Huawei e ZTE negano aiuti di stato, Ericsson si oppone a indagine europea

Huawei e ZTE, i maggiori produttori cinesi di infrastrutture di rete, negano di aver ricevuto finanziamenti dalla stato. I media avevano riportato, infatti, che la Commissione Europea starebbe indagando in tal senso, ipotizzando un comportamento scorretto da parte delle due aziende che avrebbero venduto sottocosto i propri prodotti grazie ai finanziamenti statali, illeciti secondo la legge europea.

I costi ridotti hanno permesso alle due aziende cinesi di conquistare significative fette del mercato mondiale delle infrastrutture di rete, spingendo diverse aziende, come Nokia Siemens Networks e Alcatel Lucent, sull’orlo del fallimento. Qualora i costi più bassi fossero stati possibili anche grazie agli aiuti di stato per la normativa europea si tratterebbe di dumping illegale. La Commissione Europea non ha confermato le indiscrezioni sull’indagine riportate dai media e le due compagnie negano di avere ricevuto sia notifiche inerenti una simile indagine sia di aver ricevuto fondi statali.

Huawei, il secondo produttore mondiale di apparecchiature di telecomunicazione, dopo aver chiarito di non aver ricevuto comunicazioni ufficiali su un’indagine da parte dell’Europa, nega di aver impiegato “pratiche di dumping e beneficiato di sussidi di Stato illegali”. ZTE ha commentato sullo stesso tono, negando a sua volta di aver ricevuto “sussidi illegali o nascosti”.

Ericsson, leader di mercato per quanto riguarda gli apparati di networking, si schiera a sorpresa a sua volta contro l’indagine della commissione UE sui propri concorrenti cinesi. Ulf Persson, responsabile delle relazioni istituzionali e industriali di Ericsson, ha infatti affermato che “Ericsson è un forte sostenitore del libero mercato e noi non siamo favorevoli a questo modo unilaterale di procedere”. L’Ue, secondo l’azienda svedese,  rischia di innescare “una spirale negativa”.

Il problema risiede, per molti analisti e a quanto pare anche per Ericsson, nei possibili effetti negativi di una simile iniziativa. La Cina è ormai il secondo partner commercial dell’Europa, nonostante le relazioni tese, e un’indagine ufficiale potrebbe creare numerosi problemi alle aziende europee nel mercato della Repubblica Popolare.

Non penso sia una buona idea per UE lanciare un caso anti-dumping. Se questo dovesse succedere, i venditori europei come Ericsson e Alcatel-Lucent avrebbero problemi  nel tentativo di vendere attrezzature in Cina, che è un mercato focale per la spesa globale in telecomunicazioni attualmente“, ha commentato infatti Yang Haofan, analista presso la Guotai Junan Securities a Shanghai.

Ericsson, durante il primo trimestre dell’anno, ha registrato entrate dalla Cina e dall’Asia Nord-Est sostanzialmente pari a quelle Europee, per un totale di circa 1.29 miliardi di dollari. La società non può rischiare problemi in uno dei mercati mondiali con i tassi maggiori di crescita.

Il problema è molto ampio e le ripercussioni negative per gli europei e le aziende del vecchio continente potrebbero derivare anche da una minore presenza delle aziende cinesi. Huawei ha, infatti, più di 7000 dipendenti nel vecchio continente e ha contribuito a creare più di 6000 posti di lavoro. La società, inoltre, ha acquistato prodotti e servizi in Europa per circa 2.9 miliardi di euro lo scorso anno.

L’anomala situazione pone la Commissione difronte a una scelta difficile tra normativa e relazioni internazionali. Le società europee, a loro volta, devono scegliere tra i vantaggi di una possibile indagine, le pressioni delle autorità cinesi affinché non promuovano simili iniziative e il rischio di perdere le opportunità di uno dei più promettenti mercati globali.

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