Vendetta porno: il 51% delle vittime considera il suicidio l’unica soluzione possibile

Revenge porn e Cyberbullismo, due facce della stessa medaglia. Il lato oscuro del web che cela aggressioni sottili che riescono a colpire la presunta vittima in modo subdolo, spesso non lasciandole nessuna via di fuga. Si assiste ad un costante aumento di casi che troppo spesso passano inosservati

Immagine distribuita da DailyNews24.it con licenza CCO

Quando s’impiccò, aveva trentatré anni. Tiziana Cantone, nata il 15 luglio del 1983 a Casalnuovo di Napoli, è una delle tante inosservate vittime del revenge porn. Aveva realizzato dei video amatoriali allo scopo di suscitare la gelosia dell’ex fidanzato. Il più grave degli errori che commise consisté nel farli circolare su WhatsApp. Da questo canale, infatti, pur in assenza d’una qualsivoglia minima forma di consenso, i filmati divennero d’un subito virali distruggendo la sua vita. Tiziana iniziò molto presto una battaglia legale per far sì che le venisse riconosciuto il diritto all’oblio, garantito dall’Unione Europea, cosicché molti file furono rimossi. Tuttavia, l’azione non fu sufficiente a restituirle la libertà né, tanto meno, a consentirle di colmare l’ormai enorme deficit esistenziale. Neppure cambiare nome e luogo di residenza le valse la reintegrazione. Nel 2016, si tolse la vita, anche se non pochi sospettano, tuttora, che si sia trattato di omicidio.

Il revenge porn è un fenomeno noto anche come ‘vendetta porno’, messa in atto, in genere, da un ex che, non accettando la fine di un rapporto, diffonde sulla rete, per vendetta e naturalmente senz’alcuna approvazione, foto e video dal contenuto sessuale della vittima. Sebbene la trama appena descritta sia da considerarsi come il movente principale di questi reati, è ampiamente documentato che, in molte altre circostanze, che potrebbero essere ascrivibili, per certi aspetti, al cyberbullismo, non esiste una causa esplicita o un legame diretto tra la vittima e l’aggressore. In particolare, tra gli adolescenti, è ormai invalso che ci si appropri di ‘contenuti altrui’ per farne oggetto di divulgazione, quasi fosse una goliardata di poco conto. Il Ministero dell’Istruzione, nel tentativo di richiamare costantemente l’attenzione sui pericoli generati da tale devianza, fornisce all’utenza pagine di istruzione e informazione, così definendo il fenomeno.

“Il cyberbullismo definisce un insieme di azioni aggressive e intenzionali, di una singola persona o di un gruppo, realizzate mediante strumenti elettronici (sms, mms, foto, video, email, chat rooms, istant messaging, siti web, telefonate), il cui obiettivo è quello di provocare danni ad un coetaneo incapace di difendersi.”

Leggendo le parole adottate dal redattore pubblico, ci rendiamo conto rapidamente che il confine tra revenge porn e cyberbullismo, specie se il tema dell’aggressione è quello sessuale, è molto più sottile di quanto immaginiamo. Aggressività, intenzionalità, uso di strumenti elettronici per far circolare foto e video costituiscono i capisaldi di questa tragedia umana. Nel 2019, è stata addirittura sviluppata un’applicazione, Deep Nude, che consentiva a chi la scaricava di spogliare le donne tramite l’AI. Di qui, è per lo meno intuibile la conseguenza indicata dal Dipartimento per le Politiche Giovanili e che determina una sorta di dominio di comunione tra revenge porn e cyberbullismo: “I reati di revenge porn sono avvenuti in gruppi di adolescenti come forma di bullismo, o sono diventati dei ricatti contro celebrità o personalità politiche.”

Secondo gli studi dell’American Psychological Association, il 10% della popolazione avrebbe lottato, almeno una volta nella vita, contro le ‘vendette porno’. I ricercatori della summenzionata associazione avrebbero anche scoperto e documentato che la maggior parte di coloro che subiscono aggressioni di questo genere pensa al suicidio. La statistiche diffuse dalla Cyber Civil Rights sono inquietanti: il 51% delle vittime considera il suicidio l’unica soluzione possibile. A tal proposito, prima di procedere oltre e fare delle valutazioni dettate dai nostri criteri di sostenibilità, è doveroso precisare che il Legislatore italiano ha adottato un Codice Rosso per punire i ‘colpevoli di pornografia non consensuale’. La disciplina penale è affidata alla Legge 69 del 2019. Qui, riportiamo un frammento pubblicato dal Servizio Studi della Camera dei Deputati che ovviamente contiene altre fattispecie, ma di cui mettiamo in evidenza il testo concernente il nostro focus.

“Il delitto di diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti senza il consenso delle persone rappresentate (c.d. Revenge porn, inserito all’art. 612-ter c.p. dopo il delitto di stalking), punito con la reclusione da 1 a 6 anni e la multa da 5.000 a 15.000 euro; la pena si applica anche a chi, avendo ricevuto o comunque acquisito le immagini o i video, li diffonde a sua volta al fine di recare nocumento agli interessati. La fattispecie è aggravata se i fatti sono commessi nell’ambito di una relazione affettiva, anche cessata, o con l’impiego di strumenti informatici.”

Può apparire strano, paradossale e preoccupante, ma i paesi in cui il Legislatore è intervenuto non sono affatto numerosi e, di certo, non rappresentano la maggioranza: Italia, parte degli USA, Canada, Regno Unito, Malta, Australia, Giappone, Israele, Filippine. Nel resto del mondo, a quanto pare, si registra una certa ‘leggerezza’; la qual cosa ci fa pensare che del web non si abbia ancora una concezione scientifica e psico-antropologica adeguata, non altrimenti che se si trattasse di qualcosa di collaterale, irrilevante ed estraneo alla vita reale.

