L’altro lato dell’economia circolare: sviluppo sostenibile e uguaglianza di genere

Una transizione giusta e inclusiva verso la circolarità richiede una maggiore partecipazione delle donne in tutto lo spettro dell'economia circolare, che non deve avvenire solo nei settori a bassi livelli produttivi e tecnologici, e cioè quello del lavoro informale, come sta accadendo, ma anche ai vertici

Immagine distribuita da Shutterstock con licenza CCO

Lo sviluppo sostenibile non può prescindere dall’uguaglianza di genere. L’empowerment femminile è uno dei valori universali che guidano tutti gli obiettivi di sostenibilità. Una transizione giusta e inclusiva verso la circolarità richiede una maggiore partecipazione delle donne in tutto lo spettro dell’economia circolare.

Il problema è che questo non deve avvenire solo nei settori a bassi livelli produttivi e tecnologici, e cioè quello del lavoro informale, come sta accadendo, ma anche ai vertici. Finora, infatti, le donne sono state storicamente protagoniste dell’approccio circolare, ma tutto questo è pur sempre frutto di una discriminazione: la non remunerazione del lavoro riproduttivo (gestione domestica, cura, pulizia e cucina, tra gli altri) ha costretto le donne a svolgere questi compiti in modo efficiente, minimizzando i costi e massimizzando l’uso delle risorse a loro disposizione. Sono state le donne a inventare le attività di seconda mano, come passare vestiti e giocattoli dai bambini più grandi a quelli più piccoli, reinventare e creare pasti con scarse risorse, coltivare il proprio cibo o impegnarsi in altre forme di commercio come la condivisione o il baratto con i vicini, dimostrando conoscenza e dimestichezza con spazi economici alternativi. Le ragioni di questa opportunità, però, non sono positive perché essa nasce da ruoli discriminatori e attività stereotipate: quello che l’economia circolare dovrà fare è, invece, portare le donne ai vertici decisionali di una transizione efficiente.

I dati confermano le donne leader del cambiamento

Una ricerca di Unido (l’Organizzazione delle Nazioni Unite per lo sviluppo industriale) conferma il trend delle donne specialiste di economia circolare ma sempre perché impiegate in lavori umili e a bassa specializzazione. La ricerca mostra che le donne sono rappresentate in modo sproporzionato nelle attività a basso valore aggiunto, informali e di fine ciclo dell’economia circolare, tra cui il riciclo, il riutilizzo e la gestione dei rifiuti. Al contrario, quando si approfondiscono attività circolari a più alto valore aggiunto come l’eco-design industriale, lo sviluppo di prodotti circolari e altre attività che comportano un maggiore uso di tecnologie avanzate, la partecipazione delle donne è meno rilevante. Questo, in parte, è il risultato della scarsa presenza delle donne nel settore STEM e ci conferma come il divario dei settori che stanno alla base della transizione ecologica può influenzare notevolmente anche le economie alternative che viaggiano verso un mondo sostenibile. Lo dimostrano anche altri dati raccolti da Unido: il settore dell’energia e dei servizi pubblici, un settore chiave nella transizione verso la circolarità, è ancora prevalentemente declinato al maschile: le donne costituiscono solo il 5% dei membri del consiglio esecutivo; Il 21% dei membri non esecutivi del consiglio e il 15% dei ruoli dirigenziali.

Perché questo è un fattore di impedimento e rallentamento per una transizione alla circolarità? Perché da uno studio del 2020 di Foreign Policy Analytics apprendiamo che “le aziende con una maggiore diversità di genere nei consigli di amministrazione dal 2013 al 2018 avevano il 60%, 39% e 46% in più di probabilità rispetto a quelle senza, di ridurre rispettivamente l’intensità del consumo di energia, le emissioni di gas serra e l’uso di acqua”.

Altri dati ci aiutano a capire che uno sviluppo sostenibile senza la decisionalità femminile sarebbe in realtà molto lento e difficile, ad esempio quelli sui consumi: sondaggi da tutto il mondo mostrano che le donne tendono ad essere consumatrici più sostenibili e sono più sensibili agli aspetti ecologici e ambientali, hanno maggiori probabilità di riciclare, ridurre al minimo gli sprechi, acquistare alimenti biologici e prodotti con marchio di qualità ecologica, e impegnarsi in iniziative di risparmio idrico ed energetico a livello domestico, attribuiscono un valore maggiore ai trasporti efficienti dal punto di vista energetico e in generale hanno una maggiore preferenza per il trasporto pubblico rispetto agli uomini.

Nelle loro preferenze su beni e servizi, ad esempio quando scelgono prodotti elettronici, le donne preferiscono quelli che hanno caratteristiche circolari (ovvero riutilizzo, rigenerazione o riciclo). Sono disposte a pagare un prezzo maggiore se il prodotto acquistato è più rispettoso dell’ambiente mentre gli uomini lo fanno solo a patto che il prezzo maggiorato rimanga molto basso.

