Inconscio digitale (conclusioni)

Nel primo capitolo, "inconscio digitale", ci siamo chiesti se nel contesto onlife anche il nostro inconscio sia divenuto digitale. In "inconscio digitale, bis", abbiamo illustrato le diverse concezioni del concetto. In questo terzo capitolo, proviamo a trarre le conclusioni per capire se e come potrebbe esserci utile il concetto di inconscio digitale, in senso psicodinamico

Immagine distribuita da PxHere con licenza CC0

Dove era l’Es deve subentrare l’Io. È un‘opera di civiltà, come ad esempio il prosciugamento dello Zuidersee

 Sigmund Freud,
Introduzione alla psicoanalisi,
Seconda serie di lezioni (1932)

 

Nel post Inconscio digitale ci siamo domandati se, nel contesto della trasformazione della nostra vita da analogica a onlife (Floridi), anche il nostro inconscio sia divenuto digitale. Abbiamo a tal fine analizzato le caratteristiche dell‘inconscio tradizionale secondo Freud e tracciato le connessioni che intercorrono tra l‘inconscio, il sogno, la creazione poetica e il digitale. Nel post Inconscio digitale, bis abbiamo illustrato le diverse concezioni del concetto di inconscio digitale. De Kerckhove lo intende come uno spazio virtuale, costituito da un particolare assemblaggio di informazioni, in cui si muove la nuova “massa connettiva”. Legrenzi e Umiltà lo concepiscono come un “inconscio artificiale” che “si nutre delle informazioni che gli stessi utenti dei social gli forniscono gratuitamente e inconsapevolmente”. Balick illustra invece una concezione psicodinamica dell’inconscio digitale e suggerisce che “le parti di noi stessi che proiettiamo in Internet, le parole dei nostri tweets e dei nostri blog possano essere una sorta di sogno sociale“, “un’associazione libera socio-culturale”, una sorta di innovativo ampliamento del nostro inconscio collettivo. L‘inconscio digitale di Balick accoglie dunque pensieri e sentimenti, emozioni e informazioni, insomma tutto quello di cui siamo fatti. Proviamo allora a trarre qualche provvisoria conclusione per comprendere se e in che modo potrebbe esserci utile il concetto di inconscio digitale, inteso in senso psicodinamico.

Gli umani hanno recentemente creato un nuovo continente, quello digitale le cui caratteristiche ricordano da vicino quelle del sogno, che Freud ci ha detto essere “la via regia all’inconscio” e che Gérard de Nerval descrive come una “seconda vita”. Ebbene, nella vita digitale, così come nel sogno, la realtà esterna viene sostituita con un’altra realtà (di volta in volta indicata come cyberspazio, “la nuova casa della Mente”, realtà virtuale, realtà aumentata, realtà digitale), nella quale i processi non appaiono alterati dal trascorrere del tempo, sono estremamente mobili e variabili e il principio di non contraddizione è praticamente sospeso. Tuttavia, a differenza del sogno, il digitale non è una dimensione separata dalla realtà e incompatibile con la stessa. Il digitale è, come ha elegantemente riassunto Floridi, onlife e noi conduciamo una vita ibrida, che non distingue più tra online o offline. Il digitale fluisce dunque nel nostro quotidiano offline e viceversa. Non solo. Mentre noi abbiamo la sensazione di poter accedere a nostro piacimento al continente digitale, controllandone varchi e accessi, il digitale controlla noi, esercitando su di noi un fascino cui non sappiamo resistere migrando sempre più verso il digitale e immaginando nuove realtà che vanno oltre (Meta).

Per certi versi si è realizzato un paradosso rispetto a quanto auspicato da Freud che suggeriva appunto di prosciugare l’inconscio a favore del conscio come era stato fatto con il prosciugamento dello Zuidersee per ottenere nuova terra coltivabile. La bonifica di questo lago olandese divenuto, a seguito dell’irruenza del mare, salato, è stata opera maestosa, a lungo dibattuta nell’800 e portata a termine a tappe, una delle principali occorsa proprio poco prima del citato saggio di Freud “Il prosciugamento ebbe inizio al principio del 1930 e 8 mesi più tardi il polder era asciutto, dopo che 600.000.000 di metri cubi d’acqua erano stati evacuati.”

