Economia circolare e SDG13: il ciclo chiuso in contrasto al cambiamento climatico

Dei 100 miliardi di tonnellate di materiali che entrano ogni anno nell'economia globale, solo l'8,6% viene reimmesso in circolo. Tuttavia, il paradigma circolare è una delle più importanti alternative nel contrasto al cambiamento climatico

Immagine distribuita da Piqsels

Il 45% delle emissioni di gas serra che provocano il cambiamento climatico deriva dal modo in cui produciamo e utilizziamo prodotti e alimenti, e oltre il 90% della perdita di biodiversità è dovuta all’estrazione e alla lavorazione delle risorse naturali. Produrre meno e meglio vuol dire progettare beni e servizi in grado di deperire più lentamente, riutilizzare i materiali al massimo delle loro possibilità allungandone il ciclo di vita. Condividere i servizi (come, ad esempio, i trasporti) vuol dire ottimizzare il possesso di oggetti e quindi dell’energia necessaria per produrli. Tutto questo fa parte del nuovo paradigma circolare, una delle alternative – secondo le misurazioni dell’Agenzia Europea dell’Ambiente – contro il cambiamento climatico. 

La decarbonizzazione è più di una promessa o una linea guida, è un impegno condiviso: può la transizione verso un’economia circolare davvero aiutare per questo scopo?

Il primo passo è la misurazione: secondo il Circularity Gap Report 2022 appena pubblicato, dei 100 miliardi di tonnellate di materiali che entrano nell’economia globale ogni anno, solo l’8,6% viene reimmesso in circolo, un enorme divario di circolarità di oltre il 91% che dovrebbe essere affrontato con azioni. La lenta crescita dell’adozione della CE, infatti, non consente alle emissioni di GHG e all’impronta di carbonio di diminuire in modo significativo per mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici.

Persino gli studi che possono rispondere alla domanda può l’economia circolare aiutare a mitigare il cambiamento climatico? scarseggiano, dal momento che si devono avvalere di metriche comuni, indicatori di circolarità per paesi e imprese, che non ci sono a sufficienza: ad esempio, i CTI (Indicatori di Transizione Circolare), o i Circulytics sviluppati da Ellen MacArthur Foundation che dovrebbero servire da indici performativi delle pratiche circolari da aggiungersi alla misurazione delle emissioni di ogni azienda.

Le città

Le città, grandi catalizzatori di risorse ed energia dal punto di vista industriale e dell’economia collaborativa possono essere d’aiuto nella mitigazione del cambiamento climatico. È qui che avviene la maggior parte dei trasporti, dell’ottimizzazione energetica, dello sfruttamento di suolo e materie prime ma anche di prodotti lavorati. Si stima infatti che il settore edile sia quello più energivoro e più affamato di risorse e che l’economia circolare possa ridurre le emissioni in questo ambito fino al 61%.

Come? Riciclando il cemento proveniente dalle demolizioni, con la progettazione modulare che consente di apportare modifiche lì dove necessario senza abbattere gli edifici che non rispondono più a determinati requisiti e aumentandone dunque il ciclo di vita.

Complessivamente, queste azioni circolari nel settore edile dell’UE possono ridurre le emissioni di GHG di 80 megaton di CO2. Di questo abbattimento, 55 megaton proverrebbero dal miglioramento del materiale.

Le città sono anche un potentissimo asset per l’economia collaborativa che, nel trasformare beni in servizi condivisi, può applicare questo paradigma anche agli edifici: la condivisione degli spazi può ridurre considerevolmente la domanda di altre costruzioni. Per quanto riguarda gli uffici, ad esempio, vengono utilizzati in media solo per il 40% del tempo, anche durante l’orario di lavoro. Le iniziative di condivisione potrebbero aumentarne il tasso di utilizzo. In più, con l’attuazione sempre più massiccia del lavoro da remoto da parte delle aziende, la quantità di spazi vuoti negli uffici aumenterà ulteriormente.

Ad ogni elemento il suo (infinito) ciclo di vita

Secondo la Ellen MacArthur Foundation, l’applicazione di strategie di economia circolare nella gestione di cemento, alluminio, acciaio, plastica e cibo potrebbe eliminare quasi la metà delle emissioni residue dalla produzione di beni: 9,3 miliardi di tonnellate di CO2 nel 2050, con una riduzione considerevole anche delle emissioni da trasporto.

