L’efficientamento energetico dell’IoT e il suo contributo per la decarbonizzazione

Quando si parla di impronta carbonica dell'IoT, quasi tutti i contributi concordano nel dire che l’energia richiesta dai sensori è il principale elemento da tenere sotto controllo: questa tecnologia, però, ha concreti margini di applicazione per raggiungere gli obiettivi di decarbonizzazione

Sulle pagine di TechEconomy2030 abbiamo avuto modo di esplorare ampiamente l’Internet of Things soffermandoci su quanto di buono questa tecnologia possa apportare nei diversi settori e su più livelli. Al fine di delinearne un profilo più chiaro e completo, è utile soffermarsi anche sul suo impatto ambientale e di come essa contribuisca al rilascio di CO2 nell’aria.

Non ci sono ancora degli studi concreti in grado di quantificare l’impronta carbonica dell’IoT, ma quasi tutti i contributi sul tema concordano nel dire che l’energia richiesta dai sensori è il principale elemento da tenere sotto controllo. Si pensi al fatto che la quantità di energia richiesta dal suo funzionamento in moltissimi casi si somma a quella richiesta da altre tecnologie. Infatti, l’IoT è una tecnologia che sta spesso alla base del funzionamento di quelle altre tecnologie digitali che utilizzano i dati come “carburante” per le loro attività. Le tecnologie IoT sono alla base della raccolta dei dati che servono alle intelligenze artificiali, così come alimentano i sensori utilizzati dai sistemi blockchain per certificare le transazioni che coinvolgono e coinvolgeranno oggetti ed elementi fisici.

In altre parole, l’energia elettrica consumata dai dispositivi dell’Internet of Things è anche in questo caso l’ago della bilancia della sostenibilità della tecnologia stessa che, sebbene possa essere largamente impiegata per contrastare il cambiamento climatico e ridurre le emissioni di anidride carbonica nell’aria, contribuisce ad emetterne una certa quantità.

Va poi tenuto infatti conto del fatto che proprio l’energia elettrica contribuisce globalmente al 27% delle emissioni di CO2 e nell’ottica del raggiungimento degli obiettivi di Agenda2030, ed in particolare ai target definiti nell’SDG13, questo aspetto va attentamente considerato.

Come rendere meno impattante l’IoT?

Per fare in modo che questa tecnologia digitale sia di per sé a basso impatto carbonico dipende in sostanza da quanto la sua componente hardware sia efficiente. I dispositivi IoT sono tradizionalmente alimentati in due modi:

  1. attraverso la rete elettrica;
  2. attraverso le batterie.

Nel primo caso si possono implementare device IoT che richiedono meno energia per funzionare, mentre, nel secondo, anche l’impiego di batterie più sostenibili può essere una valida strada da percorrere. Su questo il progetto europeo EnABLES, tramite la creazione di un network di esperti e di enti operanti nel settore, punta – tra le varie cose – alla realizzazione di batterie più sostenibili che siano in grado di ricaricarsi in meno tempo e a garantire una maggiore autonomia.

Ma parallelamente a questi flussi, sta emergendo con una certa rapidità ed interesse tutto un filone legato all’applicazione delle fonti di energia rinnovabile all’Internet of Things. Oltre all’energia solare che può essere impiegata come fonte per alimentare i sensori, i dispositivi werable possono utilizzare l’energia cinetica e le vibrazioni generate dal movimento del corpo.

SAP ha stimato che se l’efficienza energetica dell’Internet of Things dovesse migliorare del 30% rispetto ad ora si potrebbero risparmiare fino a 3,5 Gigatonnellat di carbonio (ossia 35 miliardi di quintali) entro il 2030 emettendone soltanto 0,2.

L’IoT per la decarbonizzazione

Accennavamo all’inizio al fatto che questa tecnologia ha concreti margini di applicazione per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione, ridisegnando interi settori e attività tradizionalmente poco amiche dell’ambiente in un’ottica di zero carbon.

Sono molti i settori che possono utilizzare questa tecnologia per ridurre la propria impronta carbonica affidando la comprensione dei consumi e delle emissioni ai sensori e ai dispositivi di rilevazione. È quello che avviene, ad esempio, nell’ambito del trasporto marittimo, dove i capitani delle imbarcazioni possono studiare il moto della propria e di altre navi al fine di ottimizzare costantemente la rotta risparmiando oltre il 15% di carburante all’anno.

Un più recente studio, invece, mostra come l’Internet of Things possa essere utilizzato per migliorare l’impronta carbonica di una delle attività più inquinanti ed emissive di sempre: il trasporto e lo smaltimento dei rifiuti. Durante la decima Conferenza Internazionale dell’Internet of Things (IoT 2020), è stato presentato uno studio che ha mostrato come l’applicazione della tecnologia a questa particolare attività sia stata in grado di portare alla riduzione di 836 tonnellate di CO2 eq. all’anno. Attraverso l’utilizzo dei GPS, il team al lavoro ha fatto in modo che degli algoritmi potessero suggerire ai mezzi impiegati durante la fase di trasporto percorsi più ottimali e meno impattanti.

Oltre a questi esempi sono molti altri gli ambiti e i settori che l’IoT può contribuire a decarbonizzare. Sul canale Zero Carbon abbiamo di recente raccontato di come questa tecnologia possa essere impiegata negli edifici “Smart” per raccogliere i dati utili al bilanciamento dei consumi sulla base della domanda di energia effettiva. Ma il contributo che l’IoT può dare alla decarbonizzazione è ben più ampio e abbraccia l’Agrifood, i trasporti e la mobilità in senso più ampio.

Premesso che la strada che l’IoT dovrà percorrere in termini di sviluppo hardware è pressoché tracciata, il suo consumo energetico è giustificato dal fatto che rappresenta un mezzo molto valido per traguardare gli obiettivi ambientali di Agenda2030.

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