Le piccole e medie imprese rappresentano il 90% delle aziende di tutto il mondo, con il 70% dell’occupazione a livello globale. Nella sola Unione Europea costituiscono il 99% delle aziende: per comprendere quale sia la loro rilevanza ed il loro impatto a livello economico – ma anche sociale – nell’UE, basta pensare che nel 2015, poco meno di 23 milioni di PMI hanno generato un valore aggiunto pari a 3.900 miliardi di euro e dato lavoro a circa 90 milioni di persone, rappresentando quindi un elemento fondamentale della nostra società.
In un contesto in cui la pandemia ha reso sempre più centrali i discorsi sulla necessità di una ripresa economica, e con la consapevolezza di quale sia il valore e l’apporto di queste realtà in questa direzione, è sempre più importante riflettere sui modi tramite i quali le PMI possano svilupparsi, e nel contempo tutelarsi, all’interno dei mercati.
Ed è proprio questo l’obiettivo che si pone la Giornata Mondiale della Proprietà Intellettuale di quest’anno: mettere in luce il ruolo fondamentale delle PMI per l’economia, e come possono utilizzare i diritti della proprietà intellettuale per costruire imprese più forti, competitive e resilienti, tutelando la propria creatività e portata innovativa e contribuendo di conseguenza allo sviluppo economico.
La proprietà intellettuale tra vantaggi competitivi e la necessità di un cambio di paradigma
Ma in che modo deve evolvere la proprietà intellettuale, e la consapevolezza rispetto alla sua importanza, in un mondo alle prese con una sempre più rapida innovazione tecnologica? Secondo l’avvocato Giovanni Battista Gallus, “la disciplina della proprietà intellettuale, soprattutto in conseguenza dell’evoluzione tecnologica, si trova spesso a inseguire affannosamente nel cercare di regolare nuovi fenomeni. E occorre sempre un attento bilanciamento, per evitare di creare inutili appesantimenti.
C’è comunque un dato interessante: una ricerca congiunta del 2019, dello European Patent Office (EPO) e dello European Union Intellectual Property Office (EUIPO), “High Growth Firms and Intellectual Property Rights”, ha messo in evidenza una stretta correlazione tra la possibilità di crescita delle PMI e la loro capacità di gestire e valorizzare i diritti di proprietà intellettuale (brevetti, marchi, design, diritto d’autore). Addirittura, la ricerca ha evidenziato come una PMI in un settore a basso tasso di tecnologia ha il 172% in più di probabilità di diventare un’impresa ad alto tasso di crescita, qualora detenga uno o più brevetti. E le imprese che riescano a gestire in maniera integrata tutti i diritti di proprietà intellettuale hanno il 33% di probabilità di trasformarsi in imprese ad alto tasso di crescita.
Per cui, più che un’evoluzione normativa, occorre spingere per un’evoluzione della consapevolezza dei vantaggi competitivi della corretta tutela della proprietà intellettuale. Non solo: occorre anche non sottovalutare l’importanza della condivisione della conoscenza. Saper attingere al patrimonio immenso degli open data e delle risorse aperte può essere un enorme stimolo alla crescita della competitività”.
Proprio da questo punto di vista, in un contesto in cui l’innovazione passa sempre più spesso attraverso la creazione di ecosistemi e dalla condivisione della conoscenza, secondo Stefano Denicolai, Professore di Innovation management all’Università di Pavia, il paradigma della proprietà intellettuale avrebbe bisogno di essere rivisto, per adeguarsi ai tempi. Ma questo percorso non sarebbe privo di difficoltà. Questo perché “il sistema della proprietà intellettuale è nato per difendere l’innovazione, ma in un mondo ‘lento’ e ‘chiuso’. Nell’epoca della crescita esponenziale, dell’open innovation e degli ecosistemi, purtroppo troppo spesso questo sistema finisce con l’essere in forte contrasto con una innovazione sostenibile ed inclusiva. Tant’è che diversi settori che fanno poco uso di proprietà intellettuale (ad esempio le startup dell’economia digitale) sono innovativi e sostenibili tanto quanto gli altri, se non di più. Siamo però condannati da un apparente paradosso: serve un cambio epocale del paradigma IP, ma il paradigma attuale fa sì che tale rivoluzione genererebbe troppe ingiustizie verso troppi”.
Nuove esigenze, nuovi contesti, nuove sfide
La rete ha determinato un profondo cambiamento delle regole e dei mercati e – come più volte sottolineato su Tech Economy 2030 – ciò ha impattato profondamente sul concetto stesso di proprietà intellettuale.
“Uno dei problemi più spinosi da affrontare – sostiene Stefano Epifani, presidente della Fondazione di Ricerca Digital Transformation Institute – consiste nel fatto che spesso si confondono e sovrappongono concetti diversi. Il che, talvolta, non è frutto di un errore interpretativo, ma di una deliberata azione volta a cercare di tutelare così interessi consolidati. Nessuno, oggi, mette in discussione il valore della proprietà intellettuale, ma dobbiamo necessariamente ascriverne il ruolo alla dimensione sociale nella quale viviamo, al contesto economico odierno ed alla dimensione tecnologica nella quale viviamo. E quindi parlare di proprietà intellettuale nell’era della open innovation significa anche interrogarci su come essa vada trasformata in una leva competitiva e non si riduca ad uno strumento di tutela degli interessi consolidati di intermediari che non hanno più un ruolo centrale come in passato. Cosa che succede regolarmente quando si cerca di confondere questo concetto con quello di copyright, ed il copyright con il diritto di autore. Affrontare questi argomenti in maniera indifferenziata, come purtroppo spesso si tende a fare, produce distorsioni che possono avere impatti anche molto deleteri”.
Uno dei campi in cui la discussione sui diritti della proprietà intellettuale si è fatta più importante, in questi mesi è ad esempio quello dei vaccini. Uno dei temi certamente più caldi al momento, e che pone all’attenzione importanti e delicate questioni, relative alla necessità di un accesso equo ai vaccini in tutto in mondo, con l’obiettivo di garantire la salute pubblica a livello globale.
“In ordine ai vaccini, occorre trovare un punto di equilibrio tra la tutela della proprietà intellettuale, e le esigenze di tutela della salute collettiva – spiega l’avvocato Giovanni Battista Gallus – Lo scorso mese, lo Human Rights Council delle Nazioni Unite ha adottato una risoluzione, premendo per misure volte a consentire un accesso equo ai vaccini, ma è difficile che il WTO accolga questi appelli. La pandemia deve quindi portare a riflettere su questi aspetti, soprattutto quando la ricerca è finanziata con investimenti pubblici: il sistema monopolistico, legato ai brevetti e al segreto industriale, pur conoscendo già dei temperamenti, non è probabilmente la soluzione più efficiente nella risposta a crisi globali come quella che stiamo vivendo”.
“Lo vediamo oggi per i vaccini – conclude Epifani – ma il discorso ha una portata molto più amplia. Così come per tanti altri ambiti dell’agire sociale ed economico, la necessità di sviluppare approcci orientati alla sostenibilità deve imporre un ripensamento di molti processi e di molte attività, che vanno gestite nella difesa e nella tutela di tutti gli attori coinvolti. La giornata mondiale della Proprietà Intellettuale ci ricorda prima di tutto l’importanza del ruolo del capitale umano delle organizzazioni, e di come questo possa generare valore per esse e per la società. La vera sfida è che tale valore sia valore sostenibile”.
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