La road map dell’Agenzia Europea dell’Ambiente strutturata da trinomics per l’applicazione dell’economia circolare al cambiamento climatico si basa su studi effettuati sui materiali e sul metodo “RESOLVE” (REgenerate – Sharing – Optimise – Loop – Virtualise – Exchange):

  • Rigenerare: passare all’uso di risorse (biologiche) più rinnovabili.
  • Condividere: massimizzare l’uso dei prodotti, condividendo le risorse, ma anche prolungandone l’uso attraverso una corretta manutenzione.
  • Ottimizzare: usare meglio le risorse durante l’intero ciclo di vita, dall’energia necessaria per la produzione a quella necessaria per l’utilizzo.
  • Ciclo: ritorno di materiali e prodotti alle fasi precedenti del ciclo di vita.
  • Virtualizzare: sostituire i beni fisici con servizi e prodotti digitali.
  • Scambiare: riguarda il passaggio a materiali diversi con prestazioni migliori, più reperibili o di minore impatto ambientale, ma anche la sostituzione di processi produttivi antiquati con tecniche innovative.

In particolare, per quel che riguarda gli studi sui materiali, si stima che la combinazione delle azioni circolari nella produzione di acciaio nell’UE riduca le emissioni totali in questo settore da 104 megaton in assenza di un’azione circolare a 57 megaton con pratiche circolari, procurando un abbattimento di 47 megaton di CO2 all’anno entro il 2050. Anche per quel che riguarda l’alluminio, con un riciclo corretto e tecniche di separazione delle leghe metalliche per il riutilizzo si potrebbero abbattere 29 megaton all’anno. E ancora, la plastica, particolarmente energivora anche nella fase di smaltimento (incenerimento) è la materia di cui occuparci con più urgenza: l’aumento del riciclo della plastica può ridurre le emissioni da 233 milioni di tonnellate all’anno entro il 2050 a 117 milioni di tonnellate, quindi una riduzione di 116 milioni di tonnellate di emissioni di CO2 all’anno, per una riduzione totale di 15 milioni di tonnellate di CO2 equivalente rispetto al livello odierno di emissioni.

12 comandamenti per 0 emissioni: le buone pratiche

Sono gli interventi che il gruppo di ricerca di Circle Economy ha riassunto per mettere l’economia circolare al servizio della decarbonizzazione in particolare nei paesi in via di sviluppo:

  1. Una migliore gestione degli allevamenti

L’allevamento è una delle principali fonti di reddito degli agricoltori, soprattutto nei paesi in via di sviluppo. Produce, però, il 65% delle emissioni di tutta la filiera agricola. Ma è anche il settore in cui sono più possibili le attività circolari: pascolo gestito, allevamento selettivo, rotazioni, un corretto riutilizzo del digestato. Proprio l’installazione di biodigestori è il fulcro di un programma di riduzione delle emissioni in Kenya, il Kenya Biogas Program, appunto, che ha contribuito a ridurre le emissioni di 365.200 tonnellate di CO2 e impedito l’estrazione di 223.000 tonnellate di legno.

  1. Produzione vegetale rigenerativa

Si tratta di pratiche agricole che investono nella salute del suolo e nella fertilità e contribuiscono a preservare la biodiversità complessiva dei terreni coltivati limitando l’uso di fertilizzanti e pesticidi che da soli sono responsabili di una percentuale tra il 7 e il 26% delle emissioni nel contesto agricolo in Asia meridionale, Africa subsahariana, Nord Africa, Medio Oriente e America Latina, anche senza contare il carbonio associato alla loro produzione. L’agroecologia, un tentativo diffuso a livello globale, ha visto risultati particolarmente virtuosi in Argentina, con il sindacato argentino dei lavoratori della terra UTT, che ne hanno fatto un sistema di formazione oltre che di produzione.

  1. Bioeconomia e biomateriali

Usare materiali a base biologica, prediligere le risorse rigenerative e dare priorità all’uso della biomassa sono le buone pratiche per mitigare le emissioni dovute alla produzione. Molto di più se questo avviene su larga scala: Piñatex™, azienda filippina, riesce a soddisfare la crescente domanda di pelle nell’abbigliamento, nelle calzature, nell’industria dell’arredamento, dell’auto e dell’aeronautica utilizzando invece di pelli di animali, foglie di ananas di scarto dalle coltivazioni, e producendo pochissimi rifiuti.

  1. Ridurre le perdite di cibo dal raccolto alla trasformazione

Il 36% del cibo prodotto in Asia Centrale e in Africa viene sprecato e questa perdita, che avviene in tutte le fasi della catena del valore, costituisce l’8% delle emissioni globali. Uno spreco che avviene per lo più per la mancanza di infrastrutture per la conservazione e contro il deperimento. Il raffreddamento tramite energia solare di ColdHubs in Nigeria ha permesso l’estensione del ciclo di vita del cibo.