La metafora freudiana della bonifica del mare è molto interessante e ci mostra, per una volta, un Freud decisamente più figlio del suo tempo che geniale innovatore. La prospettiva di un prosciugamento del minaccioso mare dell’Es a favore dell’insorgenza di un una nuova terra dell’Io rivela da un lato il timore di Freud nei confronti delle ribollenti sentine dell’inconscio e dall’altra evidenzia quanto egli si sentisse investito del compito di portare, attraverso il nuovo movimento psicoanalitico, la civiltà anche all’interno della psiche dell’uomo così come l’ingegneria l’aveva portate con maestose opere nel suo mondo esteriore. Ma cosa rimane ora dell’auspicio di Freud? Anziché prosciugare lo Zuidersee del nostro inconscio abbiamo creato un altro continente, digitale, che, nelle nostre intenzioni avrebbe dovuto essere un “luogo fatto di transazioni, relazioni e di puro pensiero”… ”una realtà che va oltre il mondo dei nostri corpi, un mondo, appunto, che si trova ovunque e allo stesso tempo da nessuna parte.”. La migliore delle utopie possibili, nella quale la “maledetta” e sudata terra viene sostituita dal “puro” vento digitale (Han) della trasparente razionalità. In realtà abbiamo portato con noi sul nuovo continente digitale il nostro inconscio, che ha trovato in questa terra di confine onlife, tra sogno e realtà, fertile terreno di coltura. Sul digitale abbiamo riversato tutte le nostre proiezioni, di purificazione e redenzione ma anche di piacere e di aggressività, così che da paradiso il digitale è divenuto un nuovo paradiso perduto, sul quale non abbiamo più il controllo – ammesso e non concesso che all’inizio l’avessimo mai avuto. “Non solo [l’Io] non è padrone in casa propria” come ci aveva dolorosamente rivelato Freud più di cento anni fa e come le neuroscienze oggi ci confermano, ma non lo è più nemmeno nel digitale, la sua creazione per antonomasia, che è andata incontro a una inconsapevole trasformazione. Se infatti i blog – “termine che nasce dalla contrazione della definizione di Weblog ossia “traccia di rete” hanno segnato l’epoca dei contenuti, scambiati all’insegna della collaborazione e della partecipazione abbattendo “il muro tra produttori e fruitori di informazioni” (Stefano Epifani, Sostenibilità digitale), con i social network site e le piattaforme si passa all’era delle relazioni, grazie alla capacità delle stesse “piattaforme di tracciare le relazioni tra utenti attraverso la costruzione di un grafo sociale nel quale sono codificati i loro contatti, le loro attività, le loro preferenze”… “Si potrebbe affermare che così come i blog stanno al contenuto i social network site stanno alla relazione” (Stefano Epifani, Sostenibilità digitale). Oltre all’impoverimento dei contenuti, i giardini murati (walled garden) dei social media rischiano di sviluppare l’effetto filter bubble (Eli Pariser) inducendo l’utente a chiudersi “all’interno di una vera e propria cornice ideologica” (Stefano Epifani, Sostenibiltà digitale). Il digitale ha accolto dunque le nostre speranze di pura razionalità e le nostre fantasie di onnipotenza ma è anche divenuto ricettacolo dei nostri impulsi e delle nostre angosce, propagatore di quelle tendenze alla chiusura ideologica, al riduzionismo e alla disinformazione (post truth) che era nato per combattere. Sarebbe d’altro canto singolare che la creazione (il digitale) non rispecchiasse le caratteristiche del suo creatore (l’essere umano). Anziché gridare allo scandalo e addossare al digitale ogni sorta di mali (ci renderebbe stupidi, immemori, schiavi etc.) è più opportuno sottoporre il digitale ad un’analisi critica che si avvalga anche dei concetti psicoanalitici per meglio comprendere quanto i nostri impulsi e le nostre emozioni influenzano il nostro rapporto con il digitale stesso e viceversa. Ritengo dunque sia legittimo e quanto mai utile parlare di inconscio digitale in senso psicodinamico, precisando peraltro che l’inconscio continua ad operare dentro di noi anche se ha trovato nel digitale un ulteriore ambito di espressione accanto al sogno, agli atti mancati e ai sintomi. Anziché attribuire le distorsioni del digitale alla malevolenza dei cattivi di turno (che certo non mancano) si tratta di scrivere, insieme, una nuova psicopatologia della vita quotidiana digitale che ci aiuti a comprendere meglio il nostro rapporto con il digitale.

