Caro Ministro MariaChiara “@MC_Carro” Carrozza, non crei una generazione di analfabeti digitali!

Si, lo ammetto. Ultimamente mi capita di tornare spesso sugli stessi temi. Tuttavia mi dichiaro innocente. La colpa non è mia, ma del fatto che alcuni nostri politici continuano a fornire spunti che dimostrano inequivocabilmente l’abisso di ignoranza che li separa dalla comprensione delle dinamiche dei problemi che attengono al digitale.

Maria-Chiara-CarrozzaE quindi non basta Boccia con la sua #WebTax. Non basta Zanonato con la sua idea di mettere un freno all’economia digitale “per abbassarne la competitività rispetto alle aziende tradizionali”. Non poteva mancare, nella nostra galleria degli orrori, Maria Chiara Carrozza, Ministro dell’Istruzione. E cosa dice Maria Chiara Carrozza mentre in coro ci si affanna a spiegare da più parti che il problema del digital divide culturale è tanto grave quanto quello del Digital Divide infrastrutturale? Ci dice che formare al digitale non serve, perché “costerebbe qualche milione di euro”. Basta introdurre, secondo il nostro Ministro, “qualche ora nell’ambito dei programmi di educazione civica e nei progetti trasversali“.

Si, avete letto bene. Ma ora calmatevi, respirate piano piano ed andiamo un po’ di più in dettaglio…

Ieri, a margine di un convegno dal titolo “Educare al Digitale”, il Ministro Carrozza ha affermato di essere “contraria all’introduzione della materia di educazione digitale, che costerebbe qualche milione di euro”. Certo, ce ne rendiamo conto, “qualche milione di euro” per formare cittadini a vivere in una società che è sempre più profondamente digitale sono troppi. Sono troppi per un Paese in cui l’apporto dell’economia digitale al PIL  è inchiodato al 3.1%, e per importanza dell’IT è collocato al 150° posto della classifica stilata dal World Economic Forum.

“Non serve spiegare ai nostri giovani il ruolo di strumenti che seppure usano quotidianamente non riescono a collocare in un quadro sistematico perché, semplicemente, non sono stati formati per farlo. Questo è il risultato della grande truffa dei Nativi Digitali, sulla base della quale i nostri governanti pretendono che per il semplice fatto di essere nati in un’epoca in cui alcuni strumenti sono largamente disponibili, i nostri giovani debbano avere una conoscenza innata delle opportunità e dei rischi che questi strumenti comportano. Come dire che tutti i ragazzi nati dal 1800 in poi meritano una laurea in ingegneria elettrica per il semplice fatto di avere lampadine in casa. Semplicemente ridicolo. Saper accedere a Facebook non vuol dire conoscerne rischi, opportunità, potenzialità. Vuol dire saper svolgere una operazione resa volutamente semplice da chi ha competenze e capacità per farlo. Così che anche un analfabeta (digitale) possa usare un social network. Ora: si tratta di capire se vogliamo formare una generazione di analfabeti digitali che come scimmie ammaestrate sappiano usare google, o una generazione di persone che sappiano comprendere come gli strumenti disponibili stiano cambiando la società.

La tecnologia digitale – ha affermato il Ministro – non e’ una materia, ma un mezzo di apprendimento di cui avvalersi nello studio di tutte le materie. Come avvenne per il libro stampato, che fu alla base del sistema scolastico del XIX secolo”. Ed è qui, forse, l’elemento più inquietante delle sue dichiarazioni. Perché, caro Ministro, Lei scorda che la prima cosa che si fa quando si entra in un’aula delle elementari è proprio insegnare ai bambini a leggere. Ed a questa attività si dedicano tempo e risorse, perché chi non sa leggere – chi è analfabeta – rischia di non saper vivere nella società. Lo stesso destino che toccherà a tutti gli analfabeti digitali che, formati da una scuola analogica, saranno impreparati al vivere civile.

Ministro, Lei – giustamente – parla di educazione civica. E oggi sappiamo quali siano stati i danni derivanti dalla sua eliminazione dai programmi scolastici: studenti che non sanno che differenza c’è tra il Presidente della Repubblica ed il Presidente del Consiglio, che non conoscono la costituzione, che non sanno quali sono le funzioni dello Stato. E che, domani, non sapranno come vivere un un mondo sempre più digitale perché, per non spendere “qualche milione di euro“, non avranno avuto le necessarie lezioni di “educazione civica digitale”.

Ha pienamente ragione quando dice che il digitale è “un mezzo di apprendimento di cui avvalersi nello studio di tutte le materie”. Come l’alfabeto, appunto, ed anche quello va imparato. Appunto. E non può far finta di ignorare che non è pensabile “spalmare” un corpus di conoscenze complesso come quello delle materie afferenti quella che nel resto del mondo civile si chiama media literacy sulle altre materie. E’ vero: l’insegnamento deve cambiare, e (molti) docenti sono i primi a dover essere (ri)formati. Formati all’uso di strumenti nuovi, quegli strumenti che i loro studenti sanno usare così bene, ma dei quali non comprendono le dinamiche e le implicazioni e che qualcuno ha il dovere di insegnare loro. E non certo in un ritaglio di tempo tra le guerre puniche e le moltiplicazioni.

Dire che il digitale “deve permeare tutte le materie“, come sta facendo convulsamente da stamattina il Ministro su Twitter cercando di “mettere una pezza” alle sue dichiarazioni di ieri sostenendo di essere stata fraintesa (che cattivoni i giornalisti!), è senz’altro vero, ma ipocrita e demagogico, se declinato in un contesto come quello della scuola italiana oggi, dove se aspettiamo che la “rivoluzione digitale” sia compiuta per parlare ai ragazzi di come cambia la società con le reti, probabilmente delle reti non avremo più bisogno, perché saremo nelle condizioni del nuovo terzo mondo.

Ed è altrettanto ipocrita – e mi permetta, Ministro, indice di cattiva fede – dire che non si deve “dare lavoro ai predicatori dell’innovazione ma diventare un po’ tutti innovatori” (con tanto di hashtag messi ad arte), perché in Italia è pieno di persone armate di buona volontà e spirito civico che sarebbero disposti ad insegnare il digitale gratuitamente, nelle scuole, perché ben consapevoli che da questo dipende il futuro del nostro Paese. Il futuro di tutti noi.

Ha pienamente ragione: non serve predicare l’innovazione. Serve farla. Ma chi potrà farla, se il nostro sistema dell’istruzione si rifiuta di ammettere che si tratta di una materia da insegnare e da imparare?

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1 COMMENT

  1. Ma che discorsi sono quelli dell’autore dell’articolo? “Come dire che tutti i ragazzi nati dal 1800 in poi meritano una laurea in ingegneria elettrica per il semplice fatto di avere lampadine in casa.” Che cavolo c’entra? Non stiamo parlando di laurea in ingegneria informatica, ma di semplici conoscenze basiche sull’uso del pc, che più o meno tutti i giovani hanno, indipendentemente dall’uso che ne fanno. Non c’è bisogno di creare nuove materie e spendere soldi su PREDICATORI dell’innovazione da strapazzo, bisogna guardare le cose concrete, non le stupidaggini. Io non condivido affatto certe pippe mentali, mamma mia

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