  1. Ridurre gli sprechi alimentari nelle fasi di vendita e di consumo

Programmare la produzione con tecnologie digitali e previsioni algoritmiche, evitare lo stoccaggio eccessivo, sensibilizzare i consumatori all’acquisto delle giusta quantità, sviluppare i mercati delle eccedenze alimentari, normalizzare un’etichettatura standardizzata sono tutte strategie che ci proteggono dallo spreco di cibo nelle fasi successive alla produzione, dal momento che oggi un terzo di tutto il cibo prodotto non raggiunge il consumatore.

  1. Chiusura del cerchio sui rifiuti urbani

Le città, quell’enorme catalizzatore potenziale di economia circolare, possono raggiungere il miglior tasso di riciclo dei rifiuti: riutilizzo delle acque reflue e dei rifiuti organici come compost, ma anche il recupero del fosforo, nutriente preziosissimo per il suolo, che può ridurre l’utilizzo di fertilizzanti e combustibili fossili. Un piano di gestione di riciclo del rifiuto organico non può però prescindere da una sinergia cittadina: come accade a San Paolo del Brasile dove quasi mille mercati aderiscono insieme al recupero di rifiuti per la produzione di compost.

  1. Riprogettazione, riutilizzo, riparazione, rigenerazione di prodotti e riciclo di vetro, carta, metalli e plastica

L’impronta carbonica dei rifiuti solidi costituisce il 62% tra estrazione delle materie prime, lavorazione e produzione di materiali. Il 70% delle emissioni avviene poi nella gestione di tali materiali. A diminuire drasticamente queste percentuali sono i prodotti progettati per durare, o per essere disassemblati in caso di guasto. Il sindacato SWaCH, in India, grazie a una partnership pubblico – privato ha costruito un sistema di raccolta, riparazione, riciclo degli oggetti e dei materiali porta a porta. Nel 2018 SWaCH ha riferito di aver raccolto 398.580 tonnellate di rifiuti, di cui 71.744 vengono deviate dalle discariche e permettono di ridurre le emissioni di gas di 184.609 tonnellate.

  1. Transizione circolare verso le rinnovabili

Nel 2019 l’espansione delle rinnovabili ha superato l’aumento totale della produzione di elettricità per la prima volta in un periodo di espansione dell’economia globale. Particolarmente significativa la produzione e l’utilizzo dei pannelli solari: agli onori delle cronache in questo senso l’azienda lituana Solitek, per la sua produzione di fotovoltaico e geotermico a bassissimo spreco di rifiuti.

  1. L’ecoinnovazione nei distretti industriali

Una collaborazione in grado di utilizzare gli scarti come risorsa è possibile in modo sostenibile nei distretti industriali dove produzione, riciclo dei rifiuti, scambio di energia residua sono interlacciati per essere ottimizzati al meglio. La simbiosi industriale inoltre facilita l’utilizzo di beni e servizi in leasing invece che la proprietà e la vendita. Come dimostra il caso di SymbioSys, un database per aziende che le aiuta a identificare le opportunità per lo scambio di materiale in un distretto a nord della Spagna, la sinergia può avvenire anche tra le piccole e medie imprese e non solo tra grandi industrie.

  1. La progettazione circolare in edilizia

Design modulare, biomimetica (imitazione della natura per nuove idee di costruzioni sostenibili), software per migliorare il design di un edificio, organizzare il processo di costruzione e limitare gli sprechi ma anche database di materiali che possono essere correttamente smaltiti in fase di demolizione. Sono tutti accorgimenti in grado di diminuire il 4% delle emissioni globali, che rappresenta la percentuale di GHG prodotta dal settore edile.

  1. Trasporto non motorizzato e condiviso

Tra il 2000 e il 2016, le emissioni dei trasporti sono aumentate del 23% a livello globale e di quasi il 50% in paesi non OCSE. Le soluzioni per limitarle risiedono certamente nella condivisione (carpooling o carsharing), nei mezzi di trasporto sostenibili come biciclette e monopattini, ma ancor di più su larga scala con l’ottimizzazione digitale dei trasporti e del traffico, meccanismi previsionali e di comunicazione rapida con gli utenti sulle condizioni delle strade per decongestionare le città.

  1. Passare a una dieta più sana e sostenibile

È noto che gli alimenti a base vegetale richiedano meno risorse di produzione rispetto agli alimenti di origine animale. La dieta è, in fondo una questione culturale, e la transizione verso una dieta equilibrata a ridotto consumo di carne passa da alcune campagne di comunicazione istituzionali come se ne sono avute di efficaci in Cina, dove le linee guida del governo hanno ridotto considerevolmente il consumo di carne e in Cile, dove il governo ha imposto restrizioni pubblicitarie su cibi poco sostenibili, etichette di avvertenza sulla confezione di alcuni alimenti e il divieto di cibo spazzatura nelle scuole.

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