Le donne sembrano anche essere più sensibili a soluzioni di gestione dei rifiuti più sostenibili: a seconda di posizione geografica e reddito, è più probabile che le donne accettino quotidianamente di praticare la raccolta differenziata di materiali riciclabili e rifiuti organici rispetto agli uomini; gli uomini, invece, sembrano poco impegnati nel riciclo dei rifiuti e considerano meno l’impatto ambientale delle loro scelte di vita.

Un coinvolgimento penalizzante

A comprendere più di tutti che il coinvolgimento delle donne nelle attività circolari deve cambiare sono i paesi in via di sviluppo, che hanno inserito nelle loro roadmap per l’economia circolare la dimensione di genere: Cile, Ecuador, Messico, Vietnam, India.

In particolare solo di recente, all’Assemblea delle Nazioni Unite sull’Ambiente di marzo, si è dato peso al lavoro informale tutto al femminile che permette di mandare avanti il riciclo dei rifiuti e diverse attività circolari. Ma se le condizioni di lavoro delle donne impiegate in questi settori sono difficili, ecco che ci troviamo di fronte a una contraddizione e a uno sbilanciamento tra obiettivi di sviluppo sostenibile: dignitose condizioni di lavoro da una parte e ambiente e circolarità dall’altro, dal momento che le donne costituiscono la maggioranza della forza lavoro nel settore della gestione informale dei rifiuti. In Vietnam, ad esempio, oltre il 60% dei lavoratori sono donne in situazioni precarie ed esposte a sostanze chimiche e nocive lungo le catene del valore nel settore tessile, agricolo o dei rifiuti. Le donne sono inoltre colpite in modo sproporzionato dall’inquinamento da plastica, hanno anche un’esposizione diretta a gas tossici ed emissioni derivanti dalla combustione di rifiuti, combustibili da cucina e possono soffrire di malattie legate al calore e livelli di inquinamento atmosferico alto.

Iniziative circolari tutte al femminile

Proprio in Vietnam, più di 1.500 lavoratrici informali nella raccolta dei rifiuti in cinque città hanno aderito a gruppi locali istituiti dai sindacati delle donne. Ricevono formazione su salute e sicurezza, separazione dei rifiuti e principi circolari. Possono anche accedere a fondi di rotazione gestiti ed erogati da gruppi di donne per l’acquisto di attrezzature che aggiungono valore al loro lavoro e migliorano i loro mezzi di sussistenza.

A unire molti progetti globali che cercano di cambiare il coinvolgimento enorme ma penalizzante delle donne nell’economia circolare, è Incubation Network che in India, Filippine e Vietnam, ha lanciato diversi programmi alla fine del 2021 per promuovere l’uguaglianza di genere all’interno dei sistemi di gestione e riciclo della plastica. Gli scopi dell’iniziativa sono: aumentare la consapevolezza sulle disuguaglianze di genere e le questioni relative ai diritti umani nei sistemi di gestione dei rifiuti e di riciclo, evidenziare soluzioni pratiche per migliorare la sensibilità e la reattività di genere, e dimostrarne il potenziale impatto; portare le donne a innovare il settore della raccolta e gestione dei rifiuti, permettendo loro ruoli di gestione delle risorse; aumentare le opportunità per le organizzazioni che si occupano di diritti dei lavoratori e delle donne perché possano prendere parte ai tavoli decisionali in questo settore.

Dai dati OCSE del 2019 sappiamo che l’iniziativa del governo indonesiano del 2008 di creare posti di lavoro per le donne In Indonesia nel settore dei rifiuti, ha creato effettivamente un aumento dei redditi per le famiglie.

E poi ci sono i fiori “circolari” nel luogo più popoloso (e tra i più inquinati) al mondo: un’azienda dell’Uttar Pradesh, in India, impiega 5000 donne appartenenti a fasce economiche svantaggiate per raccogliere fiori devozionali ogni giorno da diversi templi e moschee. L’azienda ripulisce i fiori di tutti i principali insetticidi e pesticidi e li usa per fare incenso e saponi dando loro una vita circolare ed evitando che finiscano a inquinare l’acqua del Gange.

Otro Tempo in Spagna trasforma l’olio da cucina usato in biodiesel, impiegando le donne sopravvissute alla violenza di genere. BeeUrban in Svezia fornisce servizi come alveari per l’impollinazione, giardini per la biodiversità e fattorie pensili: queste donne agiscono così sia contro il cambiamento climatico che contro le disparità economiche e di genere.

È quello che dovrebbe accadere nelle roadmap di sostenibilità di tutti i paesi: lo sviluppo sostenibile non può prescindere dall’uguaglianza di genere, e anche dalla parità di ruoli nelle nuove professioni della green economy.

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here