Web tax, link tax, fisco o niente?

Gli ultimi giorni sono stati (se possibile) ancora più turbolenti del solito per le web companies, e in particolare per Google, con il Governo sempre più alla ricerca di nuove misure per farle cadere nella rete del fisco. Ma il problema è se queste manovre rappresentino la soluzione migliore per il nostro Paese.

La web tax?

tax-time-webDopo le discussioni dello scorso anno sulla web tax che non avevano portato a nulla a causa del possibile contrasto della proposta con la normativa in materia di IVA, il Governo ora ci riprova. Il progetto è di tassare le web company che sono stabilite al di fuori dell’Italia, ma che generano profitti in Italia oltre una certa soglia di valore.
Quindi una società che è stabilita in Irlanda, Lussemburgo o Stati Uniti pagherebbe le imposte in Italia come una società italiana semplicemente perché le vendite a favore degli italiani eccedono un certo limite. Questo comporterebbe un’estensione del concetto di “stabile organizzazione” che già crea notevoli grattacapi alle società straniere operanti in Italia.
La proposta segue simili iniziative che erano state avanzate ad esempio in Gran Bretagna. Ma il problema riguarda la sua conformità con la normativa fiscale internazionale. Infatti, questa norma potrebbe essere in contrasto con i trattati bilaterali tra l’Italia e altre giurisdizioni sulla doppia imposizione fiscale che dovrebbero prevalere sulle norme locali. Per assurdo una norma del genere rischierebbe quindi di essere disapplicata in molte occasioni.

La link tax?

Le apparenti conseguenze negative derivanti dall’adozione della link tax in Spagna sembrano non avere dissuaso il Governo italiano dall’adottare un’iniziativa simile. Apparentemente il Governo sta studiando una norma che obblighi gli aggregatori di notizie come Google News a raggiungere un accordo commerciale con gli editori. Nel caso in cui questo accordo fallisca, un procedimento di mediazione potrebbe nascere davanti all’AgCom o alla sezione dedicata della Presidenza del Consiglio prima di sfociare in un procedimento giudiziario.

Aldilà delle possibili ragioni di questa iniziativa, il rischio è che la reazione di Google e di altri aggregatori sia la chiusura del servizio in Italia con notevoli conseguenze negative in termini di traffico Internet. Una possibile maggiore entrata fiscale che non sarebbe effettiva in caso di chiusura dei servizi porterebbe al contrario a notevoli danni per gli editori a causa della riduzione del traffico Internet sui loro siti.

E Google?

La società che viene più spesso menzionata quando si discute di queste proposte normative è Google. Il colosso di Mountain View ha da tempo in corso una controversia con il fisco italiano che sulla base di notizie poi smentite aveva portato ad una transazione che obbligava Google al pagamento di € 320 milioni. E una delle principali domande delle ultime ore è se questa possibile transazioni possa in qualche modo sedare l’appetito del Governo nei confronti delle web company.

Quale il giusto approccio?

La questione è se il Governo debba effettivamente lavorare a misure volte a favorire la tassazione in Italia per soggetti situati all’estero. Oppure se sia consigliabile introdurre misure volte a favorire gli investimenti e la creazione di uffici e posti di lavoro in Italia. Basti pensare, tra gli altri, alla figura del “domiciled, non resident” prevista dalla normativa fiscale inglese che porta molti stranieri a trasferirsi a Londra e aprirvi uffici con centinaia di persone e all’approccio più flessibile in materia di fisco previsto dalle autorità inglesi.
Come ho menzionato in passato con riferimento all’Internet of Things, il problema è se tale approccio normativo possa causare uno svantaggio competitivo o addirittura una discriminazione del nostro Paese rispetto ad altre nazioni che prevedono trattamenti privilegiati o di favore per chi investe nel Paese.

Se i 320 milioni di euro e/o altro importo dovuto come web tax o link tax che Google sarà tenuta a pagare al fisco italiano comporteranno una riduzione degli investimenti di Google in Italia, è legittimo chiedersi se questa tassazione sarà un reale vantaggio per il nostro Paese.

La domanda è quindi, cosa è meglio per il nostro Paese?

Facebook Comments

LEAVE A REPLY

Please enter your comment!
Please enter your name here