Economia circolare a protezione dei nostri mari e del pianeta

Salvare gli oceani è salvare il pianeta: non a caso, Agenda 2030 ha dedicato al tema uno specifico SDG, il 14. Raggiungerlo richiede di affrontare il problema più urgente, quello della “zuppa di plastica”. Un problema verso il quale l’economia circolare offre le soluzioni migliori

Immagine distribuita da PxHere con licenza CC0

Il potere che gli oceani hanno sulle nostre vite è inquantificabile. Le acque che popolano il pianeta costituiscono il cuore pulsante di ossigeno, biodiversità e assorbimento del 30% dell’anidride carbonica prodotta dalle attività umane. In più, le grandi masse d’acqua sono il più grande serbatoio di proteine al mondo e costituiscono il 97% dell’apporto di acqua, oltre a regolare la temperatura e il clima dei diversi ecosistemi, senza contare tutte le attività connesse alla blue economy (energie rinnovabili, acquacultura, allevamento, commerci, trasporti…).

Salvare gli oceani è salvare il pianeta, sembrerebbe. Ma i tentativi globali non sembrano essere sulla strada giusta, anche perché molti dei micro obiettivi del Goal 14 dell’Agenda 2030 – conservare e utilizzare in modo durevole gli oceani, i mari e le risorse marine per uno sviluppo sostenibile – avevano come scadenza il 2020, ad esempio lo sfruttamento dello stock ittico, la protezione e ricostruzione degli ecosistemi. Una buona tendenza si nota solo sulla riduzione dell’acidità delle acque, in costante diminuzione. L’Italia, ad esempio, si dimostra parecchio indietro: Asvis – Alleanza italiana per lo sviluppo sostenibile, lamenta lo scarso contributo del PNRR destinato alla causa (400 milioni di euro) ma soprattutto la lentezza nel raggiungere gli obiettivi previsti: l’Italia è il paese peggiore a livello europeo per l’aumento dell’attività di pesca e degli stock ittici in sovrasfruttamento, che raggiungono il 92,7%. Le aree marine protette si assestano sull’1,7% mentre l’obiettivo per il 2030 dovrebbe toccare il 30%.

Chiudere il cerchio della plastica

Il vincitore del Premio Ambiente al World Press Photo 2021, Ralph Pace, ha immortalato un leone marino che nuota insieme a una mascherina. Il problema più urgente degli oceani rimane, infatti, quello della “zuppa di plastica”, nonché quello sul quale l’economia circolare può ottenere le soluzioni più efficaci. Secondo il World Economic Forum, 8 milioni di tonnellate di plastica raggiungono gli oceani ogni anno. Di questa cifra, il 70% è plastica non biodegradabile, la cui presenza dovrebbe triplicare entro il 2025. Si tratta di un’emergenza sanitaria, ambientale ed economica che coinvolge una ristrutturazione della catena del valore ma anche della progettazione e produzione, dell’utilizzo e della gestione dei rifiuti in chiave circolare.

Come? Ampliando e regolamentando la responsabilità del produttore, lavorando con divieti e tasse ma anche sussidi per le imprese per quel che riguarda il packaging, sensibilizzando i consumatori, spingendo soprattutto le imprese a usare il materiale riciclato, abbattendo la plastica monouso, incentivando i designer a pensare i prodotti con un ciclo di vita lungo sin dalla loro nascita, ottimizzando il riciclo in modo da separare i rifiuti e costruendo un mercato per la plastica riciclata.

Non c’è un oceano B. Osservazione e tecnologia

I primi passi per proteggere gli oceani sono l’osservazione e l’analisi dei dati: è quello che fa Mercator Ocean International in collaborazione con il progetto Copernicus, insieme all’Agenzia Spaziale Europea (ESA) e l’Agenzia per l’ambiente europea (AEA). Opera misurando gli oceani sia attraverso sensori sui satelliti sia in mare con navi nei pressi delle coste e sistemi autonomi al largo. I dati vengono aggregati in modo da garantire un modello il più possibile affidabile degli oceani nel passato, presente e futuro prossimo. Grazie a queste rappresentazioni e all’accumulo dei dati in cloud negli ultimi 25 anni è stato possibile costruire delle metriche e degli standard da applicare a diversi paesi come Stati Uniti, Australia, Cina, Giappone e Canada. La flotta di satelliti Copernicus fornisce dati per monitorare l’impatto delle politiche e delle decisioni europee atte a proteggere i nostri oceani. Vi sono satelliti dedicati al monitoraggio del cambiamento del livello del mare, altri a fornire stime di correnti oceaniche che possono contribuire a intuire la traiettoria e la destinazione della plastica galleggiante nell’oceano. Gli strumenti di Mercator forniscono informazioni anche sulla temperatura media della superficie dei mari, sulla biodiversità regionale e locale, sul ciclo del carbonio e la sua potenziale influenza sul nostro clima e l’impatto delle attività umane sulle coste, sullo stato e l’evoluzione del ghiaccio artico e la previsione di condizioni metereologiche estreme sulle coste per ottimizzare le attività di soccorso. A partire da ottobre 2019, il Copernicus Marine Service conta quasi 20.000 utenti abbonati in tutto il mondo e 100.000 utenti non abbonati all’anno, da 120 paesi. Il loro numero è raddoppiato dal 2015 al 2017 con una media che va dai 300 ai 500 nuovi abbonati al mese.

