La zootecnia può diventare digitale? Certamente. Anzi, se vuole essere sempre più sostenibile, efficiente e trasparente lo deve fare. In Italia, nasce a tal proposito il Progetto LEO (Livestock Environment Open Data), iniziativa che mira a riunire in un’unica banca dati digitale tutte le informazioni relative al comparto per migliorare la qualità delle produzioni zootecniche italiane. Con un occhio di riguardo al rispetto del benessere animale e dell’ambiente. Ne parliamo con il responsabile del progetto, il professor Riccardo Negrini, Direttore Tecnico dell’Associazione Italiana Allevatori (AIA) e docente di Zootecnica Generale e Miglioramento Genetico presso la Facoltà di Scienze Agrarie, Alimentari e Ambientali dell’Università Cattolica di Piacenza.
Progetto LEO, di cosa si tratta?
Il Progetto LEO, Piattaforma Digitale per la Zootecnia, nasce nell’ambito del Programma di Sviluppo Rurale Nazionale (PSRN) con l’obiettivo di costruire una banca dati digitale della zootecnia che metta a disposizione degli operatori e del mondo scientifico in maniera strutturata e completa le informazioni che possano aiutare la sostenibilità ambientale delle produzioni, a conservare e valorizzare le biodiversità, garantire la qualità e l’origine delle nostre eccellenze alimentari, migliorare il benessere dei nostri animali, contrastare i cambiamenti climatici. Insomma, contribuire alla zootecnia 4.0.
Da chi è composto questo progetto?
Al progetto partecipano otto partner con competenze diverse e complementari di carattere scientifico (tre prestigiose università), di carattere tecnico (due istituti riconosciuti a livello internazionale), sulla sanità e sul benessere degli animali (due Istituti zooprofilattici), informatiche (una società specializzata nella gestione di big data e nella creazione delle banche dati open). Il team è coordinato dall’Associazione Italiana Allevatori, che opera a livello nazionale in oltre 45000 allevamenti grazie alla professionalità di un esercito formato da oltre 800 tecnici di campagna altamente specializzati e che può contare su una rete di 13 laboratori di analisi equipaggiati con le più avanzate tecnologie disponibili.
A chi è rivolto il Progetto LEO e perché?
In primis agli operatori del settore zootecnico nel senso più ampio del termine (allevatori, tecnici, consulenti, veterinari, filiere, imprese di trasformazione ecc.) e agli enti scientifici e di ricerca in grado di studiare soluzioni innovative alle complesse tematiche legate alle produzioni animali, tra cui ad esempio la sostenibilità delle produzioni. Ma le informazioni della banca dati sono accessibili a tutti in modalità aperta di livello 5, il più elevato livello di accessibilità oggi possibile.
Come fate a raccogliere e a gestire tutti questi dati?
LEO raccoglie dati in due modi distinti: direttamente nelle stalle attraverso i tecnici di campagna e producendoli nei laboratori di analisi della rete AIA dei partner, e in modalità di cooperazione applicativa, ovvero attraverso la connessione della banca dati LEO con altre banche dati di interesse zootecnico come, ad esempio, la Banca Dati Anagrafe Zootecnica di Teramo (BDN), la banca dati Siall dei controlli delle attitudini produttive latte e carne (controlli funzionali) e persino la banca dati meteorologici e climatici dell’Aeronautica Militare.
Un team di informatici ha progettato e sta realizzando una architettura informatica di ultima generazione capace di contenere miliardi di informazioni e di rispondere alle interrogazioni degli utenti in maniera efficiente. Pensate che ad oggi sono già registrati nel database oltre due miliardi di dati (da alcuni giorni disponibili a tutti in modalità “open data”, ndr), ovviamente in continua crescita al ritmo di oltre 30 milioni di nuovi dati all’anno.
Come può un progetto del genere contribuire, ad esempio, ad un maggior benessere animale in allevamento, o ad una più efficace tutela della biodiversità?
Rispondo con due esempi concreti. Il Progetto Leo, sfruttando i dati raccolti, ha già sviluppato e reso disponibile agli allevatori un indicatore di benessere avanzato che consente di monitorare lo stato della mandria e intervenire in maniera appropriata ed efficace non appena si profila un rischio. Questo consente, ad esempio, di intervenire in maniera precoce e prima che la patologia si aggravi, con terapie efficaci, utilizzando meno farmaci e riportando quanto prima l’animale nella condizione di benessere.
Relativamente alla tutela della biodiversità, nel database LEO sono già contenute informazioni sugli animali e sulle loro produzioni appartenenti ad oltre 120 razze autoctone e a limitata diffusione. Questi dati possono essere utilizzati da un lato per monitorare la numerosità della popolazione ed intervenire in caso di rischio di estinzione, dall’altro possono aiutare a valorizzare i prodotti legati alle razze autoctone garantendo la loro autenticità e contribuendo così alla sostenibilità economica delle preziose biodiversità zootecniche.
Vi do infine una news in anteprima. Il Progetto LEO sta costruendo anche una ricchissima bio-banca di materiale biologico delle nostre razze inclusi, in molti casi, anche rarissimi campioni dei capostipiti che le hanno originate.
Cosa caratterizza maggiormente il Progetto LEO?
Il Progetto LEO rappresenta una iniziativa senza precedenti nel nostro Paese e, credo, unica in Europa. Raccogliere così tante informazioni nel campo zootecnico e metterle a disposizione di tutti è la prova non solo dell’importanza del comparto per il nostro Paese, riconosciuto nel mondo anche grazie ad eccellenze alimentari (a partire dalle più note produzioni tipiche di formaggi e salumi), ma anche dello sforzo di trasparenza ed innovazione degli allevatori, veri protagonisti, con i loro animali, del progetto.
Come possono le tecnologie digitali contribuire ad una maggiore sostenibilità (ambientale, sociale, economica) del settore zootecnico?
Quello della sostenibilità delle produzioni alimentari agro-zootecniche è un tema complesso e multifattoriale, la cui soluzione richiederà uno sforzo collettivo della ricerca scientifica, della politica di settore e degli operatori del settore inclusi, ovviamente, gli allevatori. La ricerca della soluzione, o meglio, delle soluzioni sarà possibile solo a partire dall’analisi dei dati e dalle informazioni disponibili e grazie alla innovazione tecnologica. Semplificando al massimo, direi che si tratta di mettere a punto un nuovo modello produttivo agro-zootecnico che coniughi la necessità di produrre cibo per una popolazione mondiale in crescita con l’esigenza di preservare il pianeta. Una sfida difficile, ma che dobbiamo vincere
Quali sono dal suo punto di vista le misure più efficaci per “educare” gli operatori del settore ad un uso più consapevole e proficuo del digitale in zootecnia?
Purtroppo, le statistiche ci dicono che il nostro Paese è uno dei meno “digitalizzati” in Europa e, nel settore delle produzioni animali, sono meno del 40% le aziende informatizzate. Per colmare questo “gap digitale”, immagino siano necessarie molteplici linee di intervento contemporanee, come ad esempio la formazione del personale aziendale sull’utilizzo di strumenti informatici gestionali e di precision farming, l’attivazione di consulenza tecnica specifica in allevamento sulle tecnologie disponibili in funzione dell’indirizzo produttivo e degli obiettivi aziendali, o ancora lo sviluppo di strumenti IoT (Internet Of Things) dedicati alla gestione della stalla di facile utilizzo e a costo sostenibile.
Credo che la diffusione delle tecnologie digitali e di precisione sia una priorità strategica per le produzioni animali del nostro Paese e per accelerare la transizione verso un modello di zootecnia sostenibile a 360 gradi.
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