Un consumo sostenibile della tecnologia è possibile? La domanda di certo non è nuova. Alcuni mesi fa avevamo parlato di Trashware, ovvero della possibilità di ridare nuova vita a tutti quei computer che vengono ritenuti spazzatura.
Dieci anni fa grazie all’impegno e alla determinazione di un gruppo di giovani nasceva la Cooperativa Binario Etico, un’impresa informatica che lavora esclusivamente su software libero, promuove il riuso di hardware e l’adozione di sistemi a basso impatto ambientale. Oggi la cooperativa è composta da sei soci con un’età media di quasi 40 anni, ha creato diverse collaborazioni come quella con il Dipartimento di Ingegneria Informatica, Automatica e Gestionale (DIAG, ex DIS) dell’Università La Sapienza e Rete Italiana Open Source (RIOS), si occupa di progettare e realizzare piani di migrazione integrata al software libero e agli standard aperti e sviluppa soluzioni open source per il cloud computing e gli open data.
Abbiamo chiesto a Davide Lamanna, uno dei soci della cooperativa, di raccontarci un po’ la loro storia.
Perché avete scelto prodotti liberi e non proprietari?
Per noi è stata una scelta fatta in fase di costituzione. Ci siamo costituiti con lo scopo di allungare il più possibile la vita all’hardware e proporre soluzioni e servizi professionali basati su software libero. Abbiamo aperto un laboratorio/negozio, il TRASHop, che ora è gestito come officina informatica da Re-Ware, un nostro spin-off, dove è possibile acquistare computer riqualificati attraverso l’utilizzo di GNU/Linux. Abbiamo lavorato molto con il terzo settore e la pubblica amministrazione e solo di recente abbiamo virato fortemente sul settore privato che ha finalmente maturato una buona propensione all’open source, avendone compreso le potenzialità.
Quali prodotti liberi avete utilizzato per la realizzazione dei vostri progetti?
Abbiamo fin da subito scelto una distribuzione GNU/Linux su cui specializzarci. La scelta è caduta su Debian, sia per le sue caratteristiche tecniche (qualità delle release, affidabilità e maggiore supporto all’hardware) che per la sua maggiore aderenza alla filosofia del software libero, nonché per il suo contratto sociale. Per il mondo desktop ci siamo aperti ad Ubuntu mentre lato server abbiamo usato moltissimo OpenVPN, Samba, OpenLDAP e Zentyal. Sulla virtualizzazione abbiamo fatto molta sperimentazione, cominciando fin dai primi anni con User Mode Linux, per poi passare gradualmente a Xen e KVM, anche attraverso i tool ProxMox e OpenVZ. Siamo quindi approdati a soluzioni cloud IaaS e PaaS basate su ownCloud, Open Stack e Cloudify, su cui, in questo momento, stiamo spingendo moltissimo. Negli anni abbiamo proposto soluzioni su misura, usando una grande varietà di strumenti: per l’ufficio LibreOffice, come CMS Joomla, Drupal, WordPress e GetSimple, e poi Zimbra, Postfix, Dovecot e Jabber per i sistemi di Groupware.
Oltre ad utilizzare tutti questi software contribuite o partecipate alle comunità di software libero? Se sì in quale modo?
Il nostro maggiore contributo è sul versante della promozione, anche attraverso la Rete Italiana Open Source, di cui siamo fondatori. Ovviamente nel corso di questi 10 anni di attività ci è capitato di contribuire anche al codice e alla documentazione dei prodotti che abbiamo utilizzato, ogni volta che abbiamo individuato piccoli errori o mancanze.
Nella selezione degli sviluppatori e collaboratori tenete conto di attività svolte nelle community? Se sì che peso hanno nella scelta?
Assolutamente sì ed hanno un peso determinante. Ovviamente una condizione imprescindibile è una consolidata esperienza e confidenza con i sistemi open source. Ma costituisce carattere preferenziale la conoscenza e l’aderenza alle dinamiche di community.
Quando siete partiti avevate pensato ad un modello organizzativo o ad un modello di business?
Quando siamo partiti, 10 anni fa, non avevamo la minima idea di cosa fosse un modello di business. Lo abbiamo dovuto imparare sul campo a forza di errori e cambi di rotta. Oggi la nostra organizzazione prevede la centralità e l’autonomia dei professionisti nella realizzazione delle soluzioni e nell’erogazione dei servizi. Ovviamente affinché la strategia abbia successo è necessario puntare sulla continua innovazione, cosa che promuoviamo attraverso l’aggiornamento, la formazione e la condivisione della conoscenza all’interno dell’azienda. Stiamo inoltre seguendo percorsi di certificazione che possano aprirci nuove porte presso clienti maggiormente orientati al business.
E quindi neanche un calcolo per il ritorno degli investimenti…
No, non lo abbiamo fatto e ne abbiamo pagato le conseguenze. Solo ultimamente siamo riusciti a tenere sotto controllo i costi e i ricavi.
In questo momento come sta andando? Che risposta avete dal mercato?
In questo momento stiamo spingendo molto sul cloud, proponendoci come esperti di OpenStack e Cloudify, prodotti che richiamano un fortissimo interesse del mercato e che possono essere efficacemente utilizzati solo a fronte di una conoscenza e competenza molto verticali che noi ci siamo costruiti negli anni, prima nel mondo accademico e poi con la sperimentazione sul campo. Vorremmo riuscire a comunicare che l’Open Source, quando corredato da servizi di consulenza e assistenza professionali, può garantire eccellenti risultati di livello enterprise. Ci sembra il modo migliore di inaugurare la nostra seconda decade di attività.
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