Economia circolare per il mare. Pulire le spiagge non è abbastanza

Se è vero che invertire le tendenze dell’impatto antropico è molto difficile, l’International Coastal Cleanup ci offre dati confortanti. Cambiando le abitudini cambiano le conseguenze dei nostri comportamenti sul pianeta: da circa un milione e mezzo, le bottiglie di plastica trovate in mare nel 1997 dai volontari che operavano in Indonesia, sono diventate 264.000 nel 2017. Di più di un terzo, nello stesso arco di tempo, è diminuito il numero delle cannucce galleggianti nell’oceano. Le iniziative di riciclo sistemico della plastica che viene deviata dalla sua destinazione più pericolosa, il mare, sono moltissime e partono da piccoli luoghi e finanziamenti esigui per poi espandersi sul territorio.

Non mancano iniziative istituzionali, come Closing the Loop patrocinato da ESCAP che parte in ogni caso da una consapevolezza “locale”: i paesi dell’Asia contribuiscono a oltre la metà delle fonti terrestri di inquinamento marino da plastica. Le città in rapida crescita con sistemi di gestione dei rifiuti sottosviluppati nella regione del sud est asiatico sono responsabili fino al 60% della perdita di rifiuti di plastica nell’ambiente.

Fino al 75% delle fonti terrestri di inquinamento marino da plastica provengono da rifiuti non raccolti e il 25% da perdite nei sistemi di gestione dei rifiuti urbani. Fino al 95% dell’inquinamento da plastica fluviale viene trasportato solo da dieci grandi fiumi, otto dei quali in Asia.

Per questo Closing the Loop offre una mappatura delle fonti della plastica e dei suoi flussi verso i fiumi, ma soprattutto l’analisi del punto del processo in cui la plastica si disperde nell’ambiente, così da identificare misure e soluzioni. È stato creato un innovativo strumento di mapping virtuale per supportare le amministrazioni cittadine nella misurazione e nella gestione dei propri rifiuti di plastica. Utilizzando potenti algoritmi addestrati dall’intelligenza artificiale, lo strumento esegue la scansione di immagini da una serie di fonti di dati e rileva l’inquinamento da plastica oceanico. I dati sono aperti alla conoscenza e condivisione di diversi paesi e operatori coinvolti in modo da sviluppare una roadmap condivisa.

Sempre a Muncar, in Indonesia, Borealis insieme a Borouge e Mtm Plastics ha dato il via ad un programma da 15 milioni di dollari con funzionari indonesiani e l’azienda di imprenditoria sociale SystemIQ. I partner stanno tentando di eliminare la plastica oceanica a Muncar istituendo un sistema di raccolta dei rifiuti e deviando la plastica verso il riciclaggio, anche servendosi del lavoro informale in un sistema di raccolta che separa metalli e plastica di alto valore come contenitori in poliestere e polietilene per il riciclaggio.

Più vicino alle nostre latitudini, la catena alberghiera spagnola Melia Hotels ha deciso di eliminare la plastica monouso. L’intento di ridurre o eliminare i rifiuti ad alto impatto dall’ecosistema fa parte della strategia ambientale della filiera che prevede il passaggio a un modello di economia circolare.

Le policy, l’industria

Con The UK Plastics Pact, il Regno Unito sta creando un’economia circolare e collaborativa per la plastica. Riunisce aziende di tutta la catena del valore della plastica nel Regno Unito e, insieme con il governo e diverse ONG per si propone di sostituire gli imballaggi monouso entro il 2025 con imballaggi riutilizzabili, riciclabili o compostabili. L’organizzazione ha collaborato con SAP per creare SAP Plastics Cloud, una piattaforma per raccogliere dati lungo la catena di approvvigionamento globale.

Secondo Ellen Mac Arthur Foundation, l’economia circolare ha il potenziale per ridurre dell’80% il volume annuo di plastica che entra nei nostri oceani, generare risparmi di 200 miliardi di dollari all’anno, ridurre le emissioni di gas serra del 25% e creare 700.000 netti aggiuntivi posti di lavoro entro il 2040.

In questo caso le soluzioni sono in mano a individui e imprese: abbattere l’uso di plastica, acquistare prodotti senza imballaggi o con packaging riutilizzabile, riciclabile o compostabile. Si è parlato inoltre molto in questi anni di bioplastiche, che non garantiscono una valida soluzione agli oceani: i tempi di degradazione non sono così brevi e non tutte le bioplastiche nascono da polimeri completamente biodegradabili. Utili allo scopo, quindi, solo quelle nate da materiale organico.

Ma come si comportano i paesi del G20? Alcuni stati dell’India si sono mossi per far rispettare le regole contro la produzione e l’utilizzo di alcune materie plastiche monouso. Il nuovo Packaging Act of Germany (2019) affronta il ciclo di vita della plastica per ridurre la plastica a fine vita. Prescrivendo che gli imballaggi in plastica debbano essere progettati tenendo conto della riciclabilità, prevede il miglioramento (compresa la semplificazione) dei sistemi di raccolta e smistamento. La Francia sta introducendo un sistema di sanzioni per scoraggiare l’uso di plastica non riciclata per gli imballaggi: fino al 10% del prezzo del prodotto verrebbe sottratto o aggiunto all’IVA, se è fatto di plastica non riciclata.

Dal punto di vista dell’industria ittica, da qualche anno la soluzione circolare per eccellenza è l’acquacoltura integrata multitrofica, cioè l’allevamento e la coltivazione di diverse specie marine in modo tale che alcuni invertebrati e le macroalghe possono riciclare le sostanze di rifiuto derivanti dall’allevamento dei pesci. Un sistema affine a quello naturale in cui rifiuti provenienti da un processo produttivo vengono riutilizzati nel sistema di produzione come materie prime per un altro processo produttivo. In questo modo l’industria ottiene un doppio vantaggio di riduzione dei reflui e produzione di biomasse aggiuntive. I progetti che utilizzano questo tipo di tecnica in Europa sono però ancora pionieristici.

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