La notizia del giorno è l’acquisto da parte di Facebook della nota app di messaggistica istantanea WhatsApp che nel giro di pochi anni ha fatto impazzire gli utenti: 450 milioni di persone lo usano ogni mese. Un’acquisizione che, a livello di business, non fa una piega ma che getta nel panico persone come me che hanno a che fare con padri e suoceri alle prese con la curiosità, tutta giovanile, di chattare con “uottsapp“. Che apre porte inattese e scenari di condivisione che non avrebbero mai ritenuto possibile.
Prendiamo lui, mio suocero. E’ una persona di altri tempi ma molto curiosa delle tecnologie e, fatalità un vero entusiasta di WhatsApp. Ed è anche un uomo integro e molto geloso della sua privacy e delle sue cose… da bravo ex poliziotto, non dà mica le sue generalità a destra e sinistra, eh.
Deve essere stato questa idea, qualche sera fa, a bloccare la sua intraprendenza. Decisosi ad andare oltre WhatsApp, se era vero che con Facebook avrebbe potuto fare anche più cose che con la chat, si convince a farsi aprire un profilo. Nome, cognome, data di nascita…
Ma è solo questione di pochi secondi prima che si accorga del fattaccio: “Hm… no… troppi dati gli sto dando, possiamo togliere la data di nascita?”
“Togliere no, possiamo fare in modo che nessuno la veda una volta che apri il profilo, quello si. Ora dammi il tuo indirizzo di posta elettronica che Facebook manderà una mail con cui rendere effettiva l’attivazione del profilo”.
Silenzio.
“Quindi se io non apro la mail e non clicco sull’indirizzo che mi arriva, non si attiva niente e nessuno vede la data?” la voce trema.
“No no, tranquillo.”
Indovinate un po’? Il profillo non è mai stato attivato.
Ora forse capirete il mio dramma: come glielo spiego a mio suocero che, da domani, altro che data di nascita, un’azienda di proprietà di Fb (nella migliore delle ipotesi) gli leggerà direttamente tutta la rubrica dell’amato smartphone??? Non posso distruggere le certezze di quest’uomo: a lui non basterà dire “sono le regole del gioco, baby, tu mi dai i dati e io ti faccio fare usare il mio servizio”. Non basterà spiegargli che lo fanno ogni giorno miliardi di persone, questa storia di cedere pezzetti di sé in rete sui social media, non potrò liquidarlo con un asettico: “Facebook e WhatsApp fanno business su di noi, che non lo sai“?
Eh no. Non posso. Perché già immagino la sua faccia con una domanda chiara come il sole stampata sopra: “Ma perché lo fate?”. E anche in questo caso il perché non potrei spiegarglielo, perché in effetti dar conto di questa esperienza di socialità immateriale, a mezza via tra il business di pochi e la normalità di molti, come la si può spiegare senza sembrare dei pazzi o, al contrario, dei sognatori?
(Per inciso, non ditegli che esiste Instagram, vi prego!!)
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