È molto probabile, in sostanza, che, nonostante le tanto decantate ‘rivoluzioni digitali’, la lingua della rete sia ancora, in parte, incompresa o inesplorata. Ogni utente è protagonista di un’incessante narrazione e i cosiddetti nodi che costituiscono la rete sono degli indicatori semantici, esistenziali e, molto di frequente, giudiziari che dovrebbero essere costantemente monitorati e studiati da veri e propri team di esperti. In pratica, si dovrebbe prediligere l’attività previsionale, attivare un ‘osservatorio digitale’ permanente, laddove si tende a concepire per lo più il modello retroattivo-punitivo. Indubbiamente, ci si rende conto del fatto che un’attività del genere, se commisurata a un contesto nazionale, sarebbe oltremodo tortuosa e, talora, potrebbe rivelarsi un po’ criptica o imperscrutabile, specie se consideriamo che il web non è solo quello che tutti noi vediamo. I livelli più profondi e, di conseguenza, inesplorati dai più sono anche i più pericolosi. Nello stesso tempo, bisogna ammettere che le ‘narrazioni digitali’, individuali o collettive, sono caratterizzate spesso da parossismo e richiami diabolico-mitologici, giacché il medium è utilizzato come una sorta di esperienza del riscatto, nel bene e nel male. Tuttavia, non si può continuare a non studiarne la lingua, limitandosi unicamente a classificarne le forme.

Esiste un luogo in cui un osservatore attento e disposto all’esplorazione è in grado di fare previsioni sul comportamento umano: è indefinibile, incontenibile, incommensurabile. Ogni individuo vivente, anche inconsapevolmente, vi transita, lasciando tracce di sé, tracce che si trasformano in documenti d’identità: gioie e dolori, intenzioni e convinzioni, dubbi e certezze, speranza e scetticismo. Ciascuno di questi elementi contiene una storia e dei segni che il passaggio degli uomini racconta. Sulle prime, si tratta di un residuo, che si deposita al suolo, così da generare alti e densi strati di materia amorfa e viva. L’esploratore che si sia giovato del privilegio della contemplazione, tuttavia, ne fa nascere una forma, un volto, una trama. La dimensione entro la quale stiamo interpretando i misteri che ci circondano è quella del linguaggio, unica struttura dell’esistenza che denunci il parlante stesso, rivelando ciò che di solito s’intende nascondere o si tende a mistificare e occultare. La nostra lingua, sia quella scritta sia quella parlata, è fatta di parametri che si ripetono in modo puntuale e sistemico; non a caso, essa è considerata ricorsiva. Partendo da mezzi finiti, tutti noi riusciamo a produrre una serie infinita e, per l’appunto, ricorsiva di combinazioni, che si strutturano secondo una particolare frequenza d’uso. In pratica, le modalità espressive di ognuno di noi si basano su un certo patrimonio comune, ma differiscono le une dalle altre sia per lo stile sia per le vicende vissute o parzialmente sperimentate dal parlante. Non possediamo la lingua di Dio e non c’è la pretesa di proclamare la verità, ma abbiamo il coraggio di indagare, scoprire e conoscere.

Di là dall’excursus sull’analisi della lingua, è bene ricordare che, in Italia, opera Permesso Negato: nata nel novembre del 2019, è una no-profit il cui obiettivo consiste nello sviluppare “strategie per la non proliferazione della pornografia non consensuale” e che, in poco meno di tre anni, ha già gestito addirittura 4.000 vittime, fornendo loro supporto. In pratica, Permesso Negato ha il grande merito di essere un vero e proprio osservatorio, sebbene, purtroppo, sembri mancare di un adeguato contributo di analisi linguistica. Ciò, naturalmente, non riduce i meriti dei suoi fondatori e dei suoi ricercatori, che, anzi, sono attivi e determinanti quant’altri mai. Secondo il loro ultimo report, STATE OF REVENGE – NOVEMBRE 2021 Analisi dello Stato della Pornografia Non Consensuale su Telegram in Italia, il fenomeno della pornografia non consensuale cresce in modo inarrestabile. In sostanza, si è calcolato che, in un solo mese, gli utenti di un canale Telegram che divulga questo materiale possono crescere anche di un milione di unità. Nel mese di novembre del 2020, gli 89 gruppi rilevati avevano un totale di 6.013.688 di account.

Osservando il grafico prodotto dall’associazione, si apprende facilmente che, in un solo anno di studio, si è documentato un incremento di quasi tre milioni di account. Ed è agghiacciante scoprire che molti utenti chiedono – e pagano per averli – video di stupri. Permesso Negato, inoltre, è diventato partner del Programma pilota sulle immagini intime condivise senza autorizzazione di Meta “che consente alle persone che temono che le proprie immagini intime possano essere condivise senza il loro consenso di inviarne una copia in modo sicuro e protetto per impedire che tale immagine o video venga condiviso su Facebook, Messenger e Instagram”.

Dal nostro punto di vista, la lacuna è da ravvisare nel sistema di prevenzione: il primo strumento di scambio è il codice linguistico che taluni soggetti utilizzano fin da tempi non sospetti, per così dire. Se si agisse  in un ambito psicosemantico, molto probabilmente, sarebbe possibile anticipare ed evitare parecchie tragedie come quella di Tiziana. Analizzare i dati è essenziale, ma non sempre è un metodo decisivo. E i numeri ne sono la prova.

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