In un’accezione di inconscio forse più junghiana, l’inconscio digitale potrebbe indicare tutte le proiezioni collettive che riversiamo sul digitale e che a loro volta influenzano il nostro quotidiano. Affiancandolo ai miti e ai contenuti psichici universali preesistenti all’individuo e patrimonio della civiltà, gli archetipi, il digitale potrebbe essere inteso, come suggerisce Balick, come un sogno sociale, “un’associazione libera” socio-culturale collettiva in perenne evoluzione e trasformazione. Per certi versi il digitale potrebbe costituire la versione aggiornata dell’alchimia che Jung intendeva come la proiezione nel mondo materiale degli archetipi dell’inconscio collettivo.

La stessa psicoanalisi ha conosciuto però, come il digitale, una trasformazione che l’ha condotta dai contenuti alle relazioni. Mentre inizialmente ad essere oggetto di interpretazione psicoanalitica erano i contenuti (sintomi, sogni, atti mancati) del paziente, la relazione del paziente (con le sue figure più significative e con il terapeuta) è divenuta sempre più il fulcro del lavoro psicoanalitico. Torniamo per un momento a Freud e all’evoluzione che il concetto di inconscio ha avuto all’interno della stessa psicoanalisi freudiana. Freud stesso ha riconosciuto che l’inconscio non coincide esclusivamente con il rimosso cioè con tutti i contenuti e soprattutto gli impulsi ed affetti troppo dolorosi o minacciosi per noi e che pertanto rimuoviamo (inconsciamente) dalla coscienza. L‘inconscio è composto anche da altre parti, pregresse, preverbali, ciò che accade insomma tra baby e caregivers nei primi mesi dello sviluppo e che si traduce nel tipo di attaccamento, nell’immagine di sé stessi e degli altri che poi rimangono in noi per tutta la vita, per non parlare poi di quanto ci viene inconsciamente trasmesso dalle generazioni precedenti (oggetto di studio dell’epigenetica). È dunque legittimo ipotizzare che una parte di inconscio sia destinata a rimanere in noi, non possa essere trasformata in conscio, come l’acqua dello Zuidersee in terra. Anzi, non sarebbe nemmeno auspicabile, perché l’inconscio non viene più visto solo come un fardello di cui liberarsi ma come una funzione della mente che ci può essere d’aiuto. Bion aveva già introdotto una nuova visione dell’inconscio, suggerendo che esso svolga una funzione trasformativa consentendo il cambiamento di esperienze sensoriali ed emotive della primissima infanzia (elementi beta) in pensieri onirici (elementi alfa). L’inconscio è cioè quello che ci permette di elaborare e superare la realtà trasformandola in fantasia. Da contenitore l’inconscio diventa così modalità trasformativa e creativa. Non sono fantasiose teorie psicoanalitiche. È stato scientificamente dimostrato che i risultati dei processi decisionali inconsci sono spesso superiori a quelli dei giudizi formulati a livello conscio, e che le decisioni inconsapevoli in genere sono migliori nel caso di un giudizio complesso mentre i processi coscienti sono superiori a quelli inconsci se c’è da attenersi a una sola regola.

Se analogamente guardiamo più che ai contenuti alla nostra relazione con l’inconscio stesso, possiamo più modernamente concepire l’inconscio digitale come una nuova modalità di elaborazione della realtà a valenza ricombinatoria e dunque potenzialmente creativa, il che spiega meglio anche il suo carattere “disruptive”. Nel nostro rapporto onlife con il digitale entriamo infatti in contatto con parti consce ma anche inconsce nostre e altrui (individuali e collettive) che a loro volta esercitano una maggiore o minore influenza su di noi. A seconda della sintonia che riusciamo a percepire e a instaurare con queste parti riceviamo anche minori o maggiori stimoli non solo cognitivi ma anche emozionali che possono tradursi in nuove modalità d’approccio al mondo e a noi stessi. “La trasformazione digitale – scrive Epifani “non si limita ad agire a livello di processo, ma agisce letteralmente a livello di senso: ha il potere, infatti, di cambiare il senso delle cose. Una vera e propria rivoluzione di senso che basandosi sulla mutata percezione del concetto di valore (…) produce un cambiamento profondo in ogni aspetto della vita” (Stefano Epifani, Sostenibilità digitale).

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here