Perché vivere in comunità

La comunità sopravvive nel locale, nell’ambito in cui si è nati e dove di mantengono i legami forti, gli affetti, la cultura. La società, invece, è totalizzante, sempre più vasta, incontrollabile e pertanto sconosciuta. Ne consegue l’insicurezza e la paura di viverla

Negli anni settanta del secolo scorso, soprattutto in America, c’erano le comunità hippy di persone che si allontanavano dalla vita cittadina in cui non si riconoscevano per ritrovarsi in mezzo alla natura dove costituire un diverso modo di vivere il mondo. Dopo la pandemia, invece, assistiamo a scelte di vita comunitaria da parte dei giovani millenials, tra i trenta e i quarant’anni, che si ritrovano a condividere spazi e idee per contrastare le crisi mondiali.

Un esempio è Honeydew, eco villaggio costituitosi nel 2023 a Tagliata, frazione del comune di Maiolo, in provincia di Rimini. Dal loro sito si legge che “Honeydew è il motto di Ecologia in comunità. Crediamo che la nostra gestione della Terra dipenda dalla solidarietà collettiva, dal reimparare a coesistere negli ecosistemi sociali e biologici”. Nel rispetto della biodiversità, il loro interesse da qui a cinque anni è quello di essere autosufficienti dal punto di vista agricolo e di raggiungere l’indipendenza energetica. Crisi climatica, economica, sociale, culturale sono situazioni che ci colgono spesso impreparati e Honeydew prova a dare delle risposte nel quotidiano, attraverso soluzioni condivise e sostenibili, alle tante domande che rimangono irrisolte.

“Siamo cosmopoliti ma anche local” dice il fondatore Benjamin Ramm, che sta aprendo altre comunità in Brasile, “partecipiamo alla Festa del pane insieme agli abitanti del posto, viviamo per la natura, non siamo vegani, ma per noi il cibo è un sacramento, lo consumiamo sempre insieme. (…) Tutto è comunità, il nostro è un vero progetto politico che parte dal modo in cui organizziamo la società. Viviamo democraticamente e costruiamo assieme la comunità, reagendo alla crisi climatica”.

L’architetto Grace H. Kim, esperto di cohousing a livello internazionale, su TED 2017 sottolineò come la scelta di abitare in modo condiviso può portare alla longevità e al benessere. E infatti, non solo comunità fuori le città, ma molti comuni italiani si stanno organizzando con soluzioni abitative di cohousing, in cui si condividono spazi e servizi per contrastare la crisi, soprattutto, economica e per migliorare la qualità della vita delle persone.

“Insieme a casa”, a Bari, ispirandosi alle idee di abitare condiviso, sharing economy, inclusione e socializzazione, offre una soluzione a persone vittime dell’emergenza abitativa, dell’emarginazione e in condizioni di fragilità, anche economica.

L’esempio di Torino, è un co-housing per over 65 pensato per favorire la socializzazione e il benessere che allunga la vita che include una sala per musica da camera, una mini biblioteca, un bistrot con salotto e una palestra.

Spostandoci nel Regno Unito, invece, e precisamente a nord di Londra, c’è il New Ground Cohousing, dove ventisei inquiline over 50 vivono in appartamenti indipendenti di proprietà o in affitto, intorno a un grande giardino comune, dove ci si prende cura a vicenda.

E come ci ricorda Bauman nel suo libro Communitas. Uguali e diversi nella società liquida (Aliberti, 2013) “La comunità sopravvive nel locale, nell’ambito in cui si è nati e dove di mantengono i legami forti, gli affetti, la cultura. La società, invece, è totalizzante, sempre più vasta, incontrollabile e pertanto sconosciuta. Ne consegue l’insicurezza e la paura di viverla.”

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