiano. Per farlo, appunto, si usa questa sorta di dichiarazione che permette la blockchain.

L’ultimo aspetto è la salubrità, e con essa la sicurezza che il prodotto non abbia subito contraffazioni. “Come sappiamo bene il mercato dell’agrifood è pieno di falsi prodotti italiani, imitati in modi più o meno imbarazzanti in giro per il mondo. Con la blockchain posso ridurre questo fenomeno”, sottolinea Claudio Pivi: “Allo stesso tempo, posso gestire in modo più efficace eventuali problemi. Infatti, se io ho tracciato in un unico registro tutte le origini dei prodotti, in caso di necessità posso richiamare con velocità e precisione tutte le partite interessate da un determinato problema. Un esempio è stato quello delle partite di insalata contaminate da escherichia coli negli Stati Uniti di cui, grazie appunto alla blockchain, nel giro di poche ore era stata bloccata la distribuzione.”

Il primo caso in Europa di blockchain applicata alla filiera del riso

Se il primo progetto in Europa di blockchain applicata alla filiera del riso è stato avviato in Italia il motivo è semplice: il Belpaese da solo produce quasi il 50% di tutto quello prodotto in Europa. Ma di cosa si tratta, concretamente?

“Attraverso un partner tecnologico che si chiama Ez Lab, abbiamo predisposto e testato una piattaforma in cui l’agricoltore registra tutti i dati di coltivazione e di trasformazione, fino ad arrivare al packaging che, attraverso un QR code, rende possibile ricostruire la storia di quel determinato prodotto in quella confezione, quindi dove è stato coltivato, con quali criteri, quali sono le caratteristiche di quella determinata produzione ecc.”, spiega Pivi: “Nel 2019 abbiamo eseguito i test e messo a punto il sistema con una singola azienda agricola, adesso lo stiamo implementando con una quarantina di aziende italiane produttrici di riso.”

In altre parole, l’azienda Coppo e Garrione raccoglie e trasferisce le informazioni della coltivazione del riso come i dati sull’area geografica di produzione, le varietà piantate, le estensioni, i programmi di irrigazione, fertilizzazione e protezione della coltura, tracciando le diverse fasi di crescita del cereale. Ogni fase del processo viene così tracciata e conservata nel registro condiviso della blockchain.

“In tutto questo siamo ancora all’inizio, ma prevediamo già che a queste informazioni se ne potrebbero aggiungere altre, come ad esempio le caratteristiche del territorio, includendo così nel discorso una sorta di promozione culturale, o turistica”, aggiunge il manager di BASF: “Ad esempio, si potrebbe far presente su tot confezioni di riso che la zona della Baraggia vercellese in cui è stato coltivato è molto bella da vedere in primavera. È chiaro che questo diventa un potente strumento di comunicazione, visto soprattutto in prospettiva delle nuove generazioni molto attente a questi dettagli e abituate a leggere i QR code ed usare questi mezzi di informazione.”

Sicurezza alimentare e ambiente

Insomma, le due cose più importanti da sapere per il consumatore sul fatto che venga utilizzata la blockchain nella filiera del riso sono due: l’origine, cioè dare garanzia del fatto che il riso sia in questo caso al 100% italiano, e la sicurezza, che oltre a permettere di ripercorrere l’intera storia del prodotto, assicura che si siano seguiti determinati protocolli e quindi se si è in presenza di una produzione sostenibile, attenta ai consumi di risorse ecc., lo si può dimostrare in modo del tutto trasparente. La blockchain diventa così espressione della fiducia instaurata fra il consumatore e il produttore, perché se il produttore dichiara una cosa, la blockchain lo certifica.

A livello ambientale, invece, questa innovazione dà supporto nella gestione delle risorse in fase di produzione, ma in seguito anche di logistica, trasporto, commercializzazione ecc. Aspetti che, oltre tutto, fanno risparmiare passaggi che implicano molta burocrazia, rendendo così l’intera filiera più sostenibile su diversi livelli. Nello specifico, dipende molto dal tipo di produzione. “Diciamo che se un agricoltore segue un determinato protocollo sostenibile, la blockchain lo valorizza attraverso le garanzie che offre”, fa notare Pivi: “Queste, ovviamente, sono legate soprattutto alla fase gestionale, ma non possono far sì che un agricoltore coltivi meglio o peggio.”

La blockchain può essere adottata da ogni filiera

La tecnologia blockchain può essere adottata da qualsiasi tipologia di filiera. La chiave è nella sua gestione completa, ossia tutti gli attori della filiera devono partecipare e in qualche maniera trarne vantaggio. “Nel caso del riso è abbastanza semplice perché si tratta di una trasformazione ‘semplice’”, sottolinea Claudio Pivi: “Viene preso il seme, viene pulito e diventa prodotto pronto per il consumo, quindi gli attori sono relativamente pochi. Quando si parla di altri prodotti, gli stakeholder interessati sono molto più numerosi. È però interessante in questo caso il fatto che la grande distribuzione organizzata stia guardando a questo sistema in modo tale da far pensare che, in un prossimo futuro, la blockchain non sarà qualcosa di volontario o ‘in più’, ma qualcosa di richiesto a priori: se hai la blockchain puoi entrare in certi circuiti commerciali, se non ce l’hai ne stai fuori.

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