#DigitalTransformation, PA e sistema bancario: il cambiamento è possibile e va fatto insieme

Pagamenti contactless, app di home banking, sistemi di wallet digitale: sono solo alcune delle innovazioni, probabilmente le più visibili, che stanno interessando il mondo della banche alle prese con la digital transformation. Social media, big data, ma anche IoT e wearable device stanno spingendo l’acceleratore su un cambiamento già avviato e che per il futuro promette numeri ancora più significativi.

La trasformazione avviene in risposta, e per effetto, della pervasività del digitale nella vita delle persone che, come è noto, ha modificato le abitudini dei clienti e dei correntisti in termini di servizi attesi. La conseguenza di tutto questo è che le banche si interrogano sempre più su come cambiare il modo in cui offrono i propri prodotti e servizi ai clienti, attivando i necessari processi di innovazione e ridisegnando i propri modelli organizzativi. Come si stanno muovendo quindi le banche in termini di digital transformation? Qual è la situazione nel mondo? E in Italia?

Digital Banking: il mondo in una direzione, l’Italia ostinatamente dall’altra

online bankingGlobalmente comincia ad esserci, finalmente, una consapevolezza importante: le banche non possono più pensare di ignorare la “digital transformation”, dove per essa non si intende la digitalizzazione dei servizi esistenti, ma una sostanziale re-ingegnerizzazione che parte dalle tecnologie e arriva all’organizzazione interna, ai  processi, ai prodotti e ai servizi da destinare ai propri clienti, siano essi singoli correntisti che realtà più ampie e strutturate come intere aziende.

Ciò dimostra chiaramente che la “Digital Transformation è innanzitutto strategia” precisa Fabio Rizzotto Senior Research and Consulting Director di IDC. “Come tale, anche per le banche si tratta di considerare gli investimenti IT all’interno di un quadro più ampio di iniziative. In questo scenario sono molte le azioni necessarie per far diventare la digital transformation un percorso di successo. Sicuramente la revisione dei processi di business e delle strutture interne, azione strettamente legata al bisogno di definire nuovi approcci in termini di engagement e relazione con il mercato finale. Significativa anche la necessità di nuove attitudini e competenze nell’era digitale, che si declina sia in termini di management / leadership, sia in chiave operativa.”

Qualcosa si sta muovendo: secondo stime preliminari di IDC, l’intero settore dei servizi finanziari (banche e assicurazioni) ha speso nel 2015 a livello mondiale circa 114 miliardi di dollari in tecnologie cloud, mobile e big data & analytics, su una spesa IT totale di 455 miliardi di dollari. In altre parole, le istituzioni finanziarie hanno investito più del 25% dei loro budget IT in queste tre tecnologie trasformative alla base dei processi di digitalizzazione. E, secondo le previsioni di IDC, nel 2019 il peso di queste tre tecnologie sulla spesa IT complessiva del settore finanziario lieviterà al 30%.

Tuttavia, nonostante questi numeri, in Italia contesto e tendenze sono differenti: secondo uno studio condotto da TEHAmbrosetti per Hewlett Packard Enterprise, il sistema bancario della nostra penisola è nettamente ancorato a modelli tradizionali, con una forte presenza sul territorio delle agenzie (40% in più della media europea), un livello di penetrazione del Digital Banking molto basso (26%, circa la metà della media europea) e investimenti in ICT in costante calo (tra il 2007 e il 2014 si è registrata una diminuzione del 22%); inoltre la maggior parte del top management del settore è fermamente intenzionata a sostenere il modello tradizionale (ben il 70%).

È alquanto superfluo sottolineare come questo tipo di approccio possa essere deleterio per le banche italiane, specialmente se si guarda alla competitività con quelle che, invece, i processi di digital transformation li hanno effettivamente cominciati. La responsabilità però non è solo attribuibile alle banche e il contesto in cui sono immerse non aiuta: attualmente l’Italia è 25esima su 28 paesi UE con un basso livello di alfabetizzazione digitale della popolazione (tanto per citare un dato eclatante 1/3 della popolazione non ha mai usato Internet). Uno scenario comunque rischioso.

Considerando  il fattore tempo, stringente e rapido nell’evoluzione digitale delle nuove generazioni di clienti e lento e impegnativo nel trasformare l’organizzazione della banca, assisteremo in assenza di interventi immediati e radicali ad un allargamento di questa forbice con l’inserimento concorrenziale di banche estere che hanno realizzato importanti investimenti e di nuove grandi aziende provenienti dal mondo digitale non bancario” commenta Claudio Bassoli, VP di Hewlett Packard Enterprise, azienda che da tempo accompagna le scelte strategiche del mondo bancario. “La sintesi di queste due tendenze, se non ben gestita, potrebbe effettivamente generare un impatto critico per le nostre banche con una significativa conseguenza negativa sul Sistema Italia nel suo complesso”.     

