Nonostante per ben un italiano su quattro i problemi ambientali non rappresentino ancora una reale urgenza, la crisi climatica va affrontata subito. Un concetto, questo, ribadito nel corso della 28ª conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, nel corso della quale è stato realizzato il primo bilancio globale nel quadro dell’accordo di Parigi. Bilancio che – nel dettaglio – ha mostrato la necessità di raggiungere entro il 2025 il picco delle emissioni globali di gas a effetto serra, per procedere verso una loro riduzione del 43% e del 60% rispettivamente entro il 2030 e il 2035 rispetto ai livelli del 2019, con l’obiettivo di limitare il riscaldamento globale a 1,5ºC.
Guardando al nostro Paese, come fotografato dall’ultima pubblicazione ISPRA, al netto di un trend positivo – nel 2022 si registra un -21% dal 1990 – le emissioni di gas serra negli ultimi due anni continuano a crescere, raggiungendo nel 2022 un totale di 413 milioni di tonnellate di CO2 equivalente (+0,4% rispetto al 2021). A incidere è il costante aumento del settore dei trasporti che, insieme ai settori della produzione di energia, residenziale e dell’industria manifatturiera contribuiscono a circa la metà delle emissioni nazionali.
Per invertire la rotta occorre, da subito, considerare il potenziale di tutte le soluzioni oggi a nostra disposizione. Tra queste, ci concentreremo oggi sulle tecnologie di cattura, utilizzo e stoccaggio della CO2 (CCUS): strumenti che, con un attento sviluppo, possono rappresentare una delle principali chiavi per raggiungere gli obiettivi di abbattimento delle emissioni nel corso di questo secolo.
Cosa sono le tecnologie CCUS?
Quando parliamo di CCUS, intendiamo un processo tecnologico efficace, in particolar modo, nella decarbonizzazione di quei settori definiti hard to abate: ovverosia quelle industrie pesanti – come la siderurgia o i cementifici – dove, tanto per gli elevati consumi energetici quanto per le caratteristiche dei cicli produttivi, non esistono ad oggi alternative altrettanto efficaci.
Questa leva di decarbonizzazione consiste nel catturare l’anidride carbonica che, in un secondo momento, può essere stoccata oppure utilizzata – attraverso una trasformazione chimica – nella produzione di altre sostanze. Quanto allo stoccaggio, l’anidride carbonica catturata viene trasportata in determinati siti dove può essere iniettata nel sottosuolo, in depositi sicuri come giacimenti di gas esauriti o acquiferi salini: per garantire la sicurezza, questi progetti prevedono non solo precedenti studi per verificare l’idoneità del giacimento, ma anche un costante monitoraggio per garantire il corretto svolgimento delle attività. L’altra opzione prevede, invece, l’utilizzo della CO2 catturata. Una volta catturata, la CO2 viene compressa in modo da poter essere trasportata più facilmente. A questo punto si ha a disposizione anidride carbonica concentrata e priva di impurità che può essere riutilizzata come “materia prima” in altri processi produttivi. Attualmente l’utilizzo è una opzione commercialmente limitata su scala industriale per via dei costi elevati ma tutte le principali organizzazioni internazionali confermano l’importanza dell’utilizzo in futuro.
Numeri in crescita
Nonostante in passato l’implementazione di questi strumenti andasse piuttosto a rilento, i numeri mostrano, specialmente negli ultimi anni, una crescita significativa, secondo l’ultimo Status Report (2023) del Global CCS Institute, pubblicato a novembre 2023, ci sono ad oggi 41 progetti di CCS di taglia industriale operativi nel mondo. Questi 41 impianti evitano l’emissione in atmosfera di oltre 49 milioni di tonnellate all’anno di anidride carbonica (MTPA). Il rapporto sottolinea che a livello mondiale ci sono più di 350 nuovi progetti in varie fasi di sviluppo, registrando un aumentando del 102% rispetto allo Status Report dell’anno precedente (2022).
A sottolineare l’importanza dello sviluppo di queste soluzioni ci ha pensato il recente studio strategico “Carbon Capture and Storage: una leva strategica per la decarbonizzazione e la competitività industriale”, realizzato da The European House – Ambrosetti in collaborazione con Eni e Snam. Lo studio evidenzia infatti come, a livello aggregato, i settori hard to abate – centrali a livello economico – emettano 63,7 milioni di tonnellate di CO2, di cui il 22% da processo: se, in questa direzione, l’utilizzo combinato di elettrificazione, efficienza energetica, bioenergie, idrogeno e variazione delle materie prime potrebbero – secondo le stime – contribuire a ridurre non oltre il 52% di queste emissioni, per decarbonizzare il restante 48% – pari a 30,8 milioni di tonnellate di CO2 all’anno – sarà necessario utilizzare proprio le soluzioni CCS.
Il progetto: Ravenna CCS
In questa direzione, uno dei progetti più ambiziosi a livello europeo è Ravenna CCS: Il progetto, frutto di una Joint venture tra Eni e Snam, consiste nella realizzazione di un’infrastruttura di stoccaggio della CO2 a largo della costa ravennate, in cui l’anidride carbonica emessa viene catturata all’origine, trasportata e immagazzinata nei giacimenti a gas esauriti dell’Adriatico.
L’obiettivo è quello di contribuire alla riduzione delle emissioni dei distretti industriali per renderli più sostenibili e competitivi sul mercato, aprendo la strada, allo stesso tempo, a nuove opportunità di crescita economica nel segno della decarbonizzazione.
La Fase 1, avviata ad agosto 2024 (inserire link della rs?), ha l’obiettivo di catturare, trasportare e stoccare circa 25mila tonnellate di CO2 emessa dalla centrale Eni di trattamento del gas naturale di Casalborsetti, nel comune di Ravenna. Una volta catturata, l’anidride carbonica viene trasportata, attraverso condotte precedentemente utilizzate per il trasporto del gas naturale e opportunamente riconvertite, fino alla piattaforma offshore di Porto Corsini Mare Ovest per essere infine iniettata nell’omonimo giacimento a gas esaurito.
Il progetto passerà alla sua fase industriale nel 2027, anno in cui si prevede lo stoccaggio di 4 milioni di tonnellate di CO2. Secondo il modello teorico realizzato da The European House – Ambrosetti, grazie alla realizzazione di questo Hub, sarà però possibile stoccare circa 300 milioni di tonnellate di CO2 entro il 2050: infatti, quando il progetto sarà in piena attività a metà del prossimo decennio, consentirà di trasportare e stoccare circa 16 milioni di tonnellate di CO2 all’anno emesse dai settori hard to abate.
La CCUS rappresenta quindi una soluzione importante tanto nell’ottica della decarbonizzazione, quanto per salvaguardare la competitività di settori altamente impattanti sull’ambiente ma, allo stesso tempo, centrali a livello economico. Per far sì che questo potenziale non rimanga inespresso, però, si rende oggi necessaria una chiara visione e una pianificazione strategica condivisa: solo così questa tecnologia potrà avere uno sviluppo sostenibile, e potremo contare su uno dei migliori strumenti per affrontare i non più procrastinabili problemi ambientali.
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