Cosa fare quindi per risolvere una situazione che danneggia contemporaneamente il Paese e il sistema bancario? Muoversi in parallelo potrebbe essere un buon inizio.

I 5 passi che le banche e il paese devono compiere insieme

Gli istituti di credito nella penisola hanno bisogno di accelerare e inseguire i competitor stranieri che, invece, stanno marciando a passo spedito. Per farlo però hanno bisogno di un contesto favorevole in cui tutti gli attori siano chiamati a fare la loro parte: la PA, ad esempio, dovrà attuare una serie di azioni per creare un ecosistema ben disposto nei confronti della digital transformation. “La relazione tra banche ed ecosistema è altrettanto importante quanto il rapporto con utenti, famiglie etc…” spiega Rizzotto “Questo aspetto consente infatti di dare voce al più ampio ruolo delle banche nei meccanismi socioeconomici, che include mondo imprese, pubblica amministrazione come interlocutore ma anche nel ruolo istituzionale e normativo. I principi guida della trasformazione del settore vedono l’adozione di modelli più aperti, cooperativi, collaborativi. Questo si applica a più livelli. Dai sistemi di pagamento interbancari ispirati a protocolli e standard open; a logiche e strumenti cooperativi-collaborativi per rendere più efficiente e trasparente la relazione con imprese e PA; fino a modelli di relazione più collaborativi tra gruppi di lavoro, team e dipartimenti. Non trascurabile, infine, uno sguardo al ruolo e alle prospettive che la compliance gioca e giocherà per il settore nel quadro dei molteplici cambiamenti in corso.”

Ecco nel dettaglio i cinque step chiave individuati da HPE in una ricerca chiamata “The connected banking report 2015”:

  1. La pubblica amministrazione avrà il compito di rafforzare la governance strategica della digitalizzazione del Paese: questo significa soprattutto (ma non solo) accelerare l’attuazione dei fattori abilitanti che impattano concretamente sul modo in cui i consumatori e i cittadini si rapportano sia con gli istituti bancari sia con la PA stessa. Serviranno identità digitale, rafforzamento complessivo delle norme legate alla cyber security e integrazione totale dei dati.
  2. Parallelamente le banche dovranno, però, sfruttare l’ecosistema open messo a disposizione, attuando modelli collaborativi cross-industry basati su dati aperti, ma senza trascurare la realizzazione di forti presidi per la cyber security che facciano leva (anche) sulle analisi predittive consentite dalle più avanzate tecniche di analisi, tra cui la Big Data Analysis.
  3. La pubblica amministrazione dovrà, date le informazioni allarmanti provenienti dagli studi dell’Unione Europea sul nostro paese, consolidare e accelerare le proprie politiche per l’alfabetizzazione digitale della penisola; parallelamente le banche dovranno avere un ruolo proattivo nel promuovere la cultura digitale dei clienti con schemi di incentivazione all’utilizzo delle tecnologie, anche grazie a collaborazioni e partnership con aziende IT e over the top.
  4. Per favorire la realizzazione di nuovi servizi e e applicazioni per i consumatori, la pubblica amministrazione dovrà sviluppare una strategia nazionale per valorizzare in chiave economica e sociale gli open data, diffondendo la cultura dei dati anche tra imprese e cittadini.
  5. D’altra parte, le banche dovranno accelerare la migrazione dei propri sistemi informativi abbracciando piattaforme digitali open, superando le attuali rigidità, abbattendo i silos informativi e rompendo gli schemi tradizionali: se gli istituti di credito sono intenzionati a relazionarsi con i nuovi clienti abituati al digitale, questi step si riveleranno necessari.

In conclusione, se globalmente la consapevolezza della necessità della digital transformation nei contesti bancari comincia a crescere, in Italia si continua a registrare la tendenza ad ancorarsi a vecchi schemi: il problema però è che stavolta bisogna “davvero lasciar la via vecchia per imboccar la nuova”, dato che la prima probabilmente ha esaurito la sua portata.

D’altra parte il Paese non potrà esimersi dal fornire una segnaletica adeguata e dal favorire un cambio di rotta attraverso un ripensamento della governance, lo sviluppo di azioni per l’incremento qualitativo della digital & media literacy e la valorizzazione dei dati aperti per lo sviluppo di applicazioni e servizi da parte di soggetti terzi, tra i quali gli istituti bancari.

Proprio di questo, e di molto altro ancora, si parlerà il 16 febbraio a Milano, in occasione dell’IDC Banking Forum 2016 organizzato in partnership con HPE, al quale parteciperanno CIO e direttori generali delle più importanti banche italiane ed europee: un’occasione per approfondire uno degli argomenti cruciali del digitale